Non sappiamo più se chiamarla “Operazione Kelevra” o “Caso Maniaci”, se parlare di “Boss di Borgetto alla sbarra” o di “Processo a un giornalista antimafia” diventato estorsore, con prova filmata e quindi documentata sia della sua estorsione, sia di tutte le cose dette in libertà e processualmente irrilevanti, ma inserite nel video con l’obiettivo preciso di demolire l’immagine di Maniaci e presentarlo come uno squallido personaggio che chiedeva soldi a tutti, ricattandoli col suo strumento, cioè la telecamera, e con la sua emittente, cioè Telejato. Non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai perché l’avvocato di Maniaci, Bartolo Parrino, nel chiedere al presidente della seconda sezione penale, dove ha luogo il processo a Maniaci, Benedeto Giaimo, se avesse preso atto del filmato, ha scoperto che tale filmato non è agli atti. Anche il tecnico di parte, che avrebbe dovuto, attraverso lo studio del progetto usato da chi ha confezionato il video, rilevarne le anomalie e l’associazione di parti diverse per arrivare a una conclusione preordinata, non ha ricevuto, a parte i frammenti di filmati, il file di questo progetto.
Aggiungiamo poi che non si vuole assolutamente che entrino telecamere e microfoni a riprendere il processo e arriviamo a una conclusione, al momento ipotetica, ovvero che da parte di chi ha voluto questo processo a Maniaci, non stralciandolo dagli altri imputati, c’è da una parte l’intenzione di usare gli altri imputati che non vogliono essere ripresi, per giustificare l’oscuramento, mentre dall’altra l’accusa non vuole svelare le tecniche cui ha fatto ricorso, per evitare che non si arrivi alla dimostrazione che sotto c’è ben poco, per non dire niente.
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