5 marzo 2018. Arrivo a Caltanissetta con il mio avvocato Bartolo Parrino, puntuale per fissato inizio dell’udienza, prevista alle 10,30. Si inizia invece intorno a mezzogiorno con l’arringa del P.M.
Sono accusato, assieme a Riccardo Orioles di avere scritto e pubblicato sul sito di Telejato in data 21 giugno 2016 un articolo dal titolo “Metti una sera a cena”, nel quale ho ricostruito una immaginaria cena di compleanno della Za Vania Saputo alla quale hanno partecipato, portando ognuno un dono, vari amici della festeggiata, Tano Seminato, Fabio Narice, Francesco Verga, Richard Armato, Ciccia Cannozzo, Melo Provenza, Franco Lo Bue, Alessandro Scimia e Mario Crusca, assieme ai familiari di Vania, ovvero il marito Lorenzo, i suoi due figli, Elio e Francesco e la nuora Wanda. Evito di ripubblicare l’articolo, per non essere accusato di reiterare il reato, come ha tentato di fare l’avvocato della parte offesa, chiedendo l’acquisizione agli atti dell’articolo da me pubblicato su Antimafia Duemila il 24 gennaio 2018 con il resoconto dell’udienza. Di fatto, secondo Lo Voi i personaggi sono identificabili attraverso i vari nomignoli ed in particolare egli si è sentito diffamato perché, con il nome di Ciccio Lo Bue, procuratore capo di Salerno, avrebbe partecipato alla cena, facendo portare da un suo addetto alla scorta, in dono, un’anguria proveniente da un mercato orticolo sotto sequestro e progettando, in una discussione dopocena le iniziative da portare avanti per chiudere la bocca a Pino Maniaci e alla sua emittente Telejato.
Il P.M. è una ragazza interamente dentro il suo ruolo, che parla per un’ora, cita sentenze e riassume il contenuto dell’articolo incriminato interpretandolo come grave atto con il quale si è voluto creare discredito al Procuratore Lo Voi, chiamandolo Lo Bue, assimilando la sua figura a quella di Carmelo Provenzano, che era quello che forniva frutta fresca alla Saguto e associandolo ad un complotto attraverso il quale lo si rendeva partecipe di un distorto e vendicativo uso della giustizia. Il giovane PM ha inoltre sostenuto che, malgrado le dichiarazioni dell’imputato, non si trattava di satira nei confronti del potere, ma di dileggio nei confronti di un singolo personaggio. A conclusione del suo discorso ha chiesto un anno di reclusione e un risarcimento per il danno arrecato all’immagine. Lo Voi aveva chiesto nella sua denuncia 100 mila euro. È la prima volta che mi vedo gettare addosso una richiesta di condanna in tribunale e che mi sento un criminale, alla stregua di ladri, spacciatori, mafiosi e canaglie di ogni tipo. Il PM non ha avuto nessun ripensamento, nessuna considerazione della mia storia, delle mie lotte per la giustizia, delle mie battaglie contro la mafia. Molte volte, scherzando, con Maniaci ci siamo detti: “Non ci ha tolto di mezzo la mafia, lo farà l’antimafia”. Ai suoi occhi c’era solo un criminale. Anche l’avvocato difensore di Lo Voi, con una lunga arringa ha sostenuto l’estraneità di Lo Voi, che era in altra sede, al momento dell’avvio delle intercettazioni contro Maniaci, e l’insussistenza satirica dell’articolo, poiché, andando con l’immaginazione oltre i fatti, li trasformava in gravi accuse. Pertanto si è associato alla richiesta del PM.
È il turno dell’avvocato Parrino. Bartolo è stato un mio alunno: lo ascolto con ammirazione e sono contento di avere dato un qualche contributo alla sua formazione e alla sua capacità argomentativa. Ricostruisce il ruolo di Pino Maniaci e il mio nell’avere portato avanti, a partire dal 2013, le inchieste e le denunce sui beni sequestrati alla mafia, e sull’operato dell’ufficio misure di prevenzione, ricostruisce il ruolo di Lo Voi nell’avere portato avanti l’operazione Kelevra con una serie di decisioni mirate a demolire l’immagine di Maniaci e a causare la chiusura della sua emittente, parla dei contatti di Lo Voi con i suoi colleghi di Magistratura Indipendente, della quale hanno fatto parte la Saguto e Tommaso Virga, della sua parentela, tramite la moglie, con Cappellano Seminara e quindi della piena liceità, da parte dell’imputato di utilizzare la sua ed altre figure all’interno di un’ipotesi satirica dove si prospettano interventi nei quali egli non poteva non avere un ruolo. Sostiene il diritto di utilizzare lo strumento della satira, da parte dell’imputato, nella stessa misura e con le stesse caratteristiche da lui usate sin dai tempi di Peppino Impastato, con il quale realizzava le trasmissioni di Onda Pazza, delle quali chiede l’acquisizione agli atti delle registrazioni: in tal senso ritiene distorta e disinformata l’accusa del procuratore che sostiene che la satira di Impastato era valida e quella di Salvo Vitale no: la satira di Salvo era quella di Peppino. Parrino ritiene che il ruolo del giudice, nel dovere valutare la denuncia di un suo collega è delicato, cita l’affermazione di Walter Virga, secondo cui per ogni giudice accusato ce ne sono altri 8 mila pronti a schierarsi in sua difesa e infine sostiene che si potrebbe far satira anche sui tempi velocissimi con i quali è stato condotto questo processo, rispetto ad altri che languiscono da anni. Esorta il giudice a non contribuire al pesante giudizio che viene dato alla mancata libertà di stampa, che piazza l’Italia al 68° posto nel mondo. Alla fine il giudice Palmeri si ritira e, dopo due ore di riflessione emette la sentenza: Riccardo Orioles è assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, Salvo Vitale è condannato, escluse le aggravanti e concesse le attenuanti generiche, alla pena di 500 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento di 3.500 euro in favore di Lo Voi e alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della stessa, stimate in 1.710 euro oltre le spese generali, IVA, C.P.A.. Tra 90 giorni si conosceranno le motivazioni della sentenza.
Non so se esultare o se andare in depressione. A mettere assieme le varie somme che dovrei pagare, andiamo oltre i 6 mila euro e francamente non so dove prenderli, visto che vivo solo di pensione. Bartolo sostiene invece che è andata bene, perché la multa è quasi simbolica, e che il giudice non poteva non dare un minimo riconoscimento alla richiesta e all’accusa di un autorevolissimo personaggio come il procuratore capo della procura di Palermo. E comunque mi dice che andremo in appello, per chiedere una completa assoluzione.
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