Trentuno anni addietro la strage mafiosa di Pizzolungo provocata il 2 aprile 1985 dall’autobomba che la mafia aveva preparato per uccidere il pm Carlo Palermo, il magistrato che negli anni 80 a Trento prima e a Trapani dopo indagava sulle connessioni tra mafia, servizi segreti italiani e stranieri, per traffici di droga e di armi , inchieste ancora oggi secretate. Oltre 20 anni per arrivare alla solita sentenza che racconta a metà i fatti, sono stati condannati i mandanti, non ci sono gli esecutori e manca il movente.
Trentuno anni dopo , appena la scorsa notte, i carabinieri del comando provinciale di Trapani, dei Ros e della compagnia di Alcamo hanno compiuto nella zona di Castellammare del Golfo una retata antimafia. Non c’entra nulla con la strage di Pizzolungo, ma il blitz dimostra come la mafia di ieri, quella carica di stragi e omicidi, è la stessa di quella che oggi fa impresa. Il blitz è stato denominato “Cemento del Golfo”, personaggio centrale Mariano Saracino l’imprenditore che durante il processo di primo grado per la strage di Pizzolungo – ecco il collegamento indiretto con l’eccidio del 1985 – si presentò ai giudici per fornire un alibi al maggiore degli imputati, il lattoniere di Castellammare del Golfo Gioacchino Calabrò, nella cui officina fu preparata l’autobomba per attentare al giudice Palermo. Per quella sua testimonianza solo a favore di Calabrò, il capo mafia dell’epoca, Vincenzo Milazzo, aveva deciso di uccidere Saracino, che fu salvato dall’intervento del boss di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca. Da quegli anni ’80 in poi Saracino, che pare avesse a disposizione contatti riservati con i servizi segreti, ha fatto carriera, è diventato il “ministro delle finanze” della mafia trapanese agli ordini di Matteo Messina Denaro dopo essere stato il “tesoriere” della cassaforte di Castellammare del Golfo dove per decenni sono stati riciclati i guadagni dei narcotraffici. Saracino fu arrestato sul finire degli anni ‘90 e anche condannato ma da un paio di anni era tornato libero, dopo avere scontato 10 anni di carcere, diventando il capo della mafia di Castellammare. I suoi affari erano diventati gli appalti e il cemento.
La mafia non chiede più soldi per ottenere il “pizzo”, l’estorsione viene condotta con le forniture, il cemento in particolare. E l’indagine che stanotte ha portato agli arresti ha fatto scoprire che impresa sotto il controllo di Saracino era quella di un imprenditore, Vincenzo Artale, anche lui arrestato, che pur aderendo all’associazione antiracket non aveva esitato a mettersi a disposizione del boss. Nella storia di Mariano Saracino c’è tutto quello che appartiene alla mafia diventata imprenditoria così come ha insegnato a sapere fare il latitante Matteo Messina Denaro: il cemento e le speculazioni immobiliari, la costruzione di villette su terreni dove non sarebbe stato possibile costruire, nei luoghi più belli della Sicilia, come quelli di Scopello, a pochi passi dalla riserva naturale dello Zingaro, salvata dal cemento ma che ogni anno vede bruciare una sua parte a causa di roghi dolosi, l’imposizione del cemento, lo sfruttamento di risorse pubbliche destinate a creare nuova occupazione ma che determinano nuove povertà una volta che spariscono nei buchi neri della mafia.
Nella storia di Mariano Saracino c’è la mafia che sa votare bene quando c’è da votare bene. C’è la storia della mafia di ieri, quella di oggi e già quella del futuro, quella che non porta più coppole e lupare ma ha i suoi uomini che vanno in giro in grisaglia e con appresso valigette 24 ore, con denaro che finisce nelle City europee, quelle dove si parla di spread, crisi e altro, le mafie sono quelle che portano i liquidi in questo periodo e si guadagnano nuove impunità. Ancora una volta è la trama mafiosa di sempre, una mafia che riesce anche a infiltrarsi nell’antiracket, ma i camuffamenti, come quelli tentati dall’imprenditore Artale non sono riusciti a resistere dinanzi alla nuova offensiva degli investigatori dell’Arma in questo caso. Nell’ordinanza del gip Aiello emessa su richiesta della Procura antimafia di Palermo sono molteplici le intercettazioni, ma ci sono anche i verbali di alcuni imprenditori che hanno deciso di confessare gli incontri faccia a faccia con gli emissari di Saracino che senza mezzi termini ricordavano che se si veniva a lavorare a Castellammare “bisognava parlare con loro e con nessun altro”.
Diversi gli appalti dove Saracino avrebbe imposto le forniture di cemento, inerti e automezzi, come quelli per una manutenzione stradale disposta dall’Anas, i lavori al cimitero di Castellammare, ma l’infiltrazione mafiosa sarebbe stata imposta anche a lavori privati, come la costruzione di magazzini e depositi. E l’impresa di Artale era quella sempre favorita, riuscendo a scavalcare le commesse di altre imprese, anche di imprese che si ritenevano intoccabili o imprese associate come Artale all’antiracket e che però Artale calpestava grazie a Saracino.
I nomi degli arrestati: Mariano Saracino, 69 anni, Vito Turriciano, 70 anni, Vito e Martino Badalucco, 59 e 35 anni, e Vincenzo Artale, 64 anni. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto.
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