Molto è stato scritto sull’argomento: “italiani brava gente”, italiani “popolo di navigatori, poeti, santi”, “maledetti italiani” ecc.

Nell’Ottocento Mazzini, ha teorizzato l’esistenza di una “terza Roma”, dopo quella dei Cesari e quella dei Papi, la “Roma del popolo”, con cui gli Italiani avrebbero dovuto proporsi all’Europa come i promotori della lotta per la conquista della patria e della democrazia. Nella retorica della storiografia ufficiale, la lotta per la patria sembrò realizzarsi nell’epopea risorgimentale, per contro, quella per la democrazia aveva precursori troppo illustri e più stabilizzati, dall’Inghilterra, agli Stati Uniti, alla Francia, per sperare di poter suggerire qualcosa di nuovo oltre le teorie autoritarie e spregiudicate del “Principe” di Machiavelli. E così, dopo l’unità, bisognò adoperarsi per “fare gli Italiani”. Si poteva, si doveva scegliere il federalismo per mettere insieme stati regionali con culture ed economie del tutto diverse e invece, nella paura che il nuovo soggetto politico-geografico si sgretolasse, si scelse il centralismo autoritario e l’amministrazione delle province come conquiste personali del re di Sardegna. La violenza con cui vennero represse le agitazioni popolari, dalla rivolta palermitana del Settebello (1866) al diffuso fenomeno di disagio sociale, definito “brigantaggio”, sono un chiaro esempio di come la Destra italiana decise di risolvere i problemi del lavoro, della sopravvivenza, dell’economia, prima di quelli della democrazia, con le armi.

Militari italiani in Slovenia (1944) che ordinano ai prigionieri di scavarsi la fossa

Dopo l’inutile esibizione di forza di Bixio, con la fucilazione dei contadini di Bronte, seguì l’episodio di Porto Lanfranco, (14 agosto 1861), (ricordato come “il massacro dimenticato”, su “La Repubblica” del 27 agosto 2010), dove la morte di 40 bersaglieri venne “vendicata” con la distruzione del paese e con l’eccidio di 400 persone innocenti: nulla di diverso dall’operato dei nazisti alle Fosse Ardeatine. Con il suo autoritarismo da operetta l’ex-rivoluzionario siciliano Francesco Crispi riuscì a distruggere il grande movimento di ispirazione socialista de “i Fasci siciliani” con fucilazioni, incarcerazioni, processi, condanne, lasciando ai suoi conterranei l’emigrazione, come unica possibilità per cercare un tipo di vita e di società diversa. Le crudeltà degli Italiani in Libia e il massacro gratuito dei capi berberi venuti a consegnare la resa, sono ulteriori esempi di cattiverie e di ferocia, non molto distanti dalle decimazioni ordinate dal generale Luigi Cadorna durante la prima guerra mondiale, per dare un esempio a chi avesse meditato di disertare o di dare ascolto alla propaganda socialista. Italiani. La spirale si completa con il fascismo: il clima di terrore imposto dalle squadracce, le sadiche violenze nei confronti degli indifesi, i delitti, da Matteotti ai fratelli Rosselli, le complicità con le forze dell’ordine che ne appoggiavano l’operato, sono momenti di un regime in cui il duce era l’italiano stesso, o ciò in cui l’italiano si riconosceva e si realizzava. Il tutto condotto attraverso l’appoggio iniziale del Partito Popolare e con l’occhio benevolo della chiesa, stretta poi nell’abbraccio mortale del Concordato.

Le atrocità commesse in Etiopia, in Slovenia, si legano perfettamente con quelle dei fascisti italiani in guerra in Spagna per “una nuova crociata” e con le carognate dei repubblichini di Salò al servizio dei nazisti.

La Resistenza rappresenta un fragile momento di riscatto che coinvolse, secondo stime attendibili, direttamente circa 200.000 uomini e donne, oltre un numeroso indotto, ma che ridiede una dignità al servilismo italiano, alla sua divisa cangiante di voltagabbana, al suo abituale schierarsi con l’apparentemente più forte. Parametri simili troviamo soprattutto nelle regioni meridionali, dove la debolezza la vigliaccheria, l’accettazione passiva e la diffidenza per qualsiasi tipo d’innovazione hanno lasciato prolificare il terreno di cultura di chi, attraverso la violenza e l’oppressione, ha imposto un sistema di potere al servizio del privilegio e dello sfruttamento. In ciò i mafiosi non hanno nulla di diverso dai dirigenti d’azienda che impongono contratti di lavoro capestro, o dai tangentisti al servizio delle lobby politiche.

