Palermo, chiudono i negozi Bagagli dopo 5 anni di amministrazione giudiziaria
Il 19 giugno l’udienza definitiva
La storia comincia il 3 maggio 2013, quando la Dia mette i sigilli agli otto negozi Bagagli, di Palermo, una catena di negozi “in”, che lavora da 25 anni, specializzata in griffe, pelletterie, borse e scarpe di marca, composta dal gruppo Bagagli s.a.s., (che gestisce i negozi di Via Mariano Stabile, via XX settembre, Viale Strasburgo, Bagheria), dalla Bagagli srt (negozio a Catania, outlet e Furla, quest’ultimo chiuso dall’amministratore giudiziario e svenduto per pochi soldi), e dalla Bagagli 1987 di via Messina.
Vengono sequestrati anche 44 beni immobili, fra terreni, magazzini e terreni, 26 rapporti bancari, tre auto di lusso, una moto e un’imbarcazione di venti metri ancorata al porticciolo di San Nicola L’Arena e persino una rivendita di tabacchi, il tutto per 16 milioni di euro. L’indagine, portata avanti dai sostituti Dario Scaletta e Vittorio Teresi rivela che il proprietario della Bagagli, Filippo Giardina sarebbe un prestanome di Salvatore Milano, boss di Porta Nuova e suo cugino acquisito. Addirittura si parla di rapporti con la Palermo calcio, perché a qualche suo dirigente è stato regalato un paio di scarpe.
Quando scatta il sequestro disposto dalla dott.ssa Saguto, l’azienda viene affidata al giovane Walter Virga, che trova, nei vari negozi un attivo di oltre 300.000 euro, ma, nonostante ciò, dispone il congelamento dei debiti “pregressi”, per cui, viene bloccato il pagamento ai fornitori e si dispone il pagamento di parcelle, pare intorno a 3.000 euro, oltre che ai dipendenti, anche all’amministratore giudiziario, al suo collaboratore avvocato Domenico Mirto, saltuariamente ad un altro paio di avvocati e a un presunto esperto commerciale di nome Alessandro Gallipoli Kallinen.
Conclusione: il versato è spesso inferiore agli incassi effettivi dei punti vendita, si registrano prelievi per pagamenti di ipoteche e trasferte senza documentazione di spese, rifornimenti ingiustificati di carburante, acquisto medicinali, ricariche telefoniche, cocktail, cene a base di ostriche e sushi e altre operazioni antieconomiche che in pochi mesi portano l’azienda in una situazione disastrosa, con perdita d’immagine e di clientela. I fornitori, non più pagati, chiedono il pagamento anticipato, si rilevano errati versamenti, appropriazione non documentata di merci nei punti vendita, senza pagamento, discriminazioni verso alcuni dipendenti, agevolazioni verso altri, ammanchi di merci a fine anno, assunzioni part-time a 18 ore in punti in cui non c’è bisogno, contratti part-time e cassa integrazione per altri dipendenti, con la complicità dei sindacati. Tutto ciò mette in ginocchio l’azienda, che è costretta a chiedere un finanziamento di 100.000 euro per pagare le forniture.
Tra un rinvio e l’altro, mentre si aspetta un’udienza definitiva (fissata il 19 giugno 2018), due storiche dipendenti stipulano un “contratto di affitto d’azienda” per il negozio di via Messina, mentre gli altri tre negozi sopravvissuti chiudono i battenti nel maggio 2018 lasciando senza lavoro 18 dipendenti: “mancanza di merce, assenza di pos, malfunzionamento del registratore di cassa, vetrine vuote”, lamentano i dipendenti insomma un’amministrazione giudiziaria che ha cancellato una delle aziende palermitane più rinomate nel campo della pelletteria, anche dopo che Walter Virga è stato sostituito dall’avvocato Antonio Coppola e da Nunzio Purpura, ex comandante dei vigili urbani.
Poiché non è rimasto nulla da restituire a Giardina, l’udienza che deciderà la confisca o la restituzione, sembra avere il sapore di una beffa.