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Salvo Vitale assolto con formula piena da una denuncia per diffamazione

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I fatti

Il 2 febbraio 2021 sono stato assolto con formula piena da una denuncia per diffamazione fatta da tal Filippo Lazzara. I fatti risalgono al gennaio 2014, allorché sul sito www.peppinoimpastato.com ho pubblicato una lettera di don Luigi Ciotti, dal titolo “Il rispetto della verità”, nella quale il Presidente di Libera dava una risposta a una vergognosa campagna di discreditamento condotta dai due quotidiani Libero e Il Giornale. A quella vicenda ha fatto seguito una denuncia di don Ciotti e la condanna dei due giornali.

L’articolo di don Ciotti

Nell’intervento si ripercorre la vicenda del citato Filippo Lazzara, che il 17 giugno 2010 aveva scritto al sacerdote sostenendo di essersi licenziato dal deposito Regionale Conad sito a Partinico, perché avrebbe ricevuto minacce mafiose, ed esprimendo la sua volontà di metter su famiglia con la sua fidanzata. Di tali minacce, per quel che risulta, non è stata mai fatta denuncia e non esiste testimonianza che possano documentarle.

Con la generosità e sensibilità che lo caratterizzano, don Ciotti prende a cuore il caso e offre un lavoro a Lazzara e alla sua compagna presso le Edizioni Abele, nella Certosa di Avigliana, allora in via di sistemazione. Ciotti espone una serie di circostanze da cui era emerso, sin dall’inizio che Lazzara dimostrava “un carattere impulsivo, conflittuale indisponibile a stabilire un rapporto rispettoso con le persone che lavoravano in Certosa”. A seguito di “atteggiamenti aggressivi, diverbi e vere e proprie fissazioni”, Ciotti trasferisce la coppia a Torino in un appartamento delle Edizioni Abele e offre un lavoro ad Antonietta, compagna di Filippo, in attesa di trovare allo stesso una sistemazione più idonea. Segue un rapporto, in gran parte epistolare, nel quale Lazzara si lamenta di non essere stato adeguatamente preso in considerazione e Ciotti rileva che egli soffre di “un preoccupante egocentrismo tale da falsare la percezione della realtà”. In una delle sue lettere Lazzara già preannuncia la sua linea: “La colpevole indifferenza è una dichiarazione di guerra. E guerra sia. Saluti dalle redazioni di Libero e Padania…” (4 marzo 2011). Il giorno dopo avviene un tempestoso incontro nel quale don Ciotti ammette di avere perso la calma, ma di non aver dato, come sosterranno Il Giornale e Libero, cazzotti e pugni in faccia a nessuno. In ogni caso Ciotti scrive una lettera di scusa, ma Lazzara ha già pronto il suoA piano, si reca in ospedale a Torino, per farsi refertare, riferendo lesioni, ma la TAC e i raggi non evidenziano nulla, e poi scrive a Ciotti: “Speriamo che con IL GIORNALE non accada nulla”. Ciotti consiglia al giovane di “essere seguito da uno psicoterapeuta e da un neurologo… e Filippo accetta il consiglio”, e nello stesso tempo continua a dargli assistenza con vaglia e bonifici, sino al rientro dei due in Sicilia. Prima di rientrare Lazzara, proprio allo scadere dei 90 giorni, termine utile, presenta ai carabinieri di Torino-Monviso una denuncia/querela che, secondo Ciotti contiene diverse falsità e che “viene prudentemente ritirata nei giorni successivi”. Passa un anno e, dopo una serie di email affettuose e concilianti di colpo Lazzara, a cambia atteggiamento, rispolvera la vecchia lettera di scuse e la rende nota attraverso i giornali Libero e Il Giornale. Non è dimostrabile se abbia avuto dei soldi in cambio. Con molta onestà Ciotti rileva quel che manca ai due giornali, ovvero “l’etica dell’informazione”, la verifica e la opportunità di “sentir tutte le campane” prima di scrivere, la mancanza di verifiche e la spregiudicatezza “nell’amplificare gli aspetti più fragili del carattere di Filippo… di averlo assecondato e strumentalizzato senza fare nulla di concreto per risolvere le sue difficoltà”.

