Ricordo di Bernardino Verro
Bernardino Verro è uno di quei Corleonesi che merita un posto nella storia della lotta contro la mafia, in un paese dove la mafia ha sempre avuto forti radici storiche.
Alla fine dell’800 nelle campagne siciliane dominavano la mafia e i grandi latifondisti, al cui servizio lavoravano gabelloti e campieri. Le infelici condizioni di vita e di sfruttamento del lavoro contadino portarono i siciliani a creare organizzazioni spontanee di mutua assistenza attraverso i Fasci, considerati da diversi storici come il più grande movimento di massa e di lotta di fine Ottocento in Europa: nel momento più alto furono in circa 400 mila i siciliani scritti ai Fasci, che si definiscono “Fascianti”, per distinguerli dai Fascisti che nasceranno trentanni dopo. Si trattava di realtà autorganizzate di contadini, che reciprocamente cercavano di aiutarsi reciprocamente con attività di studio, di redistribuzione delle ore lavoro per aiutare chi lavoro non aveva, e portando avanti lotte e richieste di migliori condizioni sociali e di nuovi accordi nella gestione delle terre
Verro fu uno dei primi intellettuali siciliani ad accostarsi alle idee del socialismo e a cercare si allargarne l’analisi alla dura realtà delle campagne siciliane, e fu uno dei principali leaders dei Fasci, assieme a Garibaldi Bosco di Palermo, a Napoleone Colaianni, a Nicola Barbato, di Piana degli Albanesi, a Lorenzo Panepinto di Santo Stefano della Quisquina. Il 31 luglio del 1892 si tenne a Corleone un Congresso che deliberò i famosi “Patti di Corleone”, scritti in gran parte da Verro, il quale, già in questa occasione venne arrestato. I Patti costituiscono un documento fondamentale per capire come i contadini decidevano le condizioni del contratto di lavoro, chiedendo l’abolizione di tutte le quote a vantaggio degli agrari, (soprattutto il dazio sulle farine o il pagamento delle sementi) e l’introduzione della mezzadria e delle affittanze collettive e non esitando a ricorrere allo sciopero nel caso che il padronato non volesse applicare quanto concordato. I fasci si estesero in modo impressionante in tutta la Sicilia, da Piana, i cui iscritti erano 2500, di cui mille donne, a S. Giuseppe Jato, con 900 iscritti, a Corleone, con 2000 iscritti, a Partinico con 1000 iscritti.
Il governo, di cui era allora presidente Francesco Crispi, in perfetto accordo con gli interessi degli agrari e dei mafiosi al loro servizio, vide in questo movimento un pericolo per gli equilibri di potere e ordinò una feroce repressione che si concluse in una carneficina: furono 108 i morti, 16 a Caltavuturo, 11 a Giardinello, 20 a Ghibellina, 14 a Lercara, 14 a S.Caterina Villaermosa. Tutti coloro che erano individuati come socialisti vennero puniti con pesanti condanni da tribunali di guerra improvvisati. Verro stesso venne condannato a 16 anni, reo di “avere prestato assistenza per fare scoppiare i tumulti a Lercara. Dopo questo che Filippo Turati definì uno “scannatoio” il comportamento del governo italiano, si può dire che la speranza dei siciliani di costruire una società più onesta e senza ingiustizie tramontò e che l’unica via possibile rimase l’emigrazione: tra il 1890 e il 1915 circa un terzo dei Siciliani emigrarono soprattutto nelle Americhe. Nel 1895 veniva concessa dal nuovo capo del governo Di Rudinì un’amnistia a tutti i condannati a condizione che non ricostituissero i Fasci. Verro continuò la sua attività politica negli anni successivi diventando nel 1914 sindaco di Corleone e organizzando i contadini in cooperative con le quali ottenere la gestione delle terre incolte e l’affitto dei feudi per riscattare i contadini dallo sfruttamento dei gabelloti. Venne ucciso il 3 novembre 1915, in prossimità della sua abitazione, sotto gli occhi di tutti, con 11 colpi di rivoltella. Prima di lui erano stati uccisi a Corleone due altri dirigenti socialisti, Luciano Nicoletti e Andrea Orlando. Del delitto vennero accusati 13 mafiosi, prima rinviati a giudizio e poi prosciolti. La mafia non solo ha ucciso Verro, ma ha cercato di cancellarne la memoria: nel 1917 era stato posto in una piazza a Corleone un busto che nel 1925 venne trafugato e non più ritrovato. Quasi 70 anni dopo, nel luglio del 1994 un altro busto collocato nella villa comunale è stato distrutto. Si è molto discusso circa l’affiliazione di Vero alla locale setta mafiosa dei “Fratuzzi”. Verro stesso confesso ai suoi cittadini di averlo fatto sia per rendersi conto di cosa fosse questa organizzazione, sia perché sin dal 1894 era stato minacciato di morte, sia infine perché sperava di proteggere il movimento dei fasci dalla violenza dell’alta mafia degli agrari. 53 anni dopo la sua morte Corleone, dopo la terribile stagione di Navarra, di Leggio, di Riina, di Bagarella, di Provenzano, dopo che il comune è stato sciolto per mafia, sembra avviarsi verso la normalità con le prossime elezioni comunali, ma la partita è ancora tutta da giocare.