IL RICORDO – Giuseppe Di Matteo è stato ricordato a San Giuseppe Jato, con una iniziativa voluta dal Coordinamento di Libera e dal Comune, presso il “Giardino della memoria” di contrada Giambascio, nel casolare trasformato in prigione degli orrori (vedi servizio video di Teleoccidente in cima all’articolo). Anche a Palermo una celebrazione con il sindaco che ha omaggiato la memoria del bambino sciolto nell’acido. Fu una pagina atroce nella storia d’Italia, ma che segnò anche la repulsione per la mafia.
“IL CAGNOLINO” – Il ragazzino fu strangolato e il suo corpo venne sciolto nell’acido dai suoi carnefici. Il boss Giovanni Brusca, come emerse poi dalle indagini, si riferiva all’ostaggio chiamandolo spietatamente «u cagnuleddu» (il cagnolino). Era stato rapito il 26 novembre del 1993 e avrebbe compiuto quindici anni il 19 gennaio: la sua unica colpa, essere il figlio di un pentito, Santino Di Matteo, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia e a raccontare particolari sulla strage di Capaci e che la mafia voleva ricattare per farlo tacere.
IL SEQUESTRO – Secondo i racconti processuali del pentito Gaspare Spatuzza, che prese parte al sequestro il 26 novembre del 1993, i mafiosi si travestirono da poliziotti per ingannare il bambino, facendogli credere di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. «Agli occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. Lui era felice, diceva “Papà mio, amore mio”», ha raccontato Spatuzza.
I PROCESSI – Sono molti i filoni processuali per questo delitto. La sentenza più recente è stata emessa dalla Corte di assise d’Appello di Palermo nel marzo del 2013, quando sono stati condannati all’ergastolo il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, il super latitante Matteo Messina Denaro, Francesco Giuliano, Salvatore Benigno e Luigi Giacalone. A Gaspare Spatuzza sono stati inflitti 12 anni in considerazione del suo contributo alle indagini.
“COSI’ QUEL BAMBINO UCCISE COSA NOSTRA” – Fu Brusca a ordinare di sciogliere il corpo nell’acido. Il boss (una volta tanto gelido da essere stato prescelto per premere il pulsante assassino che mise fine alla vita di Giovanni Falcone, della moglie e della scorta) non ragionava più. L’uccisione del bambino divenne un boomerang per le “famiglie” mafiose. Giuseppe Monticciolo, carceriere del piccolo Di Matteo, anno dopo ammise: «Per fermare il pentito Di Matteo abbiamo scelto il ricatto più ignobile, prendergli il figlio. Così credevamo di aver risolto il problema ma invece andò a finire che quel bambino morto ammazzato, un bimbo, sconfisse la mafia. Fu peggio di una sconfitta militare, perché Cosa nostra perse la faccia e il rispetto della gente».
Tratto da: lastampa.it
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