L’operazione prende l’avvio nel 2013 per scoprire se il sindaco di Borgetto aveva “amicizie pericolose” con i mafiosi. Pino Maniaci aveva denunciato da Telejato, da tempo, le strane parentele di un consigliere comunale con alcuni mafiosi e agitato l’ipotesi che dietro l’elezione del sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca ci fosse la mafia. In particolare si era soffermato su una visita fatta dal sindaco, con alcuni esponenti del Consiglio Comunale, negli Stati Uniti, dove, ad accogliere la delegazione, sarebbero stati presenti noti esponenti mafiosi. Aveva poi precisato che altri mafiosi avrebbero accolto la delegazione al rientro dagli Stati Uniti. A seguito di un suo redazionale incentrato sulla presidente del Consiglio Comunale, Elisabetta Liparoto, anche lei in visita in America, Maniaci si era beccato una denuncia per diffamazione, alla quale era seguita un’altra denuncia da parte del sindaco De Luca, secondo cui Maniaci avrebbe danneggiato l’immagine di Borgetto. Non si sa se le intercettazioni al sindaco De Luca siano nate dalle accuse di Maniaci o da altri elementi d’indagine. A seguito di queste intercettazioni, in particolare di una tra l’ex sindaco Davì e un certo Polizzi, consigliere comunale, si sarebbe scoperto “per caso” che Maniaci aveva “tappiato” Polizzi, cioè gli avrebbe commissionato duemila euro per magliette con la scritta Telejato, senza pagargliele. Quindi il caso di Maniaci entrerebbe nell’indagine per via traversa, con una spontanea domanda: se si voleva incriminare Maniaci, perché inserirlo dentro un’indagine che con lui non aveva nulla a che fare? L’ipotesi più facile è quella che tutta l’operazione Kelevra sia stata concepita, non, o non solo e non tanto per inchiodare i mafiosi di Borgetto, ma per incastrare Maniaci in una “degna” cornice.
E tuttavia il rapporto fatto dai Carabinieri di Partinico su tutta l’operazione conferma le accuse di Maniaci e pone alcuni interrogativi:
Sono 31 gli imputati per i quali i carabinieri chiedono misure cautelari, una delle quali è l’arresto. Tra di questi c’è l’ex sindaco Giuseppe Davì, perché, in concorso con Giuseppe Maniaci al fine di procurarsi un ingiusto profitto con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso anche in tempi diversi, nella sua qualità di sindaco pro tempore, costringeva l’assessore Polizzi Gioacchino ad acquistare una partita di magliette per un importo di euro 2.000 e pagare tre mensilità per l’affitto dell’abitazione a favore dello stesso direttore di Telejato con corrispondente danno della predetta persona offesa. Del fatto ci siamo occupati più volte. Le magliette non sono mai state fatte e Maniaci le avrebbe casomai commissionate, ma non poteva costringere Polizzi ad acquistarle. Che se ne doveva fare? Sappiamo che Polizzi ha ridimensionato le sue accuse, intercettate in una telefonata di sfogo, che è stato accusato per tale ritrattazione e che Davì non è stato neanche interrogato. Ma Davì, da tutto ciò non ha avuto niente, altro che ingiusto profitto!
Richiesta di misure cautelari anche per il sindaco Gioacchino De Luca, per Vito Spina vicesindaco, e per Fabio Riina Vito “perchè in concorso tra loro con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso a fronte del sostegno elettorale ricevuto dall’ associazione mafiosa Cosa Nostra nelle elezioni amministrative del 9 e 10 giugno 2013 commissionavano l’appalto di lavori pubblici alla paletta targata AAJ018 di proprietà della Sicil Contractor srl e di fatto in uso a Riina Fabio e Riina Vito per procurare un ingiusto profitto agli esponenti della famiglia mafiosa di Borgetto pari all’importo di 15 euro per ogni noleggio del mezzo. In Borgetto dal 2013 e sino alla data odierna”. 15 euro. Vietato ridere.
Nel rapporto si legge: “Il rapporto tra politica e mafia è certamente uno degli aspetti più inquietanti dell’inchiesta. La famiglia mafiosa di Borgetto aveva rivolto la sua attenzione non solo alla popolazione locale coinvolta nelle varie articolazioni delle attività lecite o illecite ma agli strati più alti politici e amministratori locali legati in un modo o nell’altro ai mafiosi. I primi indizi rivelatori di questo rapporto di contiguità ed ingerenza della famiglia mafiosa nella politica trapelavano in alcune intercettazioni captate tra Russo Daniela e Giambrone Antonino nel periodo in cui quest’ultimo rivestiva la carica di reggente della famiglia mafiosa borgettana. Il 5 ottobre 2012 in una telefonata Russo Daniela rappresentava al boss la realizzazione di un lavoro che sarebbe presto andato in porto essendo arrivati i finanziamenti. La donna nel prosieguo della conversazione riferiva che per entrare nell’associazione ogni iscritto deve portare 5 voti da assegnare ad un politico per le prossime elezioni. Giambrone chiedeva all interlocutrice se fosse una cosa lecita La donna riferiva che in politica tutto fosse consentito e informava l’indagato che i posti di lavoro sarebbero stati assegnati solo dopo avere riscontrato nelle sezioni il numero dei voti pervenuti e controllato che il soggetto segnalato avesse effettivamente votato in quella sezione. La donna riferiva che in casi estremi potevano essere elargite anche somme di denaro di 30 e 50 euro per comprare i voti.
