Basta solo il ricordo di un episodio: il 3 novembre 1917 a Noventa Padovana, venne fucilato l’artigliere Alessandro Ruffini (29 gennaio 1893-3 novembre 1917), colpevole di aver salutato militarmente il gen. Graziani senza prima essersi levato di bocca il sigaro che stava fumando. Ruffini fu prima brutalmente bastonato e successivamente fucilato “per dare un esempio terribile atto a persuadere tutti i duecentomila sbandati che da quel momento vi era una forza superiore alla loro anarchia”, come affermò lo stesso Graziani in risposta ad alcune proteste e interrogazioni parlamentari sollevate a seguito della pubblicazione della notizia della fucilazione di Ruffini. Il generale, che fu uno dei massimi sostenitori del fascismo e della politica in favore dei grandi proprietari e agrari fu trovato morto sui binari nel tratto Prato-Firenze nel 1931: la causa della morte non fu mai accertata. L’episodio serve a dare un’idea del clima di terrore con il quale il gen. Cadorna e i suoi tanti militari condussero le operazioni militari della prima guerra mondiale. Una delle pratiche era quella della “decimazione”, usata dai Romani: si faceva la conta dei soldati schierati e ogni uno su dieci veniva fucilato “per dare l’esempio”. Solo che i Romani la usavano per i nemici, Cadorna invece per i suoi soldati. Non si contano le fucilazioni di socialisti, sospettati di simpatie repubblicane, anarchici, semplici vittime del trattamento disumano cui erano sottoposti, ove osassero protestare, non si contano i disertori incapaci di adeguarsi a questo feroce modo intendere la disciplina militare.
Per fortuna, sostituito Cadorna, con Diaz e Boselli con Vittorio Orlando, che richiamò in guerra i diciottenni della leva del ’99, abbiamo vinto l’ultima battaglia, ma abbiamo ottenuto meno di quanto ci era stato promesso dagli alleati, in quella che il Fascismo chiamò la “vittoria mutilata”.
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