Annata ricca, massaru cuntentu
È il titolo di una famosa commedia di Nino Martoglio. Procede a ritmo pieno la campagna olearia e quella di quest’anno, si può dire sin da adesso che non è un’annata ricca, ma eccellente, sia per la qualità che per la quantità di olio che si produce.
Gli alberi sono stracarichi e, malgrado il maltempo e il forte vento di scirocco, buona parte delle olive sono rimaste attaccate all’albero, chiaro segnale che l’oliva è sinsera, cioè non ancora attaccata dalla mosca olearia. Si può solo notare che, nel rapporto qualità-quantità la buona qualità spesso perde qualcosa quando c’è una grande quantità, e la resa è minore. Quello di stabilire come e quanto “ietta” l’oliva, ovvero la resa, è un calcolo che varia anche in rapporto ai paesi del circondario. Premesso che, nel rapporto peso-olio il peso delle olive è in chili, mentre quello dell’olio è in litri, e che c’è quindi una differenza che non viene calcolata, in una zona della Sicilia, come quella del partinicese, la media è fatta sulla base del “sacco di macina”, che è di 33 chili: Tre sacchi corrispondono a cento chili. Se cento chili di olio rendono in media 15 litri di olio, l’oliva “ietta” a cinque, cioè cinque litri per ogni sacco da 33 chili. Oggi più sbrigativamente ci si ferma alla percentuale di resa per ogni 100 chili. La resa si aggira dal 12 al 22% e dipende da molti fattori, essenzialmente dal grado di maturazione delle olive, dal tipo di oliva, dal tipo di terreno in cui cresce l’albero, dalla potatura, da eventuali irrigazioni, concimazioni, aratura e trattamenti di disinfestazione. Per quanto ne sappiamo pochi sono i comuni in cui esiste un’anagrafe dell’olio, e che si preoccupano di calcolare la quantità d’olio realizzata sommando quanto molito dai vari frantoi della zona. C’è in corso un tentativo di creare un Panel, cioè un gruppo qualificato di 8 assaggiatori d’olio che dovrebbero dare un giudizio e un voto agli oli che esaminano e che può valere anche come un attestato di qualità: se ne sta occupando un agronomo, il dott. Lo Grasso, assieme all’assessore Albiolo, che sta progettando anche la creazione di un ufficio che si preoccupi di valutare l’insieme dell’olio prodotto sul territorio comunale.
Un buon olio si valuta dalla maggiore o minore intensità, lata da tre elementi fase, il fruttato (ovvero il profumo, l’amaro e il piccante. C’è gente che giudica sbrigativamente in modo negativo un olio che pizzica il palato o brucia un po’ la lingua, ma si tratta di inesperti che pretendono di sapere e ai quali si può vendere, con loro grande soddisfazione, un olio scarso e magari “miscatu”, cioè con aggiunta di olio di semi o di olio vecchio. Contenti loro!. Si tenga presente che il colore è del tutto ininfluente nel valutare la qualità, perché esso cambia costantemente, (olio verde chiaro, giallo, verde scuro, marrone ecc.) sia in rapporto alla luce che alla conservazione, , che alla contrada di provenienza: anche la densità non è fondamentale: ci sono oli ben sedimentati, con la morca che, dopo qualche mese si deposita sul fondo e che bisogna togliere travasando, e oli che ancora presentano residui di molitura, che alcuni preferiscono mantenere. Olive sane, molitura accurata e conservazione sono i tre elementi che qualificano l’olio: la conservazione è affidata anch’essa a tre elementi di base, l’aria, la luce e il calore. L’aria è nemica dell’olio, ne disperde il profumo e ne modifica il sapore: è preferibile conservare l’olio in bidoni d’acciaio che abbiano un rubinetto nella parte inferiore, in modo che, al momento del trasferimento in bottiglia non si introduca aria nel contenitore, ma è anche importante preservare l’olio al buio, lontano da fonti di luce e di calore, tenuto conto che la temperatura ideale non dovrebbe scendere sotto i cinque gradi nè andare oltre i 25.
Non ci inoltreremo su note tecniche legate alla presenza di polifenoli e alle varietà di alberi di olivi presenti: senza dubbio il re degli ulivi da noi è il cerasuolo, che surclassa di gran lungo anche la Nocellara del Belice, alla terminisa.
Un’ultima nota: un buon olio extravergine di oliva non deve avere più dello 0,8 di acidità e che la qualità dell’olio va anche valutata sulla base di questo elemento, a partire dal tasso minimo, che è dello 0,2, un olio leggerissimo che non dovrebbe causare disturbi di alcun tipo, ma solo vantaggi nutritivi e degustativi. L’olio vergine ha un grado di acidità valutabile dallo 0,8 a due gradi, il resto è da rettificare, cioè da affidare a macchinari che sono in grado di far diventare appetibile, colorato e profumato anche l’olio più fitusu.
E allora, visto che abbiamo la fortuna di crescere in una terra in cui con l’olio ci si può fare il bagno, pronti a gustare quella che è una delle sette meraviglie della natura, muffuletta caura cunsata cu l’ogghiu appena nisciutu r’a macina. Magari con un pizzico di sale e pepe.