Caratteristiche
Dioniso è un dio “polimorfos”, nel quale trovano sintesi e fusione gli opposti di qualsiasi tipo, l’amore e la morte, la gioia e il dolore, la paura e l’estasi, il maschio e la femmina, la luce e il buio, la pace e la guerra, la ferocia e la dolcezza.: grande è la sua capacità di cambiamento e di adattamento a qualsiasi situazione. Dioniso non è sintesi, ma coesistenza degli opposti.
Nascita di Dioniso
Sulle sue origini ci sono diverse versioni:
-Zeus si innamora di Semele, figlia di Cadmo e la ingravida. Al suo sesto mese, Era, gelosa, prende le sembianze di una vecchia vicina e convince Semele a chiedere a Zeus di mostrarsi nelle sue vere sembianze. Zeus, al quale Semele aveva negato il letto, se non avesse soddisfatto alla sua richiesta, irritato si mostra in tutta la sua potenza, Semele rimane fulminata, Zeus decide di salvare il feto, chiama Ermes che lo aiuta a cucirlo dentro una sua coscia, da cui uscirà a tempo debito, un bambino cornuto e anguicrinito, Dioniso. Quindi egli è il “nato due volte”, ma c’è una terza nascita allorchè i Titani, spinti da Era, lo catturano, lo fanno a pezzi, lo bolliscono e lo mangiano. Dal suo sangue spunta un albero di melograno. La nonna Rea ne mette insieme i pezzi , raccogliendo le briciole di presenza
Una variante narra che quando Zeus tornò da Semele, le promise di darle in regalo qualsiasi cosa desiderasse e la ragazza, appositamente indottrinata da Era sotto i panni della sua nutrice, chiese al dio degli dei di manifestarsi in tutta la sua potenza. Zeus, disperato, a causa della sua promessa fu costretto a realizzare la richiesta di Semele, che rimase uccisa. Da qui la coscia di Zeus, diventata una sorta di utero, dove Dioniso trascorse i restanti tre mesi della sua gestazione.
Il piccolo Dioniso venne affidato da Zeus ad Atamante e Ino, sorella di Semele, ma Era scoprì tutto e fece impazzire Atamante, il quale uccise suo figlio Learco con delle frecce, mentre Ino uccise l’altro figlio Melicerte in una tinozza di acqua bollente, prima di rendersi conto, una volta rinsavita, del suo misfatto e di gettarsi a mare per il dolore. Il piccolo Dioniso venne trasformato in capretto da Zeus e affidato alle Iadi, ninfe dei boschi, le quali lo crebbero come una di loro e ne affidarono l’istruzione a Sileno, un satiro anziano figlio di Pan. Sileno rappresenta lo spirito della danza della spremitura dell’uva nel palmento ed il suo nome deriva dalle parole seiô, “muoversi avanti e indietro” e lênos “il trogolo del vino”. Ancora una volta Era che fa
Caratteristica principale di Dioniso è il tiaso, ovvero un corteo di Menadi e Satiri che cantano il ditirambo e praticano lo Sparagmos, ovvero mangiano le carni crude degli animali sacrificati. In Tracia regna Licurgo, ostile all’introduzione del culto dionisiaco e il dio lo fa prima impazzire, al punto che egli uccide a colpi d’ascia il figlio, scambiandolo per un ramo d’edera, e poi viene linciato dai suoi sudditi, che lo ritengono colpevole della siccità voluta da Dioniso. Sottomessa la Tracia, passa in Beozia e poi alle isole dell’Egeo, dove noleggia una nave da alcuni giovani marinai diretti a Nasso, i quali sono invece pirati che intendono vendere Dioniso come schiavo, ma il dio tramuta in una vite l’albero maestro della nave e cambia il suo aspetto trasformandosi in leone, e riempiendo la nave di animali feroci, al punto che i marinai, spaventati, si gettano a mare e sono trasformati in delfini che per riconoscenza al dio che li ha fatti vivere, si dedicano a salvare i naufraghi. Il timoniere Acete, che non ha condiviso la scelta dei suoi compagni, diventa sacerdote del dio.
Le peregrinazioni dionisiache continuano con l’arrivo a Tebe, dove regna Penteo, contrario ai riti in onore di Dioniso.La storia è narrata nelle Baccanti di Euripide. Dioniso fa impazzire le sue Zie Agave, Ino e Autonoe e spinge alla pazzia anche Penteo, il quale, recatosi ad osservare di nascosto i riti in onore del Dio viene scoperto e squartato dalle Menadi, alla cui testa c’è la madre Agave.
