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Processo Pino Maniaci, il nostro redazionale sulla requisitoria della pm

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Il nostro redazionale sulla requisitoria del pubblico ministero e su quello che realmente è accaduto durante il procedimento. Un boomerang mediatico per la procura che ha chiesto undici anni e sei mesi per Pino Maniaci.

Il processo che vede il nostro direttore, Pino Maniaci, imputato per estorsione volge alle battute finali. Parliamo di un processo di primo grado e della richiesta del PM di una condanna di oltre 11 anni e 5 mila euro di ammenda. Ci sarà l’udienza per l’arringa finale degli avvocati della difesa e infine una sentenza. Eppure diverse agenzie di stampa hanno trattato la notizia come se la sentenza di condanna fosse stata già emessa. E la cosa diventa ancora più interessante se calcoliamo che le testate giornalistiche, a causa delle restrizioni del Covid, erano fortemente limitate nell’accesso. Ma nonostante ciò appena usciti dal tribunale non abbiamo fatto in tempo a rientrare a Partinico che la notizia era già su scala nazionale. Ci onora tutta questa attenzione mediatica, tuttavia vi invitiamo alla calma anche perché la sentenza deve ancora essere emessa e, ad ogni modo, anche se l’esito dovesse essere nefasto, sarà assai curioso argomentare come sia possibile venire condannati per una estorsione di euro 366, ovvero 300 euro più iva al 22% o per aver presumibilmente spillato qualche 50 euro a politici che non solo non hanno denunciato, che non solo hanno dichiarato di non essere mai stati minacciati o ricattati, ma che addirittura hanno dichiarato di fare “attività solidale” e di farlo con qualunque indigente che entrasse nella stanza del Sindaco.

Ma ciò che ci ha lasciati esterrefatti nell’arringa del pubblico ministero è ben altro. È stato come se anni di dibattimento, decine di test interrogati, prove, accuse smontate una dopo l’altra, non fossero mai avvenuti. Abbiamo ascoltato né più né meno la rilettura di quanto riportato nell’ordinanza originaria denominata Kelevra, che vide il nostro direttore Pino Maniaci coinvolto – con la notifica di un divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani – insieme a vari boss mafiosi che invece furono arrestati. Ma perfino quella posizione venne stralciata e il processo che ne seguì vide il nostro direttore imputato per estorsione e diffamazione.

Ma c’è altro che non comprendiamo o meglio dire facciamo finta di non comprendere. Com’è possibile che il pubblico ministero al fine di avvalorare la propria tesi accusatoria riporta stralci di interrogatorio e intercettazioni dove si evincono che vengono commessi presunti reati ma tali soggetti non subiscono alcun procedimento? È come se tutto il contorno scomparisse, fosse decontestualizzato al fine di inchiodare solo Pino Maniaci che deve necessariamente pagare per tutti e che deve necessariamente essere messo a tacere. Volete le prove? Vi facciamo solo qualche esempio per non dilungarci e annoiarvi, saranno poi i legali della difesa Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino, nella sede appropriata, a meglio argomentare.

Per esempio il Pm nel riportare la presunta estorsione al Polizzi di Borgetto consistente in euro 2000 per delle magliette, legge una intercettazione dove il Polizzi parlando con l’ex Sindaco di Borgetto Davì, gli dice che “voi mi avete costretto e obbligato a fare queste magliette”. Voi mi avete obbligato, cioè Maniaci e Davì. Pertanto la eventuale estorsione a Polizzi venne fatta da Maniaci in concorso con Davì. Eppure sul banco degli imputati sale solo Maniaci nonostante il Polizzi in dibattimento abbia negato qualsivoglia estorsione ed abbia negato perfino di essere presente nella stanza quando il pm cita un altro episodio estorsivo. A questo punto perfino le dichiarazioni di Polizzi diventano attendibili ad intermittenza come le luci di natale. L’intercettazione è attendibile, mentre le dichiarazioni dello stesso Polizzi non sono attendibili. Insomma un test o è attendibile sempre oppure non lo è. E se il pm ritiene che abbia commesso falsa testimonianza avrebbe il dovere di assumere gli atti consequenziali.

Perfino il video dato in pasto alla stampa per screditare Pino Maniaci è stato ampiamente dimostrato come sia stato manipolato. Acquisito il video originale, periti tecnici e avvocati hanno dimostrato che l’audio nel video originale si trova in una sequenza di immagini diversa rispetto a quella che è stata data alla stampa. E non solo. Nella stanza del video manomesso scompare una terza persona che ha assistito alla tentata estorsione. In pratica il Maniaci è così coglione da taglieggiare il Sindaco in presenza di testimoni. E addirittura i diretti interessati continuano a ribadire ad ogni udienza di non essere mai stati vittima di estorsione dal nostro direttore.

Anche Salvo Lo Biundo, ex Sindaco di Partinico e Gianlivio Provenzano, all’epoca assessore, in dibattimento hanno negato di aver mai subito intimidazioni, minacce, estorsioni. Ma anche in questo caso il PM riporta intercettazioni e fatti dove verrebbe comprovato che Lo Biundo pagasse a nero la presunta amante di Maniaci perché, a suo dire, costretto dallo stesso. Ed anche in questo caso non capiamo il motivo per il quale sia solo Maniaci sul banco degli imputati: se fosse vero quanto dal PM sostenuto, ci chiediamo per quale motivo non venga messo sul banco degli imputati anche chi ha fatto assunzioni e pagamenti in nero nell’esercizio della funzione pubblica? E nel momento in cui gli organi competenti sono venuti a conoscenza che al Comune di Partinico si stava consumando un reato per quale motivo non sono intervenuti? L’obbligatorietà dell’azione penale perché non è stata esercitata?

Perfino l’ex capitano dei Carabinieri De Chirico, teste chiave dell’accusa, aveva ammesso di non aver trovato nessuna prova sul cambio di linea all’interno del tg condotto da Maniaci dopo la dazione di denaro. Quindi se l’estorsione avveniva affinché ci fosse un cambio della linea editoriale due sono le cose: o l’estorsione non è avvenuta o questi erano così coglioni da pagare nonostante la linea editoriale non subisse modifica. Un vero rompicapo, un mistero.

Addirittura gli avvocati di parte civile nell’arringa accusatoria tentano di dimostrare che siamo ossessionati e alla stregua di odiatori seriali. Ce la prendiamo con la distilleria Bertolino, con i Sindaci di turno, con il commissario, con l’ospedale. Cioè avere il coraggio, pur con i nostri difetti (ma chi è senza peccato scagli la prima pietra), di puntare i fari ove ci sono molte ombre e poca luce diventa quasi quasi un fatto negativo. Eppure siamo tutti di Partinico, avvocati compresi. E sappiamo perfettamente cosa hanno rappresentato la distilleria, le stalle dei Fardazza (demolite grazie alle denunce di Telejato), i politici locali, ecc. A questo punto ci chiediamo come mai non ci abbiano perfino accreditato di essere la causa dello scioglimento dei Comuni di Partinico e Borgetto e del dissesto finanziario di entrambi i comuni.

Riteniamo siano sufficienti questi esempi per comprendere che ci sono verità inconfessabili e proposte indecenti al fine di ottenere determinate dichiarazioni in cambio della chiusura di un occhio. Ma abbiamo motivo di credere che il castello di carta creato crollerà giù appena soffierà il vento della verità. Nell’attesa continueremo a svolgere il nostro lavoro consapevoli di non essere perfetti e di aver commesso qualche piccolo errore, ma convinti di aver sempre sventato collusioni, corruzioni e malavita organizzata.

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Redazione

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