Rinviati a giudizio la Saguto e alcuni dei suoi “complici”
Per anni c’è stata una gestione spregiudicata dei patrimoni sottratti alla mafia”, hanno detto all’udienza preliminare i pubblici ministeri di Caltanissetta Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti.
In realtà si può parlare di un autentico “sistema criminale” attraverso il quale un’associazione di persone, più o meno in relazione tra di loro prima identificavano il bersaglio, ovvero il bene da sequestrare, poi, attraverso la ricerca, condotta scrupolosamente da organi inquirenti, particolarmente dalla DIA, si trovava la motivazione, ovvero l’elemento che potesse giustificare il sequestro, legato molto spesso all’ipotesi, al sospetto, alla presunta collusione, all’appartenenza attraverso la parentela, al presunto riciclaggio di denaro sporco, al pizzino, alla dichiarazione di qualche pentito, poi si emetteva il decreto di sequestro con la scelta, sempre ad arbitrio del magistrato che si occupava di portare avanti l’operazione, dell’amministratore giudiziario cui affidare la gestione del bene sequestrato. Per l’amministratore si trattava di un lavoro di cui lui stesso redigeva le parcelle, che passavano alla firma del magistrato e che venivano liquidate con i fondi dell’azienda sotto sequestro. A coronamento dell’operazione l’amministratore aveva la facoltà di nominare parenti, amici, esperti, collaboratori, a sua facoltà, di licenziare i vecchi dipendenti, di mettere in liquidazione l’azienda o alcune sue parti, molto spesso di girare anche ad altre aziende amiche i pezzi o le parti svendute. Abbiamo usato l’imperfetto, ma ancora oggi il sistema di gestione dei beni sequestrati messo in piedi dalla Saguto regge e continua, se è vero che una serie di amministratori giudiziari sono rimasti al loro posto e che i tempi per definire le cause legate alle istanze di dissequestro subiscono rinvii che durano anni, sino alla totale chiusura dell’attività dell’azienda sotto sequestro. Difficile calcolare quante siano le persone che oggi hanno perso il lavoro dopo il sequestro della loro azienda. Difficile anche calcolare i danni arrecati all’economia siciliana e al suo già fragile sistema produttivo.
E comunque, che la magistratura di Caltanissetta si stia occupando di un’inchiesta che riguarda l’operato di una “collega” di Palermo e di altri “colleghi” a lei legati, è già un evento, lascia pensare che non sempre i giudici si proteggono tra di loro e che la giustizia, alla fine, può essere in grado di fare pulizia anche al suo interno. Diciamo pure che “ci sarà un giudice a Berlino”, come diceva il povero mugnaio di Postdam creato da Bertold Brecht.
E così il gip Marcello Testaquadra ha deciso il rinvio a giudizio per Silvana Saguto, ex presidente dell’Ufficio Misure di prevenzione di Palermo e per altri quindici imputati. La prima udienza si terrà il 22 gennaio.
Secondo la procura di Caltanissetta, diretta dal dott, Amedeo Bertone “Il grosso delle entrate della famiglia Saguto derivava dagli incarichi conferiti dall’avvocato Cappellano Seminara al marito della giudice, Lorenzo Caramma“. Le indagini del nucleo di polizia tributaria di Palermo hanno scoperto che Silvana Saguto aveva creato rapporti privilegiati almeno con due amministratori di patrimoni sequestrati. Sappiamo che erano molti di più. Dopo Seminara la Saguto avrebbe spostato la sua attenzione, per una diretta collaborazione, sul professore della Kore Carmelo Provenzano. Troviamo tra gli indagati anche l’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, grande amica di Silvana Saguto, che avrebbe fatto assegnare un incarico di amministratore al nipote dell’ex prefetto di Messina Stefano Scammacca. Indagati anche gli amministratori giudiziari Aulo Gabriele Gigante, Roberto Nicola Santangelo e Walter Virga, figlio di Tommaso, giudice, nominato dalla Saguto amministratore giudiziario dei beni dei Rappa stimati in 800 milioni di euro. A giudizio pure il marito di Silvana Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma, uno dei figli, Emanuele, e il padre Vittorio Pietro. Poi ancora Roberto Di Maria (preside della facoltà di Scienze Economiche e giuridiche della Kore di Enna), Maria Ingrao (la moglie di Provenzano), Calogera Manta (collaboratrice di Provenzano) e il tenente colonnello della Guardia di finanza Rosolino Nasca. Sono un’ottantina le ipotesi di reato contestate: vanno dalla corruzione al falso, dall’abuso d’ufficio alla truffa aggravata. Il 20 dicembre, inizierà invece il giudizio abbreviato che vede imputati i magistrati Tommaso Virga, Fabio Licata e il cancelliere del tribunale Elio Grimaldi.
Va detto, cosa che è del tutto ignorata dalle agenzie di stampa, che all’apertura di questo processo e alla denuncia di questa perversa gestione dei beni sequestrati ha dato un suo contributo Telejato, dai cui servizi è partita l’indagine che poi è stata trasmessa dalla Procura di Palermo alla magistratura di Caltanissetta.