Una definizione completa della stupidità non è stata ancora data. Ho provato a chiederlo anche a Manuel, un bambino di sei anni: -“Chi è uno stupido? “ -“Uno che gli si è rotto il cervello”. –“E dentro che cosa c’era?” –“Niente”. Anche la ricerca dell’etimo non è precisa: per alcuni deriva dall’antico slavo “tupu”, ottuso, per altri dal sarebbe un adattamento del participio passato del latino “stupeo”, stupire. Sinonimi: scemo, stronzo, idiota, imbecille, sciocco, cretino, ottuso, deficiente, minchione, pirla, malaminchiata, burino, babbu, baccalà, quacquaraquà.
Ci sono stupidità comportamentali e stupidità discorsive: le prime riguardano scelte, azioni, reazioni dettate da motivazioni superficiali, non ponderate, istintive, prive di coerenza logica , in certi casi autolesioniste. A monte c’è spesso l’incapacità di saper decidere, la mancanza di senso pratico, di adattamento alle regole minime di comportamento: ci si può complicare la vita anche per scegliere il vestito da mettere, il pasto da preparare o da consumare, la trasmissione da seguire, il partner ecc.. Questo complicarsi dell’esistenza raggiunge poi livelli parossistici quando si nota che c’è gente che cambia posate ad ogni nuovo piatto, che non beve due bevande nello stesso bicchiere, che non sa quale strada prendere, sia in senso reale che metaforico, che si lava le mani dopo aver toccato qualcosa, che pulisce con l’alcool tutto quello che può essere toccato. La casistica delle indecisioni, delle gestualità inutili, del non sapersi liberare dalla prigione di alcuni comportamenti si intreccia con il livello di stupidità che ognuno possiede: per esempio il povero che va a votare per l’uomo più ricco d’Italia è stupido in quanto ne approva e ne protegge, col voto, la condizione e accetta la sua personale condizione di utile idiota.
Le stupidità discorsive caratterizzano invece i ragionamenti, i giudizi espressi, le connessioni logiche. L’articolazione del discorso non segue più le regole aristoteliche dell’argomentazione, dell’evidenza, della consequenzialità e diventa vaneggiamento, associazione di idee o fatti la cui relazione inesistente viene invece trovata in qualche particolare comune o in qualche coincidenza. Alcune di queste false connessioni talora sono poste attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione e conducono a risultati sorprendenti. Sulla base del proprio livello d’ignoranza si pensa, per esempio all’invasione islamica dell’Europa cristiana, ai grandi manovratori che studiano e regolano i movimenti del mondo e della storia, alle dottrine politiche liberatorie dell’uomo, vedi il comunismo , come il peggiore dei mali possibili, alle storture e mistificazioni contenute nei testi “sacri”, come indubitabili manifestazioni della divinità. “Se non state attenti i mass media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono”, dice Malcom X.
La peggiore di queste distorsioni è data dalla divisione in pastori e pecore, dove “pecore” sono i fedeli, che seguono docilmente il proprio pastore, ovvero lo stregone-sacerdote che si atteggia a guida e a depositario della divinità. Ma stupido è anche chi non alza gli occhi per vedere un bel tramonto, chi non è capace di notare e vivere la bellezza di un’opera d’arte, l’intensità di una musica, la perfezione di un fiore. Insomma, chi dorme pur essendo sveglio. Ma il fatto più notevole, l’autentica dimostrazione di appartenenza alla categoria degli stupidi è che lo stupido crede che tutti siano stupidi tranne che se stesso. Tutto questo lo pone in una condizione di giudice, giustificata dalla sua presunta superiorità sul resto del gregge.
E non è il caso di farsi illusioni: dice Einstein: “Due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana. Ma sull’universo ho ancora qualche dubbio”.
Da parte sua Pino Aprile, nel suo “Elogio dell’imbecille” evidenzia una sorta di dinamica, quasi una componente darwiniana dell’evoluzione, per cui gli stupidi sono sempre in aumento, in rapporto a una inarrestabile riduzione del volume del cervello. Ma già Nietzsche aveva intuito questa direzione della storia e l’aveva definita “il tripudio dei mediocri”. L’ ostracismo nei confronti del diverso, di chi non si omogeneizza all’insignificanza, di chi vuole conservare se stesso in mezzo all’annullamento collettivo della propria identità.
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