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La lotta contro la mafia non è di destra né di sinistra: è vero?

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Facciamoci alcune domande

A chi ripete che la lotta contro la mafia non ha colore politico è necessario, prima di dare una risposta, fare un invito alla riflessione, ove riflettere abbia ancora qualche importanza, e invitare a tentare di dare una risposta preliminare ad alcune domande:

Prima domanda

Come mai i 47 sindacalisti uccisi nel ’46-47 erano tutti di sinistra? I più moderati, come Placido Rizzotto di Corleone, Epifanio Li Puma di Petralia Soprana, Calogero Cangialosi di Camporeale, e molti altri, appartenevano al Partito Socialista, che allora sapeva davvero difendere gli interessi dei lavoratori. Dove stava e con chi stava la destra allora?

Seconda domanda

Come mai gli agrari, i grandi proprietari, i mafiosi, i separatisti ad essi alleati e il gruppo dirigente democristiano, che si servivano della banda Giuliano, erano tutti fieramente anticomunisti? Com’è ormai accertato, la strage di Portella della Ginestra, consumata con la complicità di politici, mafiosi, fascisti e americani, fu “un esempio” da dare ai siciliani che, dieci giorni prima, avevano fatto vincere le elezioni alla lista socialcomunista Blocco del popolo. Nella spartizione delle aree di competenza non c’era spazio per una Sicilia socialcomunista. Un esempio con ottimi risultati per le classi dominanti siciliane, a giudicare da quel che ne è seguito.

Terza domanda

Come mai il resto delle vittime della mafia ha continuato a essere “di sinistra”?: non è il caso di citare Pio La Torre, Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, il giudice Terranova, ecc.. L’elenco è lunghissimo, a parte due sole eccezioni, Beppe Alfano e Paolo Borsellino: Alfano era un giornalista de La Sicilia troppo curioso, simpatizzante inizialmente del Movimento Sociale Italiano, ma negli ultimi tempi defilato, ucciso dai mafiosi di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre Borsellino era stato, da universitario, iscritto al del Fuan ed era buon amico dell’on. Tricoli, storico giurista missino, che era andato a trovare lo stesso giorno in cui fu ucciso: troppo poco, in verità, ma sufficiente ai piccoli fanatici fascisti per dare una patente di “camerata” al giudice ucciso. Fa testo per tutte una delle ultime interviste, censuratissima dalla RAI, rilasciata da Borsellino qualche mese prima della sua morte, con precise accuse nei confronti di Berlusconi, (del quale il camerata Fini è stato il vice), e di Dell’Utri.

Ci sono delle eccezioni o accezioni cristiane o democristiane, come Pasquale Almerico, Vito Lipari, Piersanti Mattarella, Michele Reina, don Pino Puglisi, Levatino, che comunque con la destra non hanno nulla da spartire.

Quarta domanda

Come mai i parenti di queste vittime, presunte di destra, figli di Alfano, Chicco e Sonia, la sorella di Borsellino Rita, il fratello Salvatore, la moglie Agnese, si sono tutti schierati a sinistra? Anche qua poche eccezioni, una fra tutte quella di Piera Aiello diventata deputata Cinque Stelle.

Quinta domanda

Come mai nel 1971 i “picciotti” di Badalamenti e quelli di Liggio stavano per realizzare un colpo di stato sotto la guida di Junio Valerio Borghese, capo della Decima Mas, sulla cui identità di fascista purosangue non ci sono dubbi?

È chiaro che l’affermazione che “l’antimafia non ha colore politico”, non può provenire da uno che crede nella sinistra, ne conosce la storia, le idee e le insormontabili barriere che dividono le due posizioni: tuttalpiù proviene da qualcuno che cerca di mascherare e giustificare le sue simpatie per la destra assumendo magari ipocrite posizioni di distacco dalle ideologie. Pertanto è necessario, prima di tutto, cominciare a dare una risposta alla domanda “che cos’è destra e che cos’è sinistra”, e, giacche ci siamo, anche “centro” e subito dopo, dare una risposta alla domanda “che cos’è la mafia”.

