L’autore, sacerdote, sembra parlare più da cristiano deluso e speranzoso che da persona che conosce bene l’ambiente ecclesiastico. Del resto, lo stesso, nel corso dei suoi anni da parroco a Brancaccio non ha certo fatto mancare la sua forza e le sue idee per una ricristianizzazione del territorio in cui operava, e anche dopo ha sempre cercato di far valere il suo contributo in diversi modi. Anche nei suoi ultimi libri, ha affrontato con schiettezza il comportamento della chiesa, fornendo esempi e progetti possibili per una liberazione dalle mafie.
Leggendo il libro di Giuè, emerge un’incredibile distanza dell’episcopato nazionale dal tema delle mafie. A differenza delle singole diocesi che, soprattutto negli ultimi tempi hanno prestato più attenzione. Nessun j’accuse ma un’attenta analisi che se non chiede delle risposte, sicuramente auspica una maggiore attenzione di fronte ai poteri maligni che operano nella società. E le mafie, sotto ogni sfaccettatura, sono le prime tra queste. Nemmeno durante le stragi di Capaci e Via d’Amelio i vescovi citano quei terribili avvenimenti. E quando parlano delle organizzazioni criminali lo fanno sempre in modo assai generico. Lo fanno però, nei documenti dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro e dopo il terribile incidente ferroviario di Crevalcore nel 2005.
Francesco ha scelto l’ultimo segretario della CEI da una chiesa di periferia della Calabria. La stessa dov’era vescovo e dove il pontefice venuto dalla fine del mondo ha pronunciato la famosa scomunica ai mafiosi. E tutto questo fa ben sperare, nella consapevolezza di quanto si potrebbe fare, consapevoli di sapere che il tempo delle denunzie è passato, quello del vero contrasto deve ancora arrivare.
Rosario Giuè, Vescovi e potere mafioso, Cittadella editrice, pagg. 186
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