Il culto può così affermarsi in tutta la Grecia e Dioniso è ammesso tra le dodici divinità dell’Olimpo al posto di Estia, che non ama la vita e i pettegolezzi degli altri dei che abitano sul monte sacro. Neanche Dioniso resterà sull’Olimpo: egli sta tra gli uomini e a loro manifesta le sue epifanie attraverso l’eccitazione dei sensi e l’amplificazione delle sensazioni.
Secondo un’altra versione, Dioniso è figlio di Zeus il quale prima si accoppia con Demetra: da questo amore nasce Persefone, con la quale Zeus si accoppia, sotto forma di serpente, dando vita a Dioniso. C’è un preciso legame con il regno dei morti, da dove Dioniso proviene, generando la vita nel mondo terreno. Altre versioni rivisitate lo presentano come figlio di Ade e Persefone, per coprire lo scandalo del doppio incesto di Zeus, prima con la sorella e poi con la figlia. Di fatto Dioniso è , come sua madre, una divinità ctonia, cioè sotterranea, rivelando la sua caratteristica di rimanere legato alla terra, al sottosuolo dove crescono le radici della vita, ma anche la sua esplosiva forza che trascende il regno dei morti, sia con la sua resurrezione, sia con la rinascita della vita sul pianeta dopo la morte invernale. In ciò la sua potenza di lega con quella della madre Persefone, che torna ogni anno sulla terra dagli inferi, causando il ritorno della primavera, e con quella del mito egiziano di Osiride, fatto a pezzi da Orus e ricucito da Iside, in modo tale da tornare a risplendere generando la stagione primaverile di vita e resurrezione.. Miti tipici della mediterraneità.
La doppia identità di Dioniso è data dal più importante dei suoi simboli, la maschera, e dalla conseguente nascita del teatro, nelle due forme della Tragedia e della Commedia
L’origine della tragedia greca, alla quale il giovane filologo Nietzsche ha rivolto la sua attenzione, ha come punto di riferimento la Poetica di Aristotele.
Sull’etimologia della parola sono state date diverse versioni,, delle quali la più nota e adottata è quella di trago(i)día (τραγῳδία): con le due radici di “capro” τράγος / trágos) e “cantare” (|ᾄδω / á(i)dô), sarebbe quindi il “canto del capro”: potrebbe esserci un riferimento al premio che in origine era consegnato al vincitore dell’agone tragico , cioè un capretto, o al sacrificio di questo animale, sacro a Dioniso, che spesso accompagnava le feste in onore del dio. Secondo il filologo J. Winkler il nome “tragedia” potrebbe derivare da traghìzein (τραγὶζειν), un vocabolo poco usato, che significa “cambiare voce, assumere una voce belante come i capretti”, in riferimento agli attori.
Il capro esprime anche la selvatichezza, la libidine, il piacere del cibo, cioè alcuni degli aspetti del dionisismo . IL rito sacrificale, che ancora oggi è presente (per esempio a Terrasini, nel giorno prima della Festa degli Schetti, si fa “l’arrustutua d’u crastu”, ovvero una maxi grigliata con carne di montone, distribuita a tutti i presenti. La festa cade nel giorno di Pasqua, cioè all’inizio della primavera, della quale è espressione l’albero alzato in piazza o davanti alla casa della donna amata, con la forte valenza sessuale di questo rito). Diciamo che anche in questo caso si è avuta una cristianizzazione di un rito, che rimane pagano, ove si eccettui la benedizione dell’albero da parte del prete. Nel tempo questi rituali sono stati associati a danze e a riti espressioni della lotta primordiale e della vittoria del bene sul male, con l’avvento del giorno che si allunga e con esso della luce e della bella stagione.
Secondo la Poetica di Aristotele la tragedia nasce all’inizio dall’improvvisazione di chi da il via, cioè intona il “ditirambo” un canto corale in onore di Dioniso. A partire da alcuni elementi satireschi la manifestazione acquista un linguaggio più intenso e si riveste di contenuti più gravi. Anche il testo, prima improvvisato, viene scritto. Il coro è disposto in cerchio attorno a thymele (θυμέλη), l’ara sacrificale, e canta. Il corifeo, cioè il capocoro, in un certo momento si stacca e comincia a dialogare con il coro , viene col tempo introdotto un hypocritès (ὑποκριτής), “risponditore”, parola che in seguito prenderà il significato di attore, che pronuncia le parole di Dioniso, rivolte al coro: così nasce il dramma e il ditirambo, da momento epico-lirico-religioso diventa dramma e teatro .
