Filosofi e politici danno ormai come scontata la fine delle ideologie. Rispetto al consueto vizio di giudicare una parte per il tutto, questa volta si prende il tutto (le ideologie) per giudicarne una parte. La parte di cui si vorrebbe giudicare la morte è il socialismo, perché altre ideologie continuano a vivere senza che nessuno si sogna di decretarne la fine: prima fra tutte il cosiddetto “liberalismo” che, nelle disinformate interpretazioni dei suoi moderni sostenitori dovrebbe essere l’ideologia del capitalismo spacciata come l’unica in grado di portare avanti la civiltà, la sopravvivenza, il lavoro, e quindi l’economia, su scala planetaria. Con la conseguenza, nemmeno occultata, di arrivare a una globale privatizzazione dei servizi sociali, e all’inesorabile progressivo arricchimento delle classi sociali privilegiate, dimenticando del tutto, anzi considerandola nemica la “socialista” ridistribuzione del reddito. Inevitabilmente si sta arrivando pertanto ad un progressivo assottigliamento della “classe media” e alla paurosa dilatazione della forbice che separa ricchi e poveri. Quello di puntare sul consenso della classe media, cioè della grassa borghesia, e di dimenticare le fasce di povertà e di emarginazione, in costante e pauroso aumento, è stato il difetto d’analisi e il limite più grosso del PD, dai tempi di Achille Occhetto con la “svolta della Bolognina”, e di tutta l’area moderata che in esso oggi si riconosce.
Prima di andare oltre e, a scanso di equivoci, è opportuno chiarire cosa vuol dire ideologia. La definizione lapidaria del termine, che troviamo nell’enciclopedia Treccani è “L’ideologia è il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale”. Il termine fu usato per la prima volta nel 1796 da dal filosofo Destutt de Tracy, che la definì “scienza delle idee e delle sensazioni”. Siamo al tramonto del “secolo dei lumi” tracciato dagli “ideologues” francesi e dal loro sogno di cancellare la metafisica e le religioni dalla storia degli uomini e di cercare spiegazioni del mondo legate ai dati sensoriali dai quali si formano le idee e si articolano i giudizi che caratterizzano il ragionamento.
In seguito il termine ha assunto il significato più generico di “sistema di idee” più o meno coerente e organizzato con connotazioni negative, positive o neutre in riferimento a dottrine politiche, a movimenti sociali caratterizzati da un’elaborazione teorica, a orientamenti ideali-culturali e di politica economica e sociale.
Nel pensiero di Marx il termine assume un significato negativo: “Le idee dominanti sono quelle della classe dominante”, e pertanto le idee sono collegate, sono la stretta conseguenza delle condizioni di vita privilegiate attraverso le quali si maschera di principi astratti la realtà concreta e si vuole “giustificare” l’esistente. La contrapposizione tra teoria e prassi si lega alla divisione tra struttura e sovrastruttura, dove l’identità della struttura, ovvero la condizione economia che caratterizza il soddisfacimento dei bisogni primari, in molti casi diventa complementare, in altri casi si lascia camuffare, dalle sovrastrutture da essa originate, ovvero da teorie, filosofie, interpretazioni economiche, sovrapposizioni estetiche, morali, religiose, politiche.
Gramsci, in alcuni passi dei “Quaderni del carcere” riabilita il significato dell’ideologia intendendola come una “concezione del mondo” non astratta, ma che sia lo strumento, la motivazione per organizzare e mobilitare le masse per conseguire o una loro mobilitazione rivoluzionaria o un compromesso tra opposte esigenze e interessi dei ceti sociali.
In tempi recenti si è verificato uno strano fenomeno: le classi sociali subalterne, il cosiddetto sottoproletariato, i disoccupati, gli emarginati, i poveri, in pratica coloro che avrebbero tutte le motivazioni per professare idee e istanze progressiste, per una curiosa inversione di tendenza, hanno decretato esse stesse la fine dell’ideologia spacciando per “non-ideologia” l’ideologia dei mercati, del primato del privato sul pubblico, del profitto a tutti i costi che comunemente possiamo etichettare come neoliberismo: l’economia globale e le nuove tecnologie hanno pazientemente ed abilmente costruito un sistema superficiale di valutazioni e di consensi tale da creare repentini spostamenti di simpatie verso persone ben lontane dal conoscere e sostenere i bisogni comuni, ma assurti a mito e a demiurghi che, nella stessa misura in cui hanno risolto per sé il problema dell’esistenza agiata, possano farlo per gli altri, per tutti: i casi di Berlusconi, di Trump e di altri parvenus, diventati espressione del potere politico, oltre che di quello economico, insegnano. Un ruolo fondamentale gioca il possesso e l’utilizzo sapiente dei mezzi d’informazione e di comunicazione, attraverso i quali è facile pilotare i consensi suggerire e fare assimilare idee, principi, eventi da valutare secondo linee guida opportunamente selezionate e propagandate. Il possesso del predominio delle idee globali finisce col far percepire come del tutto naturale lo stato di idee che lo sorregge, e il neoliberismo, con il seguito delle attuali strutture economiche che lo alimentano, finiscono con l’essere prospettate come inevitabili, del tutto naturali e quindi accettabili. L’assoluta convinzione della supremazia del privato sul pubblico è la prova principe dell’accecamento ideologico che pervade le classi dirigenti del cosiddetto Primo mondo, e ne è la controprova il fatto che qualsiasi paese che nel bene o nel male decida di contrapporsi a tale sistema venga inevitabilmente isolato ed etichettato come “dittatura”.