Destra e sinistra

Il simbolismo deriva dalla Rivoluzione Francese: a destra sedevano gli aristocratici, i difensori dell’antico regime e dei privilegi, insomma tutti quelli che erano contrari allo sviluppo della rivoluzione, al centro c’era la “palude”, ovvero una massa, indistinta e oscillante, pronta a spostarsi da una parte all’altra, a sinistra gli esponenti moderatamente rivoluzionari e all’Estrema i giacobini e i radicali. Quindi la destra come portavoce della conservazione, della reazione, del privilegio e dell’autoritarismo, la sinistra come alfiere dell’innovazione, del progresso, delle riforme, della rivoluzione. Da allora lo schema è diventato comune alle varie culture politiche europee, indicando che la destra sta nella fascia sociale che si caratterizza per ricchezze e privilegi, la sinistra nell’altra metà del cielo. Nel tempo le distanze tra le due posizioni si sono avvicinate, gli estremismi hanno trovato il luogo della mediazione nel “centro” oppure nella revisione ideologica della definizione di classe sociale. Se ci intendiamo su questa generica definizione, ha ragione Berlusconi quando definisce “coglioni” gli industriali o i ricchi che votano per la sinistra, così come la stessa cosa si può dire dei “proletari”, ovvero dei lavoratori, disoccupati, morti di fame, che votano a destra, per l’uomo più ricco d’Italia. Idem dicasi per i proletari americani che votano per il miliardario Trump.

Torniamo alla mafia

È vero, diceva Michele Pantaleone, che essa è pronta a schierarsi con il potere, da qualsiasi parte esso provenga, separatista, democristiano, socialista, ecc., ma questa duttilità, questo opportunismo, è un effetto: se il mafioso deve scegliere, a parte isolati casi, si schiera col centrodestra. Anteriore alla scelta politica dei mafiosi c’è solo il fine supremo delle loro azioni: fare soldi sulla pelle degli altri attraverso l’uso della violenza e dell’intimidazione, e quindi detenere comando e prestigio con l’uso della forza, contrattare, attraverso l’uso di questa forza, con il potere politico, garantendone la conservazione, in cambio del controllo sugli affari.

Tutto questo non vuol dire che chi vota centrodestra è mafioso: è un discorso da stupidi, oppure in malafede: vuol dire invece che buona parte della borghesia siciliana non è mai riuscita a sollevarsi dalla sua condizione parassitaria e improduttiva e che, all’interno di essa, (per ribadire una definizione creata da Mario Mineo, sviluppata da Umberto Santino e poi utilizzata da magistrati e storici vari), una parte della borghesia siciliana, è mafiosa.

Una volta che abbiamo inquadrato le coordinate destra-sinistra, la composizione della classe sociale in cui si riconosce la mafia, la provenienza politica delle sue vittime, i suoi obiettivi, le sue strategie, la conclusione è facile ed evidente. Chi sta a destra ha sinora storicamente mostrato o di convivere con la mafia, o di esserle ostile solo se questa gli chiede la sua “quota”, o di scontrarsi momentaneamente con essa, com’è successo durante il fascismo, se essa esprime un potere concorrenziale col potere assoluto, salvo, alla fine concludere il tutto con un accordo.

Chi guarda e chi si impegna

E tuttavia questa tradizionale chiave di lettura oggi non basta più. Stiamo vivendo in un momento storico in cui si tende a diluire differenze ideologiche, tensioni morali, barriere sociali in una sorta di magma in cui la confusione è uno dei migliori terreni di penetrazione delle strategie mafiose. In questo contesto esistono tante brave persone che, senza porsi problemi di schemi o di schieramento politico hanno una propria personale coscienza che le porta a prendere distacco e posizione ostile alla mafia, a non avere nulla da spartire con estorsori, protettori, ricattatori e assassini: tra questi c’è chi si ferma al distacco, chi invece fa scelte chiare d’impegno civile. Anche l’appartenenza a una classe sociale non comporta più una discriminante ideologica, se è vero che il maggior partito della sinistra ha scelto da tempo di schierarsi con il ceto medio, di difenderne gli interessi e di esserne espressione, di accogliere al proprio interno uomini provenienti dalla destra più retriva, lasciando il terreno aperto a collusioni, accordi, ibride alleanze, loschi affari. Mancando i punti di riferimento, si rischia di essere vittime della propria ingenuità, di essere da paravento alla mancanza di scrupoli degli altri, in altri termini di elogiare Totò Cuffaro quando scrive che “La mafia fa schifo” o di condividere l’ipocrisia di tutti gli imprenditori che vanno a firmare le richieste dei ragazzi di Addio Pizzo, salvo poi andare a fare la spesa nei supermercati che pagano il pizzo o pagare il pizzo essi stessi. Tutti insieme appassionatamente è come dire, con Sciascia, “se tutto è mafia, niente è mafia”, e, in questo caso, “se tutto è antimafia, niente è antimafia”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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