Lo spirito più popolare dei riti e delle danza dionisiache sopravvivono nel dramma satiresco.
Nel 1871 un giovane filologo tedesco, Nietzsche, pubblicò un libro che desto molto scandalo tra i suoi colleghi dell’epoca: “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. Egli individuava in Dioniso e in Apollo gli aspetti più significativi della cultura greca e in particolare della tragedia. Notava come dalla sua originaria libertà e istintualità, tipiche di Dioniso, la filosofia e, in particolare la tragedia si erano trasformate, a poco a poco, attraverso il moralismo socratico e il realismo Euripideo in una prevalenza dello “spirito apollineo”, più incline alla bella forma, alla razionalizzazione, e poi, in Aristotele, alla catarsi, alla codificazione dei sentimenti e alla creazione di regole e leggi che rimuovevano “lo spirito dionisiaco” e che solo in questo poteva essere rinvenuto il significato autentico della tragedia: la potenza dionisiaca procurava uno stato di estasi ed ebbrezza rompendo le barriere del “principio di individuazione”, ossia quel rivestimento soggettivo che copre e caratterizza la personalità dell’individuo e che più tardi Freud chiamerà Super-io. L’uomo si riconcilia con la natura nella realizzazione di un’armonia universale capace di rimuovere le convenzioni e le divisioni sociali stabilite arbitrariamente dall’uomo. Secondo Nietzsche la vita stessa è istinto, sensualità, caos e irrazionalità, e Dioniso il simbolo perfetto dell’esistenza, una fonte originaria che circola nel corpo e nello spirito, genera vita, capacità di organizzare il caos dentro di sé, ed è la tempesta primigenia del cosmo in eterno mutamento
Diversi studi hanno cercato, spesso forzatamente, di creare parallelismi tra Dioniso e Cristo o di cercare elementi dionisiaci nel messaggio di Cristo. Dioniso è figlio di dio, come Cristo, anzi del padre degli dei che lo ha generato e ne ha curato la gravidanza per gli ultimi tre mesi. Senza volere essere blasfemi, sembrerebbe che anche quello di Maria sia un caso di utero utilizzato per la generazione del figlio di dio. Dioniso-Zagreo risorge, dopo il cibo che del suo corpo a pezzi hanno fatto i Titani: vi si può leggere una “comunione”, nella stessa misura in cui i discepoli mangiano il corpo di Cristo e ne bevono il sangue. Dioniso, salito al cielo, siede alla destra di Zeus, così come Cristo siede alla destra di Dio., ma non resta sull’Olimpo e gira nel mondo, così come Cristo in esso scende, si incarna. Dioniso scende negli inferi per riportare fuori la madre Semele, così come Cristo, dopo la sua morte, va nell’altro mondo per riscattare le anime dei giusti vissuti prima della sua venuta.
Con le linee guida di Paolo da Tarso il Cristianesimo porta a compimento le caratteristiche di una civiltà strutturata sulla moralità, sulla paura del peccato e dell’oltretomba, sulla repressione della sessualità e del piacere, su una considerazione del corpo come veicolo del peccato e della materia come ciò che è più distante da Dio puro spirito. Con il Concilio ecumenico del 692 vennero proibiti ufficialmente cortei, mascherate, invocazioni di Dioniso, ma il poeta bizantino Paolo Silenziario in quel periodo brindava a Bacco-Lieo che “eccita il riso e scaccia i pensieri nefasti” e l’imperatore bizantino per molto tempo continuò ad offrire al Patriarca il primo grappolo reciso.
