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Saguto alla riscossa

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La Saguto chiama a sua difesa 279 testimoni, molti dei quali avrebbero dato incarichi sia a Cappellano Seminara come amministratore, sia a suo marito Lorenzo Caramma come “perito”, non per un favore personale, ma perché ne riconoscevano la professionalità. Ma tra i tanti, quello che più incuriosisce è il nome di Pasqua Seminara.

Dopo alcuni mesi di silenzio il giudice che per quasi un decennio è stata la “signora” delle misure di prevenzione, facendo e disfacendo tutto quello che voleva, nella prospettiva del processo che la vede imputata per una serie di gravi reati, ha deciso di passare al contrattacco e di chiamare in ballo tutti i suoi colleghi e personaggi vari, per testimoniare che il suo modo d’agire era quello di tutti gli uffici delle misure di prevenzione. L’udienza avrà luogo il 22 gennaio al tribunale di Caltanissetta e i testimoni chiamati a sua difesa sono 279. Non si sa se la corte li accetterà tutti. Tra di essi Cesare Vincenti, già presidente dell’Ufficio prima della Saguto, Guglielmo Nicastro, Roberto Murgia, Ottavio Sferlazza, Ettorina Contino, Sergio Lari, Giovambattista Tona, Piero Grillo, il suo collaboratore Fabio Licata e una serie di altri magistrati appartenenti a varie procure, in gran parte siciliane. Molti di costoro avrebbero dato incarichi sia a Cappellano Seminara come amministratore, sia a suo marito Lorenzo Caramma come “perito”, non per un favore personale, ma perché ne riconoscevano la professionalità.

Nulla di nuovo sotto il sole: abbiamo diverse volte citato l’esempio del giudice Tona di Caltanissetta, che affidò a Cappellano l’amministrazione giudiziaria del sequestro Padovani, che aveva gran parte delle sue attività a Catania. Fra l’altro quella di nominare amministratori che, per raggiungere il posto di lavoro devono sottoporsi a lunghe trasferte, presumiamo pagate a spese dell’azienda, è una brutta abitudine che non è venuta meno neanche nel dopo-Saguto: si pensi alla nomina fatta dal giudice Montalbano del catanese Giuseppe Privitera come amministratore dei beni dei Virga di Marineo. Ma quello che più incuriosisce, tra i tanti nomi citati come testimoni è il nome di Pasqua Seminara, che sarebbe la moglie del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, della quale è noto il rapporto di parentela con Cappellano. Tra i tanti testimoni a difesa la Saguto cita Rosy Bindi e Claudio Fava, rispettivamente presidente e vicepresidente della Commissione Antimafia.

È il caso di richiamare l’audizione del 18 gennaio 2012 del prefetto Caruso, responsabile dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia che ha sede a Reggio Calabria, davanti alla Commissione Antimafia e la successiva audizione del 17, 18 e 19 febbraio 2014, quando tutta la Commissione fece quadrato intorno alla Saguto criticando le dichiarazioni di Caruso, il quale, per avere squarciato il velo su questo problema fu graziosamente messo in pensione. Allora persino l’ANM intervenne e tutti, dal giudice Morosini, a Bindi, a Fava si apprestarono a frettolose dichiarazioni del tipo che, tirando fuori certe cose, “si rischiava di destabilizzare il sistema, che si screditava l’operato della magistratura, che si rischiava di fare un favore alla mafia”.

Scarpinato e Agueci invece dovrebbero testimoniare che l’attentato che si stava preparando per la Saguto non era farlocco, ma era vero. Invero, da quanto è sinora emerso, anche dall’audizione di imputati e testi, da Fabio Licata a Carmelo Provenzano, pare di capire che la linea di difesa, senza dubbio ispirata e pilotata dagli avvocati Ninni Reina Antonio Sottosanti e Giulia Bongiorno (ve la ricordate, quella che difendeva Andreotti e alla fine riuscì a farlo assolvere a metà) sia quella di valutare come “normalità” un sistema di gestione che invece era criminoso e criminogeno. Una sorta di “così fan tutte” di mozartiana memoria, che per qualche verso ricorda anche il discorso di Craxi in Parlamento sulle tangenti. Le prendevano tutti. Era un modo d’agire comune: di cosa dovrebbero rispondere gli imputati? Di avere servito lo stato? E così si crea una specie di ibrida commistione tra il servire lo stato e il servire se stessi senza che si prenda in seria considerazione che il problema sta nella legge che consente tali aberrazioni spesso fuori da qualsiasi rispetto dei diritti del cittadino.

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Redazione

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