Il mio amico Riccardo Orioles libero, felice e non più povero
Ora Riccardo Orioles ha una pensione in tasca per «meriti civili e antimafia». Ha 67 anni e il diabete.
Tre mesi fa trentaduemila persone hanno firmato la petizione «mandiamoinpensioneorioles». E pochi giorni fa lo Stato gli ha riconosciuto il beneficio della legge Bacchelli. Non è uno simpatico a tutti. Come tutti quelli coerenti che credono al fatto che la vita senza idee non vale nulla. Lui ha sacrificato «alla fine della mafia» e alla formazione dei ragazzini tutte le cose della vita: salute, carriera, conti, tempo, famiglia. Chi è costui, ora che il governo italiano gli ha riconosciuto una pensione per chiara fama e meriti civili? Riccardo è come era 37 anni fa quando a Catania abbiamo iniziato a fare i cronisti insieme. Alla scuola di Pippo Fava. Il giornale si chiamava Giornale del Sud. Orioles è arrivato in quella redazione nell’autunno 1980. L’anno delle stragi di Ustica e della stazione a Bologna, degli omicidi del presidente della Regione Piersanti Mattarella e del procuratore Costa. Piccolo, pieno di energia, malandato fisicamente. Nella primavera 1980, aveva vinto una borsa dell’ordine dei giornalisti e si era presentato a Pippo Fava. «Ho letto i suoi libri. Vorrei lavorare qui», proclamò, senza mai togliere la pipa dai denti. Lui è di Milazzo. A quel punto aveva fatto il ‘68, scritto pezzi su “Lotta continua” prima e “Il manifesto” poi e preso botte dai fascisti davanti all’università di Messina. Il pomeriggio del suo arrivo al Giornale del sud, si era seduto nel corridoio, aspettando di parlare con Fava.
«Salve, sono Orioles», aveva detto entrando nella stanza della cronaca. Aveva afferrato una lettera 22 dal tavolo. E si era messo a scrivere, con la macchinetta poggiata sulle ginocchia. «Lavorerà con voi…», annunciò Pippo Fava sorridendo. «E’ un tipo strano, ma un buon acquisto…».
In quel giornale che non c’è più, si occupava di nera, traffico di droga e di criminalità. Scriveva e scrive bene. Suscitava e suscita l’ilarità di quelli che lo incontravano per strada, con quell’aria da monaco laico e marziano sbarcato in città. Ma a lui non importava. Gli importa ancora oggi soprattutto dei ragazzi persi. Un po’ Robin Hood, un po’ Peter Pan, ma antimafiosi, certo.
Nell’estate 1981, aveva deciso di fare un’inchiesta sullo spaccio a Catania e sui ragazzi tossici. A mezzanotte, in piazza Roma, si era appostato dietro una cabina telefonica. Si era avvicinato a un ragazzo, chiedendo: «Quant’è la roba?». «Polizia! Venga con me», grida il poliziotto travestito da spacciatore. Riccardo aveva imprecato contro se stesso: né lui né lo “sbirro” avevano capito nulla dell’altro. «Siamo pari», si era consolato Riccardo. Da quel momento in poi, era stato zitto. In questura, per un po’ aveva finto, cercando di recuperare una brutta figura per trasformarla in un servizio su «come la polizia tratta i drogati». L’indomani, il capo della mobile aveva telefonato per scusarsi.
Orioles chiama ancora ora “sede” la redazione del giornale dove lavora. Se capita ci dorme dentro, con la scusa di lavorare fino a tardi su un’inchiesta. E i suoi colleghi sono tutti “compagni”, non colleghi. Da allora ha fatto sempre così il mestiere. Ai Siciliani, ad Avvenimenti, in siti e fogli web studenteschi che ha creato. Ci sono decine di ex ragazzi, oggi uomini, che affollano le redazioni di mezza Italia che hanno imparato e imparano da lui. Un esempio non retorico da segnalare.
A costo di essere felici, liberi, ma poveri. E ora però con una pensione Bacchelli in tasca, per “chiara fama” e “al merito civile”. Per curare i malanni e continuare a insegnare l’antimafia sociale ai ragazzini.
Fonte: La Repubblica Palermo – Antimafiaduemila