La vicenda si è aperta con i tre capi d’imputazione, su due dei quali a suo tempo i pm Del Bene, Teresi, Picozzi, Louise Tartaglia avevano decretato l’espulsione, mentre il GIP non aveva ritenuto né importante né rilevante il terzo capo, cioè quello delle magliette commissionate a Polizzi e non pagate. Polizzi non ha confermato quanto affermato nelle registrazioni e perciò è stato ritenuto inattendibile. I pm, hanno presentato appello contro la decisione del Gip che aveva bocciato la richiesta di misura cautelare per il terzo capo. Pertanto la vicenda è finita al tribunale del Riesame presieduto da Maria Elena Gamberini, che ha valutato positivamente la richiesta avanzata dai secondo cui, Maniaci avrebbe chiesto e ottenuto favori anche da Polizzi, oltre quelli nei confronti dei due sindaci in cambio di una linea morbida nei suoi servizi televisivi. Inevitabile, da parte della difesa di Maniaci, rappresentata da Antonio Ingroia e Bartolo Parrino, il ricorso in Cassazione, ricorso che oggi viene respinto.
Aspettiamo di conoscere le motivazioni, ma intanto la giustizia, se così la si può chiamare, va avanti con questa assurda trovata, il cui obiettivo, nemmeno tanto nascosto, è quello di arrivare al più presto alla chiusura dell’emittente. Il pensiero va ai venti capi d’imputazione contestati alla Saguto e al fatto che nessuno ha per lei chiesto l’allontanamento dalla sede dove è presente il suo “cerchio magico”, una volta, ma forse ancora oggi, in grado di decidere sulla sua sorte e su quella di altre persone a lei legate. Quello che non quadra in tutta questa vicenda è l’applicazione di una misura cautelare che, stando ai quattro mesi trascorsi in sede ultimamente, da quando Maniaci è rientrato, durante i quali il presunto inquinamento delle prove o la presunta reiterazione del reato non si è verificata, come questa possa tornare a verificarsi per il futuro. Difficile entrare nella testa dei magistrati che, dopo avere confezionato la polpetta avvelenata del video, hanno deciso che il reato contestato e non ancora giudizialmente decretato, poiché il processo si preannuncia con tempi lunghi, rispetto al breve tempo con cui è stato deciso il parere della Cassazione, era così grave, da decretare l’allontanamento. In fondo, a guardare il tutto si tratterebbe di una presunta estorsione da “untorello”, da cinquanta a trecento euro, a parte quella delle duemila magliette mai confezionate: miserie in rapporto alle estorsioni che i nove compagni di disgrazia di Maniaci, ovvero i boss di Borgetto, stavano realizzando sul territorio sotto il loro controllo.
Rimane la domanda inquietante: perché per le persone che, grazie al potere della violenza di cui dispongono, non c’è allontanamento e per le elemosine chieste da Maniaci e da lui poi ampiamente giustificate, si continua su questa linea di “ostracismo”? Sullo sfondo pare delinearsi con chiarezza la vendetta della Saguto che, si badi bene, sembra caduta in disgrazia, ma ancora è tutto da decidere, e di tutti quelli che nel tribunale di Palermo partono dall’assunto che loro e solo loro sono i depositari della facoltà di indagare, di quella di emettere un giudizio di colpevolezza, che non è quello che emerge dalle inchieste giornalistiche, oltre che dell’applicazione del significato autentico dell’antimafia. La verità dei giornalisti non esiste. Essi devono aspettare quello che la Procura dà loro in mano e quindi amplificare quello che essi decidono, ma non possono permettersi né di valutare né di giudicare.
A questo punto c’è solo da decidere se chiudere e arrivare a un definitivo “abbiamo trasmesso” o se continuare una battaglia per la verità e contro la mafia che, a quanto pare, non è compito dei giornalisti portare avanti.
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Resistete. Questa è una battaglia da vincere