Il divieto che la procura di Palermo, a nome del presidente della seconda sezione penale del tribunale di Palermo Benedetto Giaimo, che non ritiene che il processo abbia rilevanza sociale e a nome del pm Amelia Luise, che ritiene “difficoltoso proteggere le opposte esigenze di tutte le altre parti del processo”, ha suscitato in tutta Italia, e in particolare tra i giornalisti siciliani un coro di proteste e di solidarietà nei confronti di Pino Maniaci, perché, senza porre troppi termini in mezzo, è proprio la ripresa delle fasi del processo che lo riguardano, che non si vuole rendere nota al pubblico. Ultimo comunicato è quello del presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti Riccardo Arena. Quello della trasmissione integrale delle udienze è un servizio pubblico che dai tempi del maxiprocesso viene garantito, a vantaggio di tutti, non solo dei giornalisti, ma anche degli avvocati e dei magistrati. Perché adesso e in questo processo quest’ordine di silenzio? È una domanda che da ieri circola, anche sui vari dibattiti in rete e che lascia forti ombre sulla democraticità garantita alle informazioni e sulla trasparenza degli atti di un dibattito che, sino a prova contraria, non sarà fatto a porte chiuse.
Si potrebbe replicare che nessuno impedisce ai giornalisti di prendere appunti, ma la stenografia è una scrittura che ormai pochi conoscono. Per quel che riguarda le richieste di alcuni mafiosi di non volere essere ripresi, il problema si chiude subito: nelle fasi che il tribunale, al momento dell’apertura dell’udienza e non preventivamente, come invece è stato fatto, ritiene non debbano essere trasmesse, basta o bastava prescrivere tale indicazione e il problema era risolto. A parte il fatto che i mafiosi, per quel che sembra, non vogliono essere ripresi dalla telecamera, ma sulle riprese microfoniche non si sa perché preferirebbero non essere registrati.
Quindi, senza girarci troppo intorno il divieto è fatto essenzialmente per inibire l’accesso a Telejato, per non dare troppa importanza al processo, per farlo sembrare un procedimento secondario e senza importanza e per poi concluderlo con la mazzata di una qualsiasi condanna, a conferma che l’impianto accusatorio era fondato ed ha retto. Si tratta di “strategie” che ovviamente hanno qualche stratega e lo hanno avuto sin dall’inizio, con l’obiettivo di buttar fango sull’emittente, isolarla dal contesto di informatori, collaboratori e promotori pubblicitari che ne consentono una già molto precaria conduzione e arrivare in ultima soluzione alla sua chiusura.
Un processo amplificato potrebbe far correre il rischio di svelare queste strategie e dissolvere un impianto accusatorio fondato sul nulla, che ha il suo più brillante ritrovato nell’associazione di Pino Maniaci con i mafiosi di Borgetto, loro estorsori per mafia, Maniaci estorsore semplice di pochi spiccioli, ma sempre estorsore. Quello che da questa emittente ci permettiamo di suggerire ai colleghi giornalisti che lavorano soprattutto nelle radio e nelle televisioni private e, oseremmo dire, anche in quelle nazionali, è di inoltrare richieste a ripetizione di effettuare riprese e obbligare la procura a notificare i suoi divieti e le sue censure a ognuno. Dopodiché ci sarà da vedere se il rispetto delle esigenze di alcuni mafiosi, che possono benissimo essere tutelati, non permettendo le riprese delle loro “deposizioni”, debba essere prevalente sul diritto di un imputato che vuole rendere note le lacune del procedimento cui è stato sottoposto.
Insomma, vanno tutelati solo i mafiosi? Se è così meglio fare uscire di carcere Totò Riina per consentirgli “una morte dignitosa”.
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