Gesù è un innovatore, rispetto al selvatico Battista, che aveva rinunciato al pane e al vino, elementi ai quali egli dà in alcune occasioni un valore e una funzione sacramentale. La concezione dell’anima, prigioniera del corpo, quasi che si trovi in un sepolcro, è uguale a quella dei misteri orfici. Molte similitudini si riscontrano anche tra la messa dei catecumeni, cioè di coloro che non erano ancora battezzati e che uscivano all’offertorio e le varie combinazioni dei misteri orfici e dionisiaci, aperti in gran parte a tutti gli strati della società, rispetto ai riti segreti riservati solo a pochi adepti. Nel Medioevo Dioniso viene cancellato da qualsiasi elemento di conoscenza. Si ritrovano le sue tracce , durante e dopo il Rinascimento, nelle mirabili opere di Leonardo, Michelangelo, Guido Reni, Giambologna, Caravaggio, Annibale Carracci.
Anche Dioniso è stato cristianizzato come San Dionigi, ancora oggi molto venerato in Grecia, come colui che inventò la vite e la nascose nel femore prima di un uccello, poi d’un leone e infine d’un asino, per indicare le fasi dell’ubriachezza.
Vangelo Giovanni XV 1,2: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.”
Vangelo Matteo XX 1.16: (parabola della vigna) « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?” Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna.” Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi ».
Il discorso è un po’ sballato e poco rispettoso del lavoro prestato e non retribuito equamente. I richiami sono quelli del buon pastore e del figliol prodigo. La vigna è la chiesa.
Vangelo Giovanni 2,1-10: (le nozze di Cana) Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».
Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le giare» e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono».
Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Commento: Molto sgarbata la risposta di Gesù a Maria: fra l’altro dice che non è arrivato il suo momento e subito dopo compie il miracolo, dopo che Maria, comportandosi come se avesse detto il contrario, ordina ai servi di mettersi a disposizione del Maestro. A giudicare dalla quantità e dalla qualità del vino le nozze si saranno trasformate in una sbronza collettiva.
L’ultima cena: raccontano l’episodio tutti e quattro gli evangelisti:
Matteo 26,20-30[1], Marco 14,17-26[2], Luca 22,14-39[3], Giovanni 13,1-20[4].
Il cerimoniale religioso ancora in atto dice: «Poco dopo prese un calice colmo di vino e dopo averlo benedetto allo stesso modo disse: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.”» Luca sostiene che Cristo dica che non mangerà più “la pasqua”, si presume il pane, e non berrà più il frutto della vite finchè non venga il regno di Dio”, mentre Matteo scrive che Cristo dice: “Non berrò più di questo frutto della vite sino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del padre mio”. Facile concludere che anche nel regno del padre di Dio, cioè nel regno dei cieli, circoli il vino. La cosa è ripetuta anche nel vangelo di Marco (XV, 22): “Prese il calice, rese grazie e lo diede loro, che ne bevvero tutti, e disse: questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio” . Secondo Matteo egli berrà assieme ai discepoli, secondo Marco berrà da solo.
“Il vino è il sangue dell’alleanza versato per molti in remissione dei peccati” (Matteo XV 29). Anche qua al vino è dato un forte significato terapeutico, nel senso che ha la capacità di rimettere i peccati degli uomini. Il vangelo di Giovanni non accenna al rituale eucaristico. Si noti infine che i biblisti ormai accettino che l’ultima cena non è la Pesach, cioè la cena pasquale degli ebrei, ma una cena del giorno prima. La celebrazione pasquale prevedeva che, nel giorno di preparazione della Pasqua, gli Ebrei portassero un agnello al Tempio (o più frequentemente lo acquistavano lì) per farlo sacrificare, poi tornavano a casa e preparavano una cena particolare carica di simboli collegati all’esodo (carne di agnello, erbe amare per ricordare la schiavitù in Egitto, pane azzimo per ricordare la fretta nell’uscita dall’Egitto, e diverse coppe di vino rituali). Giunto il tramonto, che secondo la tradizione in vigore presso gli Ebrei indicava l’inizio del giorno di Pasqua, si consumava il pasto pasquale. Si noti l’analogia tra il sacrificio dell’agnello, che poi diventerà “agnus dei” , tale e quale il capretto in cui venne trasformato Dioniso da Zeus, animale sempre presente nei cerimoniali religiosi dionisiaci, ebraici e cristiani.