Daniela Russo sosteneva la campagna elettorale di Figuccia Vincenzo, come si rileva in una telefonata intercettata il 27 ottobre 2012, prima delle elezioni regionali in cui Figuccia ringraziava la donna per l’impegno profuso nel procacciare i voti soprattutto a Borgetto. Tale affermazione non lasciava dubbio alcuno come dimostrato dai riscontri intercettivi che il sostegno da Borgetto sarebbe arrivato dalla famiglia mafiosa. Nelle elezioni regionali del 28 ottobre 2012 Figuccia veniva eletto al consiglio regionale siciliano nelle liste del partito MPA Movimento per l’Autonomia facente capo a Gianfranco Miccichè con 7.433 voti di preferenza. Il suddetto politico è figlio di Figuccia Angelo capogruppo del partito MPA attualmente consigliere comunale di Palermo avendo riportato 1.080 voti di preferenza.
Ma torniamo a Borgetto: nel rapporto si legge: “Il 9 e 10 giugno 2013 nel comune di Borgetto De Luca Gioacchino veniva eletto sindaco con 2.176 voti. Nella lista Svolta Popolare presentata dal candidato sindaco De Luca Gioacchino i primi due consiglieri eletti in ordine di preferenze erano stati Riina Vito con 469 preferenze e Polizzi Gioacchino, con 418 preferenze, quest’ultimo marito della nipote dell’indagato Giambrone Giuseppe. Il dato non poteva che mettere in risalto una sospetta ingerenza nell’amministrazione comunale della famiglia mafiosa di Borgetto. In altra intercettazione Giambrone Giuseppe parlando del genero Polizzi Gioacchino secondo consigliere di maggioranza eletto della lista presentata dal sindaco De Luca, riferiva di avergli destinato 78 voti. L’intercettazione non lasciava dubbi sul fatto che Cosa Nostra avesse svolto un ruolo decisivo nel favorire l’elezione di taluni personaggi dell’amministrazione comunale appartenenti alla lista presentata dal sindaco De Luca. Una serie di successive intercettazioni, a partire da un mancato incasso di 1.500 euro, a quello dell’uso di una piccola motopala, confermano, secondo i carabinieri l’attenzione che Cosa Nostra aveva verso gli amministratori di Borgetto.
Per il resto le intercettazioni cercano di cucire l’esistenza di un sodalizio con “forzature” di interpretazioni delle telefonate, che a volte lasciano perplessi per la debolezza degli argomenti e delle somme elargite, che spesso sono irrisorie per giustificare l’accusa di ingiusto profitto. Come si può vedere da questa nota:
“Riina Fabio chiedeva al vice sindaco Spina Vito se avesse consegnato la somma di 50 euro per acquistare il carburante necessario per il funzionamento della paletta. Il politico riferiva che la somma era stata consegnata a un tale Giovanni Scaglione verosimilmente un suo operaio. A tali parole Riina Fabio rispondeva che il sindaco De Luca gli aveva riferito di rivolgersi a Spina per avere l’ altro denaro. Quest’ultimo avendo già consegnato la somma di 50 euro invitava l’ interlocutore a richiedere il denaro al sindaco De Luca. La telefonata dimostrava come il sindaco De Luca e il vice sindaco Spina, consapevoli che la paletta dei congiunti Riina, legata alla famiglia mafiosa dovesse necessariamente essere impiegata contribuivano personalmente alle spese logistiche per il funzionamento del mezzo meccanico”.
I 50 euro, in questo caso, sono uguali a quelli che Maniaci “estorceva” al sindaco di Partinico e non ci si può sottrarre alla domanda: “Ma è possibile che si mandino avanti indagini di questo tipo, con dispendio di mezzi, di uomini e di tempo, quando ci sarebbe, guardandosi intorno, ben altro di cui occuparsi, rispetto alla dilagante criminalità che caratterizza il territorio tra Partinico e Borgetto?”
L’altra domanda che viene spontanea è: Se esistono e sono esistiti seri motivi per dimostrare il sodalizio tra il sindaco di Borgetto, il suo vicesindaco e l’assessore Polizzi, con i mafiosi locali, che si sarebbero adoperati a cercar loro voti e avere poi il controllo delle somme disponibili per amministrare il paese, come mai queste persone, e non parliamo solo di elementi locali, ma anche dei loro referenti regionali, non sono state indagate, sono rimaste al loro posto, e come mai il comune di Borgetto non è stato sciolto per mafia? Ci si può augurare, ma senza tante speranze, che il processo, se e quando avrà luogo, possa dare una risposta a questi interrogativi, nella stessa misura in cui non è stata data risposta al lavoro della Commissione che a Borgetto ha individuato e presentato al prefetto, e da questa al ministro, una serie di elementi tali da giustificare il possibile scioglimento dell’amministrazione, ma alla fine non se n’è fatto niente.
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