Secondo una casistica molto diffusa nella scuola, chi diventa professore tende a far subire agli alunni le stesse cose che egli subiva quando era alunno. È il modello introiettato che si trasmette.

Non parliamo di disciplina militare o di gestione dell’ordine nelle carceri. Conclusione: il trasformismo è italiano, il fascismo è nato in Italia, il regime democristiano identificatosi nel duce-papa è stato più longevo perchè protetto dagli Stati Uniti, privo di alternative credibili e perfettamente in linea con il binomio “pastore-pecore”. Negli anni ’50 si cantava, nelle chiese e nelle processioni:

“Bianco padre che da Roma/ ci sei meta, luce e guida,

in ciascun di noi confida,/ su noi tutti puoi contar.

Siamo arditi della fede,/ siamo araldi della croce,

al tuo cenno e alla tua voce/ in esercito marciam”

La struttura militaresca della chiesa, con le sue gerarchie, i suoi cerimoniali, la sua piramide medioevale, (chierico, suddiacono, diacono, arcidiacono, prete, arciprete, monsignore, eccellenza-vescovo, arcivescovo, eminenza-cardinale, santità-papa), i fedeli occupano solo la base, l’ultimo gradino, immersi inequivocabilmente nel ruolo di pecore o di strumento di esecuzione delle volontà che provengono dall’alto, dal “pastore” che, quando parla” ex cathedra Petri” è infallibile. Ipse dixit. Bergoglio ci sta provando a scardinare le millenarie regole della disuguaglianza, soprattutto quella economica, che divide gli uomini, ma non sono tutti i cristiani a volere un ritorno alle origini, una chiesa dei poveri e una “ecclesia” dove ognuno ha un ruolo.

Strettamente connessa è l’altra caratteristica del “cambiare idea” repentinamente, del lasciarsi attrarre dalle mode o dagli uomini che attraverso una facile demagogia da incantatori di serpenti, facendo leva su arcane paure o su reali problemi di disparità sociale, di ingiustizie, prospettano un futuro radioso e comunque, migliore del presente, si chiamino essi Mussolini, Berlusconi, Grillo, Bossi-Salvini. “Italiani voltagabbana” li ha chiamati Bruno Vespa, che conosce bene il suo pollaio.

Imprescindibile, nell’identità italiana il fenomeno della corruzione, per il quale occupiamo uno degli ultimi posti nel mondo: dietro di essa c’è l’idea che attraverso il denaro, si possono alterare le regole e si possa conseguire ciò che non è consentito. “Fatta la legge trovato l’imbroglio”. E’ ciò che la mafia, ma anche il fascismo, fanno attraverso la forza e l’intimidazione. Molto lontana, fuori dai comportamenti che regolano la vita dell’insieme sociale, sembra l’idea di una rivoluzione, di una ribellione di massa, di un sommovimento che scuota dalle basi la stratificazione della disuguaglianza che regge l’ordine sociale costituito. In una sola parola gli Italiani sono conservatori e le poche ventate di progressismo servono solo a stabilizzare ciò che è, ciò che deve essere così com’è. Il gattopardesco “far vedere che qualcosa cambia affinchè nulla cambi”. “Muss es sein?, es muss sein!” è scritto nell’ultimo movimento
dell’ultimo quartetto di Beethoven, poi ripreso dalla magistrale reinterpretazione di Leo Ferrè. In ciò neanche i tedeschi scherzano: accettazione, immutabilità, staticità, preghiera come unica possibilità di sommovimento soggettivo, oppure. se si sta dall’altra parte della gerarchia, violenza, imposizione dell’ordine, stabilizzazione. Deve esse L’inequità ricchi-e-poveri re. “La grandezza (o la piccolezza) di un uomo risiede nel fatto che egli porta sulle spalle il suo destino come Atlante portava sulle spalle la volta celeste”. (Milan Kundera). Lo porta, ma non ne è artefice, come invece credevano gli umanisti del Rinascimento, primo fra tutti Pico della Mirandola nel suo “De dignitate hominis” . Il tempo passa. Anche la dignità.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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