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Siria, cercasi un nuovo Stanislav Petrov

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“Sono convinto che oggi il settore R&S (ricerca e sviluppo) della nonviolenza debba fare grandi passi avanti” (Alexander Langer 1991)

Mentre il fucile urla fuoco tutto il giorno … cadono sull’erba mille bravi cittadini … mentre il cannone lancia lampi nel cielo … cadono sull’erba mille bravi contadini … c’è un re che non vuol vedere … c’è un re che non vuol sapere … c’è un re che dorme rapito dalle rose non si sveglia nemmeno quando madri silenziose unite nel dolore a giovani spose gli mostrano un anello con inciso sopra un nome” (C’è un Re, Nomadi).

Quante giovani spose stringono forte un anello, simbolo di un sogno spezzato o mai arrivato, quante madri sono dilaniate dal dolore in Yemen, in Libia, a Gaza, in Iraq, in Afghanistan, nei Balcani … in Siria? Dopo i primi bombardamenti su Baghdad nel 2003 Dino Frisullo scrisse “sono limitati i computer dei signori della guerra. Non registreranno il respiro il palpito il pianto.  Non avvertono il terrore e l’ira del mondo”. Sono limitati ma non si fermano. Ancora una volta, quindici anni dopo e un’infinita scia di sangue e terrore, che più sta tenendo in ostaggio una parte sempre crescente d’umanità, i tamburi della guerra tornano a rullare. Si spostano portaerei, si preparano bombardieri, si studiano i movimenti di basi militari. E alcune delle più importanti sono in Italia. Una vede accelerazioni continue da anni, ancor di più nei momenti in cui nuove guerre appaiono all’orizzonte. È il MUOS. E proprio di recente questo nuovo mega sistema satellitare ha registrato una nuova determinante svolta, nel silenzio di tanti, troppi. Sull’importanza decisiva del Muos nelle guerre del XXI Secolo tante volte documentata e sottolineata da Antonio Mazzeo, questo quanto sta accadendo e sorgendo nella sughereta di Niscemi.

I Signori della Guerra tornano più o meno periodicamente a ringhiare tra loro. Ma in realtà ringhiano contro altri, contro gli ultimi e gli impoveriti, i deboli e i fragili di ogni latitudine. Perché al termine di ogni guerra lor Signori saranno sempre lì. Mentre altrove migliaia, milioni di orfani, vedovi, vedove, madri, padri saranno unite nel dolore. Cinque anni dopo la notte tra il 19 e il 20 marzo 2003 venne calcolato che costò più di 500 miliardi di dollari per una strage di civili iracheni, soprattutto, almeno 650mila civili, dieci volte più dei 63mila militari iracheni uccisi e cento volte più dei 5-6mila tra soldati e contractors occidentali.  Ma i Signori della Guerra restano lì. Accendono nuovi monitor, nuovi traccianti vengono disegnati su anonimi e muti schermi. Sono come un velo immenso. Ma sotto quei punti, dietro quegli asettici numeri, comunque son nascosti la vita e il destino di migliaia, milioni, di persone. Se solo un attimo potessero parlare e alzare quel velo i Signori della Guerra verrebbero travolti da grida fortissime, da strazio disumano, da un dolore che nessun cuore umano potrebbe sopportare. Eppure è fardello quotidiano per popoli interi.