Il teatro di Dioniso è situato presso l’acropoli di Atene. Fu il teatro più importante del mondo greco nel V e IV secolo a.C. e venne utilizzato dai più significativi autori greci (Eschilo, Sofocle ed Euripide per la tragedia, Aristofane e Menandro per la commedia) per mettere in scena le loro opere.] Venne costruito agli inizi del V secolo a.C. a ridosso del santuario di Dioniso. Poteva contenere 15.000 presenze
Nelle falloforie propiziatorie del raccolto, molto diffuse nel mondo agricolo dell’antica Grecia e poi in Italia e nei territori dominati dai Romani, le processioni con il fallo terminavano con una pioggia- aspersione di acqua mista a miele e succo d’uva, indirizzata verso i campi, che rappresentava l’eiaculazione del seme origine della vita e quindi propiziava l’abbondanza del raccolto. In ambito misteriosofico, il contesto mitico della festa viene riletto alla luce dello smembramento di Dioniso: il dio viene fatto a pezzi dai Titani e divorato, e solo un organo viene salvato e nascosto da Pallade Atena. Questo organo, che nel mito viene chiamato “cuore”, secondo Karl Kerényi è una metafora per indicare la sua parte più importante, vale a dire il pene, vero simbolo della ζωή (zōḕ), la vita indistruttibile. Nel mondo classico greco-romano, il fallo era infatti considerato il simbolo della vita per eccellenza, in quanto il pene è il generatore del seme. Nel rito fallico si sacrificava un caprone e se ne occultava il fallo, che poi nella processione veniva sostituito da un enorme simulacro di legno di fico.
Le Dionisie erano, nell’antica Grecia, celebrazioni dedicate al dio Dioniso, nel corso delle quali venivano messe in scena rappresentazioni teatrali tragiche e comiche. Tali rappresentazioni erano di tipo competitivo: una apposita giuria stabiliva la classifica una volta conclusi gli spettacoli. Si svolgevano in primavera, stagione della rinascita e della ripresa dei flussi navali e turistici. Istituite da Pisistrato intorno al 535. Durante le Dionisie, ogni attività della città si fermava e tutti i cittadini erano invitati a collaborare all’evento. Tale era la necessità di coesione sociale che i procedimenti legali venivano interrotti, mentre i reclusi nelle carceri venivano temporaneamente rilasciati per partecipare alle feste. Nel terzo giorno, dopo l’ascolto di inni e ditirambi, La stessa notte aveva luogo una sorta di baldoria istituzionalizzata che durava fino a tardi e alla quale il vino, il furore orgiastico e l’euforia non dovevano essere estranei. Nelle campagne la festa in onore di Dioniso si celebrava in ringraziamento per il raccolto agricolo, soprattutto quello delle vigne. Si svolgeva una processione che può essere in parte ricostruita grazie alla testimonianza di un passo degli Acarnesi di Aristofane: in questa scena la processione era aperta dalla kanephoros (κανηϕόρος, “portatrice del cesto”) che portava un dolce o un pane schiacciato in offerta; seguivano i portatori di “fallo” (ϕαλλοϕόρος) reggendo un fallo su un’asta (ciò in origine aveva lo scopo di propiziare la fertilità dei campi);
Solitamente accompagnato da un corteo chiamato tiaso e composto dalle sue sacerdotesse (dette menadi o baccanti, donne in preda a frenesia estatica e sessuale e invasate dal dio), bestie feroci, satiri e sileni. Care al dio erano le piante della vite (da cui il legame con il vino e la vendemmia) e dell’edera (in particolare alcune specie di edera, contenenti sostanze psicotrope, e che venivano lasciate macerare nel vino). Uno dei suoi attributi era infatti il sacro tirso, un bastone nodoso avvolto da edera e pampini e sormontato da una pigna: altro suo attributo è il kantharos, una coppa per bere caratterizzata da due alte anse che si estendono in altezza oltre l’orlo. Menadi: Il termine Menadi deriva da Menio, re di Orcomeno, città beota vicino a Tebe[. Secondo il racconto contenuto ne Le metamorfosi di Antonino Liberale, le tre laboriose figlie di Menio (dette Menadi) erano disinteressate al culto di Dioniso. Quest’ultimo, però, irritatosi, invase le sorelle e le condusse alla pazzia, all’infanticidio e all’omofagia. Il racconto termina con l’intervento di Hermes che tramuta le donne, ormai diventate incontenibili Baccanti, in tre volatili notturni (pipistrello, civetta e gufo)]. Vestite di pelli animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, esse celebravano il dio cantando, danzando e vagando come animali per monti e foreste. Praticavano lo sparagmòs dal greco σπαραγμός, cioè squartavano gli animali per poi mangiare la carne cruda (omofagia). Solitamente agitavano il tirso, cioè una picca avviluppata dall’edera sulla sommità
Dioniso L’origine del nome Dioniso è suggerita dal genitivo Διός e da νῦσος, quindi il nysos di Zeus: il “giovane figlio di Zeus”. Per altri studiosi, l’etimologia è invece legata al monte Nisa, dove il dio venne allevato (theos-Nyses, il dio di Nisa[; e c’è anche chi propende per il significato di “dio notturno” (theos-nykios)[16]. Il poeta Apollonio Rodio invece propose il significato di “nato due volte” (da di-genes) o “il fanciullo dalla doppia porta”.
