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Pino Maniaci passa al contrattacco e denuncia i carabinieri di Partinico

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Pino Maniaci passa al contrattacco: denunciati i carabinieri di Partinico autori del video-accusa diffamatorio diffuso  attraverso i mass media.

È stata inoltrata, da parte di Pino Maniaci, alla Procura della Repubblica di Palermo, una denuncia querela, redatta dall’avv. Antonio Ingroia, nei confronti alcuni gravissimi fatti accaduti a margine, e probabilmente anche all’origine, dell’indagine in cui Maniaci si trova oggi coinvolto, per il grave ed infamante delitto di estorsione. Tutto questo, nonostante, egli abbia impegnato gli ultimi venti e più anni a denunciare gravi fatti di malaffare e crimini di particolare gravità, all’ordine del giorno nel contesto socio-politico in cui vive.

L’accusa nei suoi confronti è ancor più pesante, perché nella pubblica opinione, accostare una persona di origine siciliana alla commissione di fatti di estorsione, in un’indagine in cui sono imputati per atti estorsivi ben più gravi, altri soggetti criminali equivale a qualificare come “mafioso” chi da lungo tempo sostiene che i mafiosi sono pezzi di merda.

Nella denuncia si fa riferimento alla improvvisa escalation a partire dal 22 aprile 2016, con cui la stampa – in particolare “la Repubblica”, ripresa poi dai telegiornali – ha riportato la notizia secondo cui Maniaci era da tempo sottoposto ad indagini preliminari per il delitto di estorsione, ma solo il 4 maggio 2016 è stata notificata l’ordinanza di esecuzione di misure cautelari personali – e, precisamente, il divieto di dimora presso le Province di Palermo e di Trapani. Maniaci, ha avuto formale conoscenza della esistenza di un procedimento penale a suo carico, mentre la stampa ne è stata a conoscenza molto prima. In quella data è stato diffuso un vero e proprio “spot promozionale” dell’inchiesta a carico, con il logo dell’Arma dei Carabinieri di Palermo. Il video era il suggestivo ed artificioso montaggio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, tratte dagli atti processuali, e maliziosamente giustapposte ad immagini di repertorio “estratte” da varie trasmissioni televisive – locali e nazionali – cui il denunciato aveva partecipato. Il tutto “confezionato” con un sapiente montaggio al solo evidente fine di denigrare il soggetto, visto che venivano inseriti nello “spot” anche intercettazioni e filmati televisivi che non avevano alcuna rilevanza penale. La denuncia di Maniaci passa poi all’analisi del filmato video che, nella prima parte riferisce l’avviso che lo stesso fa al Sindaco di Borgetto (PA) riferendo che il Prefetto era in procinto di inviare al Ministero dell’Interno una relazione con cui avrebbe chiesto lo scioglimento del Consiglio comunale, a causa della presenza di alcuni elementi “attenzionati” dalle Forze dell’Ordine (alcuni consiglieri ed assessori comunali, ritenuti “in odore di mafia”), con l’invito al primo cittadino a prendere le distanze da quegli elementi e a non “sbagliare” più. Nella seconda parte di questo brano del video è ripreso il momento in cui il Sindaco, in singolare “favore di telecamera” (postura del tutto anomala ed innaturale, nel contesto della conversazione, che fa sorgere il legittimo sospetto trattarsi di una “posa” assunta dal Sindaco Di Luca, che, consapevole di essere ripreso dai Carabinieri, previo concerto con gli stessi), ostenta la consegna della somma complessiva di € 466,00. Tale somma, come già spiegato nel corso dell’interrogatorio di garanzia al GIP, era composta da € 300,00 + IVA 22% = 366,00, oltre ad € 100 di arretrati, dovuti dalla moglie del Sindaco per l’utilizzo di spazi pubblicitari – in favore della sua attività commerciale – sulla TV, Telejato. Il tutto poi viene associato, maliziosamente ad alcune intercettazioni telefoniche riguardanti conversazioni private con una conoscente di Maniaci. In una di queste intercettazioni, egli rivolge un “epiteto” – certamente colloquiale – al Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, dopo una telefonata di solidarietà che questi gli aveva fatto, intercettazione che nello “spot” qui denunciato viene surrettiziamente accostata allo spezzone di trasmissione televisiva in cui Maniaci, in diretta, accoglieva con gratitudine la telefonata del Presidente del Consiglio.

In un’altra conversazione intercettata inserita nello “spot” e perciò illegittimamente diffusa Maniaci parla dell’orrenda impiccagione dei suoi cani, cui è molto affezionato, ipotizzando in una telefonata confidenziale con la predetta conoscente, che il responsabile sia stato il di lei marito. Le indagini, anzi, l’assenza di indagini, hanno lasciato intendere che l’infame atto non sia stato opera del segnalato e hanno riproposto, per esclusione, la pista dell’atto mafioso. E tuttavia, nello “spot” denunciato, tale spezzone di intercettazione è stato accostato ad un’intervista televisiva rilasciata, in cui si attribuiva ad ignoti mafiosi la responsabilità dell’uccisione dei cani, lasciando in generare il sospetto di una sorta di millantato credito. “Accostamenti e montaggi suggestivi”, si legge nella denuncia, “con l’evidente scopo di far apparire l’autore come un imbroglione profittatore, sulla scorta del malizioso accostamento fra uno sfogo privato, in una intercettazione di nessuna rilevanza penale (tanto da non esser stata in alcun modo considerata dal GIP nell’ordinanza cautelare applicata), ed una pubblica dichiarazione resa nell’ambito di un’intervista televisiva, in altro contesto, dettata da ben diversa cautela nell’individuazione di eventuali sospetti autori delle minacce ed intimidazioni”.

