PPP, ossia Padre Pino Puglisi: su di lui si è stato scritto tanto, sono stati girati film e documentari. È la prima volta che nella sanguinaria storia dei delitti mafiosi si colpisce un prete, colpevole non di sgarri, di rifiuti, di “mancanza di rispetto”, ma di fare esclusivamente il suo lavoro, di girare tra i parrocchiani di Brancaccio e di offrire ai loro figli qualche possibilità in più d’incontro, di dialogo, di crescita: quello che si chiama apostolato, ma che dovrebbe essere il modo di agire di qualsiasi persona che sceglie il sacerdozio. In passato non è stato sempre così: tra chiesa e mafia ci sono stati sempre rapporti di pacifica convivenza, qualche volta reciproci scambi di favori e soprattutto la constatazione, spesso realistica che il mafioso era una delle componenti più importanti del tessuto sociale, quello che assieme al sindaco, al maresciallo, all’onorevole, al ricco proprietario, al dottore sfilava in prima fila alla processione o sedeva al primo banco in chiesa.
La tragica parabola dei corleonesi diede ai mafiosi un delirio di onnipotenza, la convinzione di potere fare tutto con l’uso delle armi, persino rompere i tabù dell’assassinio di donne, bambini, preti. Era Il 29 gennaio 1993 quando PPP inaugurò il centro Padre Nostro, un punto di riferimento (ancora attivo) per i bambini, i ragazzi, gli anziani e le famiglie del quartiere, per offrire, per quanto possibile, generi alimentari, vestiti, materiale didattico, supporto legale, sanitario e psicologico. Qualche mese dopo, il 9 maggio 2003 (strana coincidenza con la data di morte di Peppino Impastato), nella valle dei Templi di Agrigento echeggiò il grido di papa Woytila, l’esclusione di qualsiasi rapporto tra la cultura mafiosa della morte e la cultura mafiosa della vita. E qualche mese dopo, il 15 settembre 1993, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, intorno alle 22:45 venne ucciso davanti al portone di casa in Piazzale Anita Garibaldi, traversa di Viale dei Picciotti. Era sceso dalla sua Fiat Uno di colore bianco, stava andando a casa quando qualcuno lo chiamò, e mentre egli si voltava, qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose due colpi alla nuca. Padre Pino ebbe il tempo di guardare in faccia i suoi assassini e di dire “Me lo aspettavo”.
I suoi assassini furono Salvatore Grigoli, responsabile di 46 omicidi e Gaspare Spatuzza: entrambi da tempo hanno intrapreso un cammino di pentimento e di conversione. I mandanti Filippo e Giuseppe Graviano, padroni mafiosi di Brancaccio, da tempo in carcere, ma assieme a loro sono stati condannati all’ergastolo Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete. Oggi il Papa ne ha ricordato a Palermo il 23° anniversario della morte dicendo in maniera chiara che non si può essere cristiani se si è mafiosi.
Sulla sua tomba, nel cimitero di Sant’Orsola a Palermo, sono scolpite le parole del Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)
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