Bromio – da βρόμος, “fragore”, “fremito” e usato anche da Euripide ne Le Baccanti, secondo il mito il dio era stato generato in mezzo ai fragori del tuono dalla madre Semele colpita dal fulmine, o perché l’ebbrezza del vino produce fremito e furore;
Lysios o Lieo – “colui che scioglie”;[
Bassareo, soprannome di Bacco derivato secondo alcuni da Bassaro, un borgo della Lidia ove aveva un tempio, secondo altri da una lunga veste chiamata “Bassara” (o “Bassaris”) fatta di pelli di volpi originaria della Tracia che Bacco portava, o da un calzare detto “Bassaro”. La sacerdotessa di Bacco si chiamava Bassarida[9];
Cretogeno – nato a Creta;
Ctonio – in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo;
Zagreo (Zαγρεύς) – cacciatore di selvaggina,; figlio di Persefone e Zeus Katakthonios (lett. “Zeus del sottosuolo”, che alcuni autori interpretano come epiteto di Ade,
la presenza del nome sulle tavolette micenee in lineare B, il carattere orgiastico dei culti della vegetazione della religione minoica, nonché la credenza, diffusa a Creta, che il toro rappresenti una forma di epifania divina (e Dioniso venne talvolta invocato con l’appellativo di “toro”.
La doppia identità di Dioniso caratterizza anche le scelte sessuali: nulla si sa dei rapporti tra Dioniso e le Iadi, che si occuparono della sua crescita vestendolo e trattandolo come una di loro. Data la normalità del rapporto omosessuale di tipo pederastico tra maestro e discepoli, si potrebbe pensare che egli sia stato iniziato dal suo primo maestro, il satiro Sileno e dal centauro Chirone : secondo Tolomeo Chennus (testimonianza raccolta da Fozio nella sua Biblioteca) «il giovinetto Dioniso era amato da Chirone, dal quale apprende le arti del canto e della danza, oltre alle regole iniziatiche dei futuri riti bacchici».
Il primo amore pederastico di Dioniso fu quello espresso nei confronti del giovanissimo satiro di nome Ampelo: l’adolescente con i piedi da capretto rimase ucciso cadendo dalla groppa di un toro impazzito per essere stato punto da un tafano inviatogli da Ate, la dea della malizia. Le Moire a seguito della supplica inviata loro dallo stesso dio che voleva intercedere a favore dell’amante, concessero ad Ampelo una seconda vita in forma di tralcio di vite.
Una tra le storie più note riguarda la discesa del giovane semidio nel regno dei morti per riportare in vita la madre è quella che racconta anche del rapporto omosessuale avuto con Prosimno, il quale si offrì di accompagnarlo sino alle porte dell’Ade, sulla costa dell’Argolide nei pressi di Lerna (e considerato da tutti un pozzo infinito senza possibilità alcuna d’uscita) a patto , come ricompensa, di gli venne chiesta come ricompensa di farsi amare come una donna: Dioniso accettò, ponendo come condizione il suo ritorno dall’ade assieme alla madre Semele. Senonche, al ritorno Dioniso trovò che il pastore era morto e, per onorare la promessa si recò presso la tomba di Prosimno, con un coltello modello un legno di fico a forma di fallo e vi si sedette sopra. La narrazione è riportata da fonti cristiane, nel tentativo di screditare la mancanza di moralità della religione greco-pagana
L’incontro con Arianna è uno dei momenti fondamentali della vita di Dioniso. Il dio giunse all’isola di Nasso, dove incontrò Arianna abbandonata da Teseo (piantare in “asso”) e la sposò, alla presenza di tutti gli dei dell’Olimpo, dopodiché riprese di nuovo il mare per la Grecia, ma con Arianna. Sbarcato ad Argo, Perseo gli eresse un tempio perché placasse le donne di quella città, fatte impazzire dal dio come punizione per l’eccidio dei suoi seguaci, permettendo con ciò a Dioniso di entrare nel consesso degli dei dell’Olimpo. Arianna diventa la sua sposa e la corona di pietre preziose, creata da Efesto a lei offerta, venne lanciata in cielo, diventando la corona boreale. Dagli amori di Dioniso e Arianna nacquero Toante, Stafilo, Enopione, Latramide e Tauropoli. Su queste nozze sono state date diverse interpretazioni, da Nietzsche ad Heidegger. Personalmente sono dell’avviso che il giovane Teseo abbia avuto con Arianna una eiaculatio precox e sia fuggito perchè rimasto atterrito da questa sua brevissima esperienza, essendosi accorto che Arianna è il vero labirinto, nella grande potenza femminile della madre terra su cui è adagiata: alla fine c’è il Minotauro degli istinti più reconditi. Dioniso , per contro, è in grado di darle tutto quello che può contenere il sesso e l’amore.
