Inevitabile il paragone con Felicia Impastato, nata il 9 maggio 1978, nel giorno in cui venne ucciso il figlio Peppino. Le due donne si sono incontrate più volte, parlando a lungo del dramma che aveva sconvolto le loro vite e riconoscendosi nella decisa volontà di avere giustizia e di dare un volto agli assassini dei loro congiunti. Una battaglia conclusasi, con una verità parziale, con molte ombre e domande irrisolte, e che ha nascosto i depistaggi delle indagini, l’individuazione e la condanna dei responsabili.
Rita ha continuato, sino al suo ultimo giorno la sua battaglia per scoprire tutto quello che nascondeva la morte del fratello, sino all’ultima recente sentenza che è un preciso atto d’accusa sulle responsabilità dello stato e di chi avrebbe dovuto agire in nome di una giustizia che non c’è stata. Non ha lasciato la sua casa di via D’Amelio, dove è stato ucciso il fratello e, in quel luogo ha voluto testimoniare la sua presenza, sino al 19 luglio di quest’anno.
È da quel giorno che Rita, superando la sua riservatezza, ha “tirato fuori le unghia”, partecipando incessantemente a dibattiti, incontri, soprattutto nelle scuole, testimoniando, con il suo linguaggio semplice, ma coinvolgente, assieme ai suoi ricordi, la necessità di “fare memoria”, di avere dei punti di riferimento e di procedere sul sentiero della legalità, allontanandosi dal “puzzo del compromesso”.
Il punto di svolta, in tal senso, sono state le elezioni regionali del 2006, quando Rita si candidò alla presidenza della Regione Siciliana in antitesi a Totò Cuffaro. Era lì che la Sicilia si giocava la sua ultima possibilità. I siciliani scelsero Cuffaro, con il 53,8%, dando a Rita solo il 41,63%. Si noti che 5 anni prima Cuffaro aveva vinto con il 59,1% e il centrosinistra si era fermato al 36,6% e che le preferenze per la Borsellino risultarono superiori alla somma dei voti per i partiti della sua lista, al contrario dell’avversario. E comunque è allora che la Sicilia ha perso. Rita, diviene deputato all’Assemblea Regionale Siciliana fino allo scioglimento dell’Ars nel 2008. È stato detto che quello è stato il risultato più alto ottenuto sinora dal centro sinistra, è stato notato che solo 300 mila voti divisero Rita da Cuffaro, si è parlato infine di un riscatto alle Europee del 2009, quando Rita fu eletta nelle liste del PD con 229 mila voti, comunque seconda dietro al solito Berlusconi. In realtà quella data rappresenta un punto di non ritorno per la Sicilia, anche se è giusto precisare che esiste uno “zoccolo duro” che ancora “ci crede”, che non ha voglia di arrendersi al degrado politico, sociale ed economico in cui si continua a stare.
Inevitabile fare un cenno al ruolo ambiguo del PD, a cominciare da quando una parte di esso, la Margherita, contrappose a Rita alle primarie del 2006 Ferdinando Latteri, rettore dell’Università di Catania, appena fuoruscito da Forza Italia, per passare alla candidatura “imposta” di Anna Finocchiaro alla Regione Sicilia, conclusasi con un disastroso risultato, per continuare con la scelta, nel 2012, di Fabrizio Ferrandelli, a lei contrapposto, poi sconfitto da Crocetta. Da allora le scelte di Rita sono andate oltre il PD, ed essa è diventata un punto di riferimento per l’area che ancora crede nei valori più autentici della sinistra.
Il resto della vita di Rita si svolge con il suo costante contributo a Libera, di cui è stata vicepresidente, all’ARCI, all’Associazione Piera Cutino, per la ricerca medica contro la talassemia, ai movimenti per l’emancipazione delle donne, alla denuncia contro le attività mafiose, alla lotta per il corretto funzionamento della giustizia, alla partecipazione in documentari, trasmissioni e articoli di stampa con una frase che è la sua stessa carta d’identità: “La memoria è vita che si coltiva ogni giorno”.
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