La prima vittima di ogni guerra, qualsiasi guerra, è l’umanità, la vita assassinata. Possiamo nasconderci dietro tutte le retoriche perifrasi dell’immensa ricchezza semantica delle lingue occidentali, ma il significato è sempre quello: le guerre sono solo un immenso genocidio, le armi assassinano. I signori della guerra, e il main stream in servizio permanente, potranno alzare alta qualsiasi propaganda, ma non riusciranno mai a rispondere ad una domanda immediata, semplice e lineare: come si possono “difendere i civili”, “esportare la democrazia” o colpire un “tiranno” massacrando un popolo? Ogni nuova, crudele, macchina da guerra ancora una volta ci svela il vero volto delle nostre “democrazia”, della nostra “civiltà”. Se ancora una volta si ricorre ad una follia al di fuori della ragione (alienum est a ratione, come detto decenni fa), l’umanità non ha ancora compiuto alcun passo. Quale altra specie animale ha ideato qualcosa anche solo lontanamente paragonabile alla guerra? È inutile invocare il progresso, la civiltà, lo sviluppo, la democrazia, la libertà. Sono tutte parole che suonano false se si pensa ancora che sia utile massacrare, uccidere, spargere sangue. Ogni bombardamento, ogni cannone, ogni fucile, qualsiasi armamento abbia voce non fanno altro che assassinare più e più volte. Si, più volte perché ogni colpo sparato non uccide solo chi viene mortalmente colpito. Quello è il primo e più evidente. Ma ogni colpo, ogni bombardiere che si alza in volo sono asili, ospedali, sussidi per i più poveri, pensioni, solidarietà che non sarà più possibile. Ogni arma costruita, ogni strumento di morte alimentato sono soldi che finiscono nelle tasche di pochi – aumentando la diseguaglianza e l’ingiustizia globali – e soldi che non potranno essere utilizzati altrimenti. Sono tolti agli impoveriti, agli ultimi, alla giustizia. All’umanità.

Ci stanno raccontando che la guerra è una fatalità, un mostro che non è stato possibile fermare prima e che nessun altro mezzo esiste oltre l’intervento bellico esterno. Le forniture di armi, gli affari dei mercanti di morte dimostrano esattamente il contrario: la guerra è stata fomentata, permessa, favorita da chi oggi afferma di essere costretto ad intervenire per fermarla.

Intanto, passano gli anni (e le guerre) e nessuno si prende la briga di andare a leggere cosa realmente dice il diritto internazionale (a partire dalla Carta di San Francisco, che esordisce con le parole “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra“, e i “Covenants” del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali dove leggiamo che “la guerra è vietata, anzi proscritta“) , dove non esiste alcuna legittimità alla  pretesa di nessuno di ergersi a gendarme e poliziotto del mondo con il potere di attaccare, bombardare, invadere altri Stati.

