Si tratta, sembra di capire, di una sorta di “stralcio”, di una parte dell’operazione, mentre il resto sarà affidato al processo in corso, la cui prossima udienza avverrà il 20 settembre, mentre quella della richiesta di archiviazione si terrà il 19 ottobre. Molti capi d’imputazione sono gli stessi in entrambi i filoni, e quindi ci troviamo davanti a soggetti che saranno accusati in prima fase e possibilmente prosciolti un mese dopo. Mettiamo momentaneamente da parte i mafiosi e occupiamoci dei politici, ovvero di Gioacchino Polizzi, di Vito Spina e di Gioacchino De Luca. Le motivazioni che leggiamo sono degne di un manuale di giurisprudenza, perché riconoscono da una parte l’esistenza dei fatti, dall’altra smentiscono gli stessi, non considerandoli come elementi d’accusa. Nel caso di Polizzi, già assessore della passata amministrazione si dice, in buona sostanza che è vero che si parla di 78 voti a suo favore procurati da Giuseppe Giambrone, che Polizzi ha sposato una nipote di Giambrone, ma che “le indagini non hanno offerto alcun elemento che comprovasse l’accordo politico-mafioso, secondo gli arresti della giurisprudenza consolidata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione” (viene citata una sentenza del 12.5.2005 nei confronti di Mannino, che non siamo in grado di valutare).
Conoscendo Polizzi che, con i suoi parenti mafiosi da tempo ha dato un taglio netto, diremmo che ci può stare. Anche per le denunce per estorsione fatte a Benny Valenza e di Billeci, sembrano richiamarsi alla richiesta di rinvio a giudizio del procedimento penale aperto, quindi non ci è chiaro se saranno riprese con la prossima udienza di settembre e se saranno ritenute archiviate ad ottobre. Ma dove l’arzigogolio giurisprudenziale dei pm raggiunge il massimo è per quello che si scrive nei confronti di De Luca e di Vito Spina: si scrive che le indagini e le informative di P.G. sono punti fermi, che la famigerata “palidda” dei fratelli Riina è stata di fatto utilizzata, che i Riina consegnavano una parte dei proventi dell’attività (15 euro per ogni utilizzo) a Giambrone Giuseppe, a Giambrone Francesco, che “il comune la deve prendere”, come dicevano Giambrone e Nicolò Salto, ma che “manca la prova”, poiché il sindaco e il vicesindaco hanno agito “in via d’urgenza, e di necessità sotto il profilo dell’igiene pubblica”. Tutto qua, e quindi proposta di archiviazione, mentre dall’altra parte il prefetto, con una relazione di fuoco, corredata dalle registrazioni dei carabinieri, e dai risultati dell’ispezione dei tre commissari inviati appositamente, chiedeva e otteneva lo scioglimento dell’Amministrazione.
Due giustizie diverse, due diverse motivazioni, due modi di leggere la stessa cosa da una parte come reato, dall’altra come elemento che richiede l’archiviazione. Come andrà a finire questa dicotomia e che cosa nasconde, se c’è dietro qualche altra cosa, ve lo diremo nei prossimi giorni, presumendo che prefetto, carabinieri e ministro degli interni siano rimasti stupiti da questi ultimi sviluppi che sembrano mandare in fumo gran parte del lavoro svolto, almeno che non si vogliano tenere nascoste alcune cose con l’interdizione delle telecamere e dei giornalisti.
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