Il commento incriminato

Pubblicando il testo integrale della lettera di Ciotti ho aggiunto questa nota di commento: “Ho conosciuto Filippo Lazzara e la sua compagna nell’estate 2011 a Telejato: andava cercando lavoro, ma aveva scelto il posto sbagliato. Esibiva a tutti un rotolino di corrispondenza, tra cui una lettera di scuse di don Ciotti e affermava che, nel corso di una discussione, determinata dal fatto che il sacerdote lo avrebbe prima illuso e poi scaricato, era stato da lui preso a pugni. Non ci è sembrato opportuno dare alcuna attenzione ad una notizia del genere, dati i molti dubbi che sollevava. Ben diversamente si sono comportati i giornali berlusconiani, ai quali il mascalzoncello si è rivolto, forse in cambio di un pugno di lenticchie. Non è sembrato vero a costoro inscenare le consuete gazzarre contro l’antimafia e i suoi presunti scheletri nell’armadio. E se questo non significa fare un favore ai mafiosi, ci sarebbe da porsi la solita domanda: cui prodest? Naturalmente, una volta tirato fuori lo scoop si sono trovati gli stupidotti e i provocatori pronti ad abboccare, anzi a cogliere l’occasione per prendere le distanze dal termine “antimafia”, o per affermare che ci vorrebbe “un’antimafia dell’antimafia”. Ahimè! Spero che con il presente chiarimento di don Ciotti si possano meglio cogliere le distanze che separano “uno psicopatico” da una persona che gestisce 1500 associazioni, le quali, con tutti i loro limiti, sono continuamente al lavoro per dare un volto diverso e più pulito alla cultura e all’economia mafiose”.

La denuncia e la causa

Lazzara ha ritenuto offensivi i due termini “mascalzoncello” e “psicopatico” e mi ha denunciato. Prima di ciò ho avuto una lunga corrispondenza via Facebook, poi trasmesse al giudice, con la compagna di Lazzara, Antonella, alla quale fra l’altro ho scritto: “se la parola ‘psicopatico’, nei confronti di uno che esibisce a destra (giornale Libero) e a manca le ‘prove’ del maltrattamento cui è stato sottoposto e non quelle di tutti i benefici che ha ricevuto, è parola d’offesa, mi dichiaro psicopatico io che uso chiavi di lettura del tutto personali e chiedo scusa a Filippo, che invece è una persona lineare, tranquilla e che, come tutti coloro che stanno vivendo questo difficile momento di crisi, ha solo la colpa di cercare lavoro. Va bene?”.

In altra email ho scritto: “Mi chiedo che compagno sei tu, che compagna sia la tua amica (che cita a sproposito Peppino Impastato) e tutti coloro che pensano di potere spremere qualcosa sulla pelle di altri compagni. I soldi vanno cercati altrove, nelle tasche dei capitalisti. E credimi, alla base c’è solo la curiosità di capire cosa vuol dire per te essere compagno. Per me essere compagno, prima di ogni cosa significa condividere idee, momenti di lotta, pane, parlarsi, dirsi in faccia tutto e prendere intanto un caffè insieme. Quando vuoi, Ciao”.

Malgrado ciò Lazzara ha portato avanti la denuncia. Al processo hanno testimoniato Giovanni Impastato, ritenuto, erroneamente, responsabile del sito in cui è stato pubblicato l’articolo, Pino Maniaci, che non ha voluto dare alcun seguito alla richiesta di pubblicazione della lettera di don Ciotti e lo stesso don Ciotti, che ha ripercorso gli aspetti della vicenda e la correttezza del suo comportamento e la fragilità del carattere di Lazzara.

Nella sua arringa difensiva l’avvocato Bartolomeo Parrino ha evidenziato la poca correttezza del comportamento di Lazzara e gli aspetti della sua fragilità psicologica emersi dall’articolo di don Ciotti, ritenendo che nella mia nota avrei esercitato il mio diritto di cronaca a non avrei arrecato alcun danno al denunciante, poiché il danno egli lo ha causato a se stesso con i suoi comportamenti. Il giudice Molinari ha accolto la sua richiesta di assoluzione con formula piena. Le motivazioni saranno note quando sarà depositata la sentenza.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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