Non è per partecipare alla corsa di chi possiede il ricordo migliore sul presidente Sergio Mattarella, ma credo sia importante mettersi ognuno che può a scrivere la storia di un uomo , di un siciliano, che farà la storia del nostro Paese. Ad attenderlo al Quirinale ci sono i faldoni politici sulle riforme, su questa Italia che cambia, ci sono i politici che oggi non hanno più l’alibi di non fare nulla per colpa di quel vecchia ciò che col conflitto di interessi ha saputo giocare bene, alla fine pensate un truffaldino quale è stato, mister B oggi passa qualche ora delle sue settimane a far divertire gli ospiti di una casa di riposo. Manna dal cielo, altro che carcere. L’Italia dell’Assemblea Costituente si affidò a economisti, giuristi, oggi questo Parlamento che ha il solo vizio di non potersi appellare costituente, non poteva fare una scelta diversa rispetto a quella di Sergio Mattarella, un cattedratico, un fine giurista, un uomo che ha dimostrato in altri tempi, quando la morte per mano mafiosa del fratello lo catapulto’ in politica, di non avere timore dei lupi. Con addosso ancora l’odore acre del sangue del fratello Piersanti, che la mattina del 6 gennaio 1980 Cosa nostra uccise davanti agli occhi dei familiari e dei palermitani, il prof. Piersanti Mattarella entrato in politica colse subito un altro odore quello dei soldi e degli appalti. Intravide subito alcuni crocevia tra mafia e massoneria. La politica a fare da sfondo. A riempire lo scenario per rendere tutto bello. Il presidente Sergio Mattarella scopri tutto questo non solo perché fu chiamato ad occuparsi dl segretario De Mita a ricostruir il partito in Sicilia e in Calabria, ma perché i soldi, gli appalti, gli inciuci tra mafia e massoneria erano tutti dentro alle indagini sul delitto di Piersanti Mattarella. Contro questi schemi Sergio Mattarella ha saputo segnare la linea del Piave, invalicabile nel suo essere politico. La si smetta perciò di parlare di prima, seconda, terza repubblica ecc. Spesso e’ più inaffidabile chi in politica arriva ora che non chi c’era già prima. Guardiamo alla politica dei fatti e dei contenuti, non agli annali degli ingressi in Parlamento. Nelle pagine del processo per il delitto Mattarella vi sono episodi rimasti raccontati, però
finiti sotto silenzio, tanto inquietanti quanto impronunciabili. Tanto attuali per certi versi. In evidenza in questi racconti i contrasti che il presidente Piersanti Mattarella ebbe con una parte importante del suo partito, quella che era rappresentata dai cugini di Salemi, i potenti esattori Nino e Ignazio Salvo, i cugini che controllavano la raccolta delle tasse con un super agio che gli riconosceva lo Stato e la Regione. I potenti esattori che nonostante mille impegni e mille impicci , capaci di far cadere addirittura Governi come tocco’ a quello di Giovanni Spadolini, si racconta che solo rarissime volte hanno disertato le riunioni della direzione provinciale della Dc trapanese. Sergio Mattarella, sentito come teste nel processo per il delitto del fratello, venne a dire ai giudici quello che aveva saputo sullo scontro diretto tra il fratello e gli esattori di Salemi. E i nomi venuti fuori da quella testimonianza sono nomi che ancora oggi fanno parte dell’attualità siciliana tra politica e mafia. Uno dei nomi fatti fu quello dell’ex deputato regionale della Dc, Pino Giammarinaro, anche lui di Salemi e per lungo tempo rappresentante degli andreottiani in provincia di Trapani, “ominicchio” degli esattori Salvo. Deputato regionale nel 1991 eletto con 50 mila voti dopo che per decenni aveva governato la sanità trapanese, latitante pochi mesi dopo la sua elezione, processato per mafia, assolto, sorvegliato speciale e oggi sottoposto a nuovo procedimento per sorveglianza speciale e