Voto: giornata del silenzio
Siamo arrivati alla vigilia.
Tutto è fermo, tranquillo, è un giorno qualsiasi. Si ha, da tempo, l’impressione che i giochi siano stati fatti a Roma e che sia stata distribuita a tutti una polpetta già confezionata. Non un manifesto elettorale, neanche col solo simbolo, non le facce ipocritamente sorridenti dei candidati appese al muro, non il bombardamento propagandistico pubblicitario televisivo. Senza dubbio questo è l’unico aspetto positivo, sia per il risparmio di carta, sia per la pulizia delle pareti, sia per il disgusto che certe facce provocano quando te le ritrovi davanti. Non un comizio, non una bandizzazione. Si vede che il tempo ha cambiato interamente il modo di fare campagna elettorale.Solo dibattiti, salotti, zuffe, parlarsi addosso, tra la soddisfazione dei conduttori, che credono, da queste “sciarrie” di aumentare l’audience e non si rendono conto che il comune spettatore cambia canale. Per il resto tempeste di messaggi Facebook e WhatsApp, considerazioni critiche di sapientoni o di utenti dell’ultima ora e promesse a bizzeffe, nelle quali il più prodigo è il solito piazzista, Berlusconi, che non si è reso conto che ormai il suo tempo è passato, che non siamo più a vent’anni prima. Sempre più ridotti i margini tra lui e Cetto La Qualunque. Seguono le reprimende sulle orde di barbari che hanno invaso l’Italia rendendola un paese ostaggio e nelle mani di delinquenti di colore i quali prendono i soldi del governo, ci tolgono tutto e costringono i nostri giovani ad emigrare in cerca di lavoro: una brodaglia oscena di discorsi da parte di Salvini e Melloni, che molti, anche dalle nostre parti, ascoltano abbassando la testa in segno di consenso. Il centro destra si sente ormai la vittoria in tasca, ma anche i pentastelluti non scherzano: reddito di cittadinanza, non si sa con quali soldi e governo ombra, che vengono spacciati come un atto di legittimazione con il voto, ma che in realtà sono espressione di decisioni prese dall’alto e non condivise dalla base. Segue il PD, che da quando c’è Renzi sembra ormai destinato a una lenta ma inesorabile dissoluzione, e che si arrocca dietro un’estranea identità democristiana, quella di Renzi, di Mattarella, di Gentiloni, di Franceschini, di Tajani da destra, che ormai ha in mano il partito e non accetta dissensi. Tra le bordate più micidiali Renzi ne ha sparata una ai suoi ex compagni di partito che lo hanno abbandonato per creare Liberi e Uguali: chi vota per loro vota per Salvini, perché consegnerà il paese alle destre. E Liberi e uguali non sa che identità ancora prendere, se quella pacioccona e moderata di Pietro Grasso, quella tormentata di Bersani, quella furbastra di D’Alema o quella rivoluzionaria di Fratojanni e degli eredi di Rifondazione Comunista, alcuni dei quali invece, con un’alzata d’ingegno, all’ultimo minuto hanno improvvisato un lista, Potere al popolo, che difficilmente arriverà al quorum del 3%, ma che servirà quantomeno per non farci arrivare i “compagni” Liberi e Uguali.
Al solito: divisi per perdere e solo per contarsi e masticare sconfitte. Per il resto tutti concordano che è stata una brutta campagna elettorale, senza contenuti, piena di veleni, con la conseguenza che la distanza tra il cittadino e la politica va aumentando in modo esponenziale, anche in virtù di una bruttissima legge elettorale che, con il consenso di Renzi che l’ha proposta, sta consegnando il paese alla coalizione di destra e garantisce un posto in parlamento alle solite facce, agli amici dei segretari di partito, scippando all’elettore il diritto, oltre che il piacere di dare il proprio voto a chi vuole. Dopo il referendum, per fortuna respinto, va avanti a passi svelti il progetto di restringere gli spazi di democrazia residui e di costruire un regime autoritario spacciato come scelta popolare, cosa del resto già avvenuta con il fascismo e il nazismo.
In attesa di conoscere i privilegiati che ci governeranno, ormai abbiamo poche ore di distanza per decidere se votarli o se mandarli a fare in culo.