Tutto il video, illecitamente divulgato, è frutto di un sapiente e chirurgico montaggio di momenti diversi di conversazioni, avulse dal contesto in cui andavano inserite e che perciò non rispecchiano quanto realmente avvenuto al fine di presentare Maniaci come un essere spregevole e mentitore. Accuratamente selezionate anche certe affermazioni di Maniaci, fatte al fine di metterlo  in cattiva luce agli occhi della Procura Distrettuale Antimafia (“Non ci sono istituzioni pulite in Italia, hai capito? Sono tutte sudice, tutti manciatari e tutti cose inutili… compresa la Dia, la Dda, i Carabinieri, Finanzieri…e quanti cornuti sono… a me! Mettono sotto controllo me! …a uno che rischia la pelle per fare antimafia… ci sono magistrati corrotti, ladri, insieme con un poco di cose inutili che fanno affari… la mafia dell’antimafia… i veri mafiosi sono loro, non i mafiosi!”).

Sono frasi e considerazioni fatte che rispecchiano purtroppo il comune sentire di gran parte di coloro che, invece, alla vera antimafia si dedicano da anni,  anche a rischio della propria vita. In conclusione una vera e propria “operazione di killeraggio mediatico”. Ed è parimenti significativo che il criminale autore di questo “spot” ha voluto chiudere con una frase ad effetto detta da Maniaci, (“la mafia dell’antimafia… i veri mafiosi sono loro, non i mafiosi!”), di nessuna rilevanza penale ma di grande efficacia suggestiva. Il video ovviamente era destinato non alla Magistratura, ma agli organi di stampa. Nell’esposto-denuncia Maniaci poi ripercorre i 25 anni di attività, condotti attraverso la sua emittente, con specifici servizi su episodi diffusi di malaffare sul territorio, che ha fatto guadagnare a Telejato l’attenzione e l’appoggio, non solo morale, dei tanti cittadini onesti – che vi hanno visto un baluardo contro la prepotenza, il malcostume e l’impunità dei boss mafiosi, piccoli e grandi – e che, dall’altro lato, ha scatenato la reazione di chi vi ha visto un “elemento di disturbo” per il gattopardesco equilibrio di un potere ritenuto immutabile. Si richiama una lunga serie di attentati subiti, a partire dall’aggressione fatta da Michele Vitale, che tentò di strozzare Maniaci, all’incendio dell’auto, nel 2008. Si parla anche dei vari interventi condotti, a partire dal 2010 nei confronti dei lavoratori vittime delle decisioni dell’ufficio misure di prevenzione, a causa dello sfacelo delle aziende causato dagli amministratori giudiziari: i risultati di queste inchieste giornalistiche, si legge, sono stati diffusi da Telejato in piena solitudine, ma hanno contribuito ad alzare il velo su un sistema riguardante una rete di “intoccabili”, sia per il potere che rivestivano, sia per il ruolo di “garanti della legalità” che veniva loro unanimemente riconosciuto. Maniaci ci tiene a precisare di non estendere la sua denuncia a tutti i carabinieri di Partinico, ma chiede di individuare i responsabili del video, del suo montaggio e della sua illegittima diffusione, fatta, violando il segreto d’ufficio, prima che l’indagato e la sua difesa ne fossero a conoscenza.

Leggiamo: “Le telefonate selezionate in modo certosino ed accostate “ad arte”, costituiscono una vera e propria lesione della reputazione e dignità dello scrivente, rilevante quale diffamazione aggravata violazione del testo unico sulla privacy, nonché violazione del divieto di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale: il tutto minuziosamente preordinato per gettare una luce sinistra ed inquietante sui numerosissimi anni di impegno personale e professionale nella denuncia del malaffare siciliano e nella lotta alla mafia, con gli strumenti consentiti dalla professione giornalistica”. Nel caso di specie, si osserva, ci sono certamente pubblici ufficiali che hanno fatto un uso cattivo, distorto e strumentale del materiale investigativo di cui disponevano per ragioni di servizio, uso non consentito dalla legge a tutela della riservatezza e della dignità delle persone sottoposte ad indagini penali. Si ribadisce che il materiale illecitamente divulgato nulla ha a che vedere con le indagini per estorsione, ma la loro diffusione si pone solamente su un indegno piano di gossip, di pettegolezzo, di maldicenze. Inoltre, la manipolazione e maliziosa proposizione di tali immagini e conversazioni rende manifesto l’intento diffamatorio che anima tale “operazione mediatica”.

Al fine di poter svolgere le proprie attività difensive, Maniaci chiede altresì l’acquisizione all’instaurando procedimento penale, di copia integrale delle intercettazioni utilizzate nel predetto video, nonché il rilascio di copia di esse nella qualità di persona offesa dei reati sopra menzionati, ed al fine di collaborare con la Procura per individuare i responsabili dei gravi reati qui denunciati, chiede il sequestro del video-promozionale, in quanto corpo del reato, e si riserva di costituirsi parte civile. Staremo a vedere gli sviluppi di questa indagine, se mai sarà avviata, pienamente convinti che, in linea di massima “lupo non mangia lupo” e che solo in rare occasioni gli esponenti delle forze dell’ordine hanno pagato per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Ma ciò premesso, non si può rinunciare a credere nell’esistenza di una giustizia.

QUI l’atto di denuncia-querela completo

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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