sequestro di beni da quasi 50 milioni di euro. Il prof. Sergio Mattarella dinanzi alla Prima Sezione della Corte di Assise di Palermo tirò fuori il nome di Giammarinaro raccontando della vicenda di costituzione di una cassa rurale a Salemi. Tema che Piersanti Mattarella nei primi mesi del 1976 aveva affrontato da assessore regionale al Bilancio. Il fratello ricordò di avergli sentito parlare di questa banca in termini chiari, “Non glielo consentirò né oggi né mai”. Ma di chi parlava Piersanti Mattarella? “Nei primi del ’76 – raccontò Sergio Mattarella ai giudici – fu richiesta la costituzione e autorizzazione per una cassa rurale di Salemi da parte di un gruppo di associati il cui rappresentante amministratore si chiamava Ignazio Lo Presti notoriamente vicino ai Salvo”. A Ignazio Lo Presti poi fece seguito come amministratore un tal Giuseppe Giammarinaro. Il professore Sergio Mattarella ricostruì molto bene quella vicenda tra mafia e piccioli: “Questa richiesta avanzata nei primi del ’76 non fu mai dotata di parere favorevole e non lo ebbe mai finché rimase Piersanti Mattarella all’Assessorato al Bilancio prima e alla presidenza della Regione dopo… Per quel che so poi ebbe un parere favorevole a fine del 1980, dopo quasi un anno dell’omicidio di Piersanti e poi fu bloccato dall’intervento della banca d’Italia…”.
Quella testimonianza contiene anche altro. Disse ancora Sergio Mattarella: “Vorrei aggiungere, Presidente, una cosa connessa ma che dà una spiegazione ulteriore, spero almeno. Piersanti Mattarella ecco, lui… Il suo gruppo, quello moroteo, che era questo piccolo gruppo, qualche volta anche con un, secondo alcuni, eccesso di ostentazione manifestava come titolo di vanto una sorta di “diversità” nella Democrazia Cristiana” pur sentendosi profondamente democristiano. Manifestavano una sorta di… Come un titolo di vanto quella di rapporti non soltanto politici ma anche elettorali e di frequentazioni personali con persone di un ambiente circoscritto motivate e assolutamente ineccepibili. Questo veniva ostentato e dava anche qualche fastidio dentro la Democrazia cristiana dove talvolta, vorrei dire spesso, venivano visti i morotei come una sorta di setta, con qualche diffidenza, con fastidio non sempre dissimulato. Ora questo atteggiamento urtava, questa ostentata, questo… vanto di quell’atteggiamento di diversità di stile di metodo e di impegno politico, urtava contro… Perché la diffidenza! Perché urtava contro una sorta di assioma quasi di regola che le correnti D.C. di maggioranza siciliane volevano fosse affermata che era l’espressione: “Siamo tutti uguali perché tutti democristiani”. Nei confronti di chi manifestava una diversità vi era una diffidenza piuttosto forte”. Parole chiare nette, la Dc, i morotei, i morotei integralisti nel loro credo di servire il Paese e non il partito, la storia di Moro e Mattarella ammazzati uno dopo l’altro.
In Sicilia Piersanti Mattarella si scagliò contro chi cercò anche di far male a Sergio Mattarella forse non a caso chiamato a far parte del gabinetto Andreotti, a cadere dentro un tranello, che avrebbe dovuto regalare l’etere alle tv berlusconiana: le dimissioni di Mattarella e di altri quattro ministri Riccardo Misasi, Mino Martinazzoli, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani, furono una risposta chiara, le parole ancora oggi ricordate come dette da Sergio Mattarella furono parole lapidarie, «Ci siamo dimessi. Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia in linea di principio inammissibile e inopportuna». Come non ricordare che in quell’estate del 1990 in Sicilia, mister B e Andreotti si dividevano quasi gli stessi amici, qualcuno poi alzato agli onori della cronaca come “eroe”.
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