«Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo».
La mafia non è solo qualcosa di profondamente ingiusto, non è solo una banale forma di prevaricazione di un gruppo organizzato tramite la violenza. È qualcosa di intrinsecamente malato nel suo stesso concetto: l’uso della violenza da parte dei mafiosi per ottenere vantaggi di potere economico sul resto della società è avvallato da poteri più forti, da poteri statali. Ed è qui la malattia: una parte di quello Stato che dovrebbe rappresentarci e amministrare il potere in nostre veci è colluso con essa e insieme fanno i propri interessi a nostro danno. Non c’è forse una vera volontà politica di vincere questa mafia che corrode la nostra economia e la nostra società da più di 150 anni. Una fase, o forse un sintomo di questa malattia è la poca coscienza civica dei cittadini, è il basso interessamento nella questione pubblica, è l’enorme “zona grigia” di chi non prende parte né si schiera. Perché la mafia non è solo l’organizzazione criminale, non è solo Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra; è quella mentalità che rende omertosi, che vede il prevalere dell’interesse personale sul benessere pubblico, è la mentalità di chi approfitta delle falle del sistema invece di provare a cambiarlo e a migliorarlo.
«In questa società comanda soprattutto chi ha la possibilità di convincere. Convincere a fare le cose: acquistare un’auto invece di un’altra, un vestito, un cibo, un profumo, fumare o non fumare, votare per un partito, comperare e leggere quei libri. Comanda soprattutto chi ha la capacita’ di convincere le persone ad avere quei tali pensieri sul mondo e quelle tali idee sulla vita. In questa società il padrone è colui il quale ha nelle mani i mass media, chi possiede o può utilizzare gli strumenti dell’informazione, la televisione, la radio, i giornali, poiché tu racconti una cosa e cinquantamila, cinquecentomila o cinque milioni di persone ti ascoltano, e alla fine tu avrai cominciato a modificare i pensieri di costoro, e così modificando i pensieri della gente, giorno dopo giorno, mese dopo mese, tu vai creando la pubblica opinione la quale rimugina, si commuove, s’incazza, si ribella, modifica se stessa e fatalmente modifica la società entro la quale vive. Nel meglio o nel peggio». (da Un anno, raccolta di scritti per la rivista i Siciliani, Fondazione Giuseppe Fava, 1983)
«Ci vorrebbero due morti eccellenti all’anno per sconfiggere la mafia», diceva Giovanni Falcone. Per tenere le luci accese sul problema e far indignare i cittadini, per far muovere le masse e la politica. Ma finché il paradigma dominante è quello mafioso, finché la mentalità che vince è quella dell’opportunismo e dell’individualismo, nulla può cambiare. Per questo Telejato, per questo crediamo nell’informazione come strumento di conoscenza al fine di educare al cambiamento. Un informazione giusta che tenga d’occhio la politica e denunci gli errori, le storture, i problemi del sistema. Un’informazione libera, non sottomessa a nessun ideologia né colore politico, un informazione che non vuole controllare il potere, ma sorvegliarlo, perché esso non è fatto per essere controllato.
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