Piero Riccobono, docente di storia e filosofia a riposo, sul suo profilo Facebook scrive:
Ovvio che ogni singolo provvedimento non possa essere riportato alla distinzione destra-sinistra, ma bisogna guardare agli orientamenti generali, agli indirizzi di fondo, da cui derivano poi le concrete scelte politiche. Le destre tendono a favorire il capitale riducendo le tasse ai ricchi, con la conseguenza che ne risente lo stato sociale. Obama ha cercato di estendere a tutti i cittadini l’assistenza sanitaria, mentre Trump ha cercato di cancellare quella legge. È un caso? I governi Berlusconi hanno continuamente tagliato i fondi alla scuola, mentre il tanto vituperato governo PD ha invertito la tendenza, anche se possiamo criticare quanto vogliamo la “buona scuola”. Le sinistre promuovono politiche di redistribuzione dei redditi sostenendo tassazioni progressive per salvaguardare lo stato sociale. Le destre fanno il contrario. Queste scelte di fondo determinano fortemente le politiche dei governi. Quanto ai valori, non sono affatto neutri. Forse che destra e sinistra hanno stessa percezione della patria? Pensiamo al nazionalismo becero di certa destra e al diverso modo di atteggiarsi verso la patria europea. Pensiamo a come destra e sinistra si pongono in Italia nei confronti degli immigrati e pensa alla posizione dei Cinque Stelle (allineati a Salvini e Berlusconi, che tristezza!). Pensiamo alle differenze per i diritti civili. Da chi è stato osteggiato lo ius soli? No, anche i valori risentono eccome da quegli orientamenti di fondo che distinguiamo in destra e sinistra.
Chi parla di fine delle ideologie non conosce le dinamiche della storia, ignora che, sin dalle più lontane origini la storia è stata da sempre teatro di scontri tra classi sociali economicamente squilibrate, tra “ricchi e poveri” (patrizi e plebei nell’antica Roma, le rivolte medievali dei Catari, lo sciopero dei Ciompi nella Firenze prerinascimentale, Masaniello, il siciliano Giuseppe Alessi, la Rivoluzione inglese di Cromwell, il grande sommovimento della Rivoluzione Francese ecc). Che i ricchi vogliano “conservare” la loro condizione e la loro ricchezza è scontato, che i poveri vogliano appropriarsi di qualche parte di questa ricchezza è anche naturale, specie quando c’è in ballo la sopravvivenza. È il concetto marxiano di “lotta di classe”, indicato anche come “materialismo dialettico”, che caratterizza l’alternarsi di momenti storici in rapporto alla soddisfazione dei bisogni primari, ed è lì il confine tra chi sta a destra e chi sta a sinistra.
Le ideologie accompagnano da sempre la storia degli uomini: senza di esse avremmo un corpo senza testa. Già la stessa affermazione della fine di destra e sinistra, della fine della politica e dell’affermazione dell’antipolitica è un’ideologia, anche se rischia di presentarsi come un contenitore vuoto o come è successo nella cosiddetta “prima repubblica”, come un dirottamento verso il centro moderato, al cui interno dovrebbero diluirsi i conflitti sociali.
Per molti aspetti anche le religioni sono ideologie, ma nessuno, a parte le provocazioni di Nietzsche, ne ha mai decretato la fine. Quindi nessuna fine di idee e di ideologie. Ne nascono di nuove in ogni tempo, e ognuno è chiamato a dare un contributo alla loro nascita, alla loro diffusione. È la storia umana che si muove spinta, agitata, rimescolata dal fermento di idee nuove che nascono dal disagio, dall’ingiustizia, dalla sperequazione, dalla ricerca di equilibri sociali ed economici al momento sempre più lontani.
Se il Novecento, nel quadro di Pellizza Da Volpedo (foto copertina, ndr) è raffigurato come il secolo in cui il proletariato il “quarto stato” avanza e consegue una serie di conquiste, il Duemila, al momento vede in marcia la grassa borghesia e il grande capitalismo e l’arretramento, se non la fine delle conquiste sociali del secolo scorso. Ma questo non vuol dire che siamo davanti a un punto irreversibile: il ciclo continua, la storia gira, domani tutto può cambiare e individuare nuovi equilibri sociali ed economici, sulla base di nuove idee e nuovi momenti, da una parte di superconcentrazione dei poteri di controllo di ogni settore della società, dall’altra di organizzazione delle lotte sociali, alla ricerca di nuove forme di democrazia e d’incontri ove progettare come dar vita a un sogno.
Falcone è chiarissimo: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
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