I Baccanali erano una serie di feste orgiastiche del culto orfico-dionisiaco, importate a Roma dalla Magna Grecia, dove erano molto popolari, attraverso l’Etruria. Secondo Tito Livio le feste avrebbero assunto aspetti e caratteristiche al di là delle norme morali diffuse a Roma, trasformandosi in orge e in azioni ritenute delittuose. A Roma, i Baccanali erano svolti tre volte l’anno nel bosco di Stimula, presso il colle dell’Aventino. Inizialmente, a queste celebrazioni prendevano parte solo le matrone romane. In seguito, furono ammessi anche gli uomini, e le adunanze divennero cinque ogni mese. Il Senato romano riconobbe in questi rituali un pericolo per l’ordine morale e sociale. Le prime restrizioni riguardo a questo culto vennero emanate nel 186 a.C., anno in cui alcune matrone, e non solo, vennero accusate di stuprum e di venera, assieme ad altri capi d’accusa. Furono inoltre sciolte tutte le associazioni bacchiche esistenti nell’Urbe e nella Penisola, anche nelle città alleate. Le celebrazioni vennero del tutto abolite, se non per qualche speciale occasione, previa autorizzazione del Senato, e a condizione che a tali occasioni non partecipassero più di cinque persone (due uomini e tre donne).
“Opinione comune è che si trattò di una questione di difesa dell’integrità del corpo civico romano. La sessualità irregolare matronale continuava ad esser oggetto di repressione per i Romani, al fine di salvaguardare l’essenza dello Stato romano, ossia una società patriarcale strutturata in gentes. Inoltre, il governo romano non avrebbe potuto tollerare che giovani potessero esser iniziati da donne (compito che invece spetterebbe ai patres) a culti orgiastici, in netta contrapposizione alla tradizione, che attraverso la religione cercava di formare cittadini, guerrieri, e padri. Allo stesso tempo, i Baccanali aprivano le loro porte anche a persone di estrazione sociale molto bassa, che in questi riti vedevano una possibilità di riscatto dalla propria condizione umile, e di metter in atto forme d’aggregazione organizzate. Fatto, ovviamente, che li rendeva estremamente pericolosi per l’ordine pubblico”. (dal blog “Tribunus, duemila anni di storia roman” postato da Martina Cammerata il 25 giugno 2021)
Non è solo il vino che provoca “entusiasmo”, ovvero “entrata del dio nell’anima”. Sin dall’antichità si è fatto ampio uso di droghe, spesso solo nei riti religiosi, come canale per congiungersi con il mondo ctonio e con quello nascosto nell’inconscio. Il discorso è complesso e offre elementi per altri incontri, ove si abbia voglia di approfondirlo, ma alla base c’è sempre il bisogno dell’uomo di oltrepassare “le porte della percezione”, (Doors) di trovare stimoli e invenzioni di cui non si è più capaci, a causa delle inibizioni e dell’omogeneizzazione culturale prodotta dalla cosiddetta civiltà. Gli stimoli possono trasformarsi in musica, in poesia, in manifestazioni artistiche di ogni genere, alla cui base c’è sempre lui, Dioniso, il dio capace di spezzare qualsiasi catena, di andare oltre ogni limite, di stimolare i processi creativi, di rigenerare la sessualità dormiente.
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