La seconda vittima di ogni guerra è la verità, è la nuda realtà dei fatti. La guerra non accetta obiezioni, la macchina bellica non contempla nulla che non sia propaganda, yes-men, yes-women, collaborazionismo. Tutto dev’essere piegato ai suoi obiettivi, tutto quel che non è funzionale ai carri armati dei signori della guerra dev’essere manipolato, piegato, adattato, cancellato.  Secondo Hannah Arendt le guerre non restaurano diritti ma ridefiniscono solo poteri. Lei è morta nel 1975 ma oltre 40 anni dopo nessuno è mai stato capace di smentirla. Mentre ogni guerra nei fatti ha confermato la sua denuncia. La Siria di oggi, la guerra mondiale a pezzi e per procura già in atto dal 2011 contro il popolo siriano, ne è la drammatica e sconvolgente documentazione. Mentre le Grandi Potenze continuano a battere sui tamburi e ad accendere monitor, a gridare proclami e avanzano imperiosi – affare dopo affare, business dopo business, bombardamento dopo bombardamento, propaganda dopo propaganda – dall’alto sotto i cieli di Siria, di Baghdad e Kabul, di Gaza e Tripoli i massacri proseguono, lutti su lutti in una successione disumana e brutale, infinita proseguono. Il popolo siriano non vive più, è ormai prigioniero senza alcuna speranza, senza alcun barlume di umanità che squarci l’ininterrotto buio. Non è un war games, non è la battaglia navale della nostra infanzia. È vita, è vita che muore, dilaniata e assassinata. Passano gli anni e accuse su accuse vengono rimpallate da ogni parte. Attacchi chimici, massacri di civili, bombardamenti dall’alto. Ognuno accusa l’altro, ognuno sostiene di avere prove che l’altro è un criminale. Ma l’unico, comune, crimine è la guerra, è il terrore, è l’assassinio continuo e perpetuo. Da questo tunnel nessuna uscita può venire da chi vi ha buttato dentro bambine, bimbi, donne, uomini, giovani, anziani. In Siria o nel dimenticato Yemen. Bombardato con armi vendute e partite anche dalla nostra Italia. Tratto comune di tutte le guerre “moderne”. In Libia nel 2011 agli “insorti di Bengasi” furono fornite armi provenienti da un arsenale sequestrato in Italia, per anni detenuto alla Maddalena e che una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 aveva imposto dovessero essere distrutte. Il 1° Agosto 2011 Giorgio Beretta denunciò su Unimondo che sui “carri armati T72 di fabbricazione sovietica” in dotazione all’esercito di Assad (e accusati di aver sparato sulla folla ad Hama nelle settimane precedenti) “sono da anni installati i sistemi di puntamento e di controllo del tiro TURMS-T” prodotti da Selex Galileo, ex Galileo Avionica, una controllata di Finmeccanica. Il 28 Agosto OPAL, l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia, ha documentato che “tranne quelle verso la Giordania e il Libano, le esportazioni dei paesi dell’Unione Europea di fucili, carabine, pistole e mitragliatrici sia automatiche che semiautomatiche verso le nazioni confinanti con la Siria sono raddoppiate o addirittura triplicate tra il 2010 e il 2011. Lo documentano i rapporti ufficiali dell’Unione Europea: la Turchia è passata dai poco più di 2,1 milioni di euro di importazioni di armi leggere europee del 2010 agli oltre 7,3 milioni del 2011; Israele da 6,6 milioni di euro ad oltre 11 milioni di euro e addirittura l’Iraq da meno 3,9 milioni di euro del 2010 a quasi 15 milioni nel 2011“. Sul sostegno di Stati occidentali a “fronti ribelli” fucine di jihadisti, estremisti più o meno contigui al terrorismo la letteratura è ampia. Basterebbe riprendere le rassegne stampa di non moltissimi anni fa per leggere romanzati ed esaltanti racconti delle gesta di chi andava in Siria accanto a quelli che allora vennero definiti “ribelli anti Assad”. Ma che il tempo ha mostrato essere i “foreign fighters” di ieri e di oggi. Sono passati vent’anni ma è lo stesso copione della Bosnia e dell’Afghanistan con Bin Laden e i talebani …

Ancora una volta siamo ad un passo dal baratro, il terrore per una guerra mondiale, per il rischio che possa avvicinarsi il giorno in cui l’umanità verrà definitivamente spazzata via serpeggia a varie latitudini. C’è un eroe moderno semi – sconosciuto. Dovrebbero dedicargli piazze e monumenti ma invece continuamente l’oblio colpisce la sua memoria. Si chiamava Stanislav Evgrafovich Petrov, era un ufficiale sovietico morto nel maggio scorso. Il 26 settembre 1983 salvò il mondo intero. Il cervellone informatico Krokus, i cui dati lui aveva ordine di monitorare, quel giorno segnalò la partenza dal Montana di un missile contro l’Unione Sovietica. In meno di 30 minuti altri 4 missili furono rilevati da Krokus. L’ordine era tassativo, al primo segnalo Pretrov doveva informare i suoi superiori per l’immediata rappresaglia. Ma lui non si fidò, quel segnale non lo convinceva. Aveva ragione perché, successivamente, si scoprì che il cervellone aveva scambiato per missili la rifrazione della luce solare su nuvole ad alta quota. Ecco, ogni servirebbe un nuovo Petrov. Servirebbero persone che non ascoltassero quei monitor muti e anonimi e lasci parlare la ragione dell’umanità. Nel buio totale servirebbero nuovi lampadieri. Appare impossibile. Ma proprio nel buio più totale della Storia l’impossibile appare come l’unico possibile. Come scrisse nel suo diario Hetty Hillesum, deportata ad Auschwitz dove fu assassinata dai nazisti a 27 anni,  “a ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere”.

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Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, collaboratore di Wordnews.it e referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza, Giustizia.info, QcodeMagazine, Comune-Info e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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