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Nuovo sequestro per i figli di Andrea Impastato

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Live Sicilia oggi scrive come sottotitolo della notizia: “La colpa del padre cade sui figli”.

L’avvocato Andrea dell’Aira, legale degli Impastato, ha rilasciato una dura dichiarazione:

“Bisogna fare ricadere sui figli e per sempre le colpa del cognome che portano? Il provvedimento di sequestro ci sorprende. I figli non sono mai stati direttamente coinvolti in nessun processo e il Consiglio di giustizia amministrativa il mese scorso ha accolto il ricorso contro un’interdittiva antimafia della prefettura che aveva colpito la Unicem. Il presupposto è che, oltre a non risultare cointeressenze paterne nell’azienda dei figli, il padre risulta avere mantenuto negli anni passati una condotta moralmente integerrima. Cosa dovrebbero fare i giovani Impastato, accettare di non poter più fare un lavoro onesto solo per il cognome che portano? Rifugiarsi nel comodo sottobosco dell’illegalità? Da nessuna parte peraltro – continua il legale – vi è alcun riferimento ad ingerenze del padre nella vita o nelle aziende dei figli. Gli stessi figli che si sono costituiti parte civile e sono destinatari di risarcimenti dai presunti mafiosi che li hanno estorti come nel caso del processo a carico di Diego Rugieri (la cui sentenza di appello è prevista proprio per oggi). Senza contare che la stessa sentenza di condanna che ha colpito il padre ha stabilito il suo allontanamento dagli ambienti mafiosi sancito dalle sue successive denunce contro gli esattori del racket datandolo tra la fine del 2008 ed il 2009. Cosa può entrarci l’azienda dei figli nata nel 2014?”

Andrea Impastato, che oggi ha 69 anni, è imprenditore di Cinisi nel campo del calcestruzzo e già proprietario di una cava a Montelepre: nel 2008 era stato oggetto di una misura di prevenzione,a firma della Saguto, con la quale gli venivano sequestrati beni, si disse allora per 800 milioni, con l’accusa di essere un prestanome di Bernardo Provenzano. Tra i beni allora sequestrati c’era la Meditour e successivamente l’Icocem, intestata ai figli Giuseppe e Stefano. Costoro avevano cercato di ricominciare con una nuova società srl, la Unicem che è ancora una volta finita nel mirino dell’Ufficio Misure di prevenzione, oggi affidato a Raffaele Malizia.

Impastato padre è stato sottoposto per otto anni in regime di libertà vigilata e ha lavorato da volontario in una società onlus di Cinisi, dimostrando di avere definitivamente chiuso i conti con il suo passato. Il 6 giugno scorso il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha dichiarato “cessata la pericolosità sociale, revocando la misura di sicurezza”.

Figlio di Giacomo Impastato, detto “u Sinnacheddu”, ritenuto esponente mafioso della cosca di Cinisi, e fratello di Luigi, ucciso il 22 settembre 1981 nel corso di una sanguinosa guerra di mafia tra il gruppo dei Badalamenti e quello dei Corleonesi, che contò solo a Cinisi una quarantina di morti tra l’81 e l’83, Andrea era stato arrestato nel 2002 perché ritenuto prestanome di Bernardo Provenzano, in stretto rapporto con Pino Lipari, altro esponente della cosca mafiosa di Cinisi passato ai Corleonesi, nel cui computer era stato ritrovato, sia il nome di Andrea, sia gran parte dei beni riconducibili a Provenzano assieme ai nomi della fitta rete di favoreggiatori intorno a lui. Condannato nel 2005 a quattro anni di reclusione per associazione mafiosa si sarebbe servito di intestazioni fittizie per continuare nel suo lavoro, sino al 2013, quando aveva subito il sequestro della Icocem di cui erano titolari i due figli.

Oggi la notizia di questo nuovo sequestro stimato, secondo le solite cifre gonfiate, in 1.500.000 euro e comprendente la Unicem, nuova società intestata a Giuseppe e Stefano Impastato, la Adelkam di Alcamo, di proprietà per il 70% di Giuseppe Impastato e per il 30% della signora Mistretta Giovanna, moglie di Vito Cammarata, dipendente e socio dei fratelli Impastato. Sequestrati anche numerosi veicoli e macchinari, oltre a conti correnti per un totale di 80.000 euro e assegni bancari per 133 mila euro. Secondo la Procura dietro i due fratelli c’era l’ombra del padre e l’intenzione di continuare nelle sue passate attività criminose. Tutto questo mentre il TAR, con una sentenza del 15 settembre 2017 aveva accolto un ricorso avanzato dai fratelli Impastato avverso all’informazione interdittiva emessa dalla prefettura di Palermo nei confronti della Società, cioè riteneva che essi, con buona ragione, potessero essere iscritti nel casellario informatico dell’Agenzia Nazionale Anticorruzione, malgrado il parere contrario della Prefettura.

Già in numerose altre occasioni i fratelli Impastato hanno dato un grande contributo all’arresto di estorsori e mafiosi della cosca di Partinico e di Borgetto, ma tutto questo non è stato ritenuto sufficiente, così come non è stata ritenuta sufficiente la totale riabilitazione del padre.

Insomma, pare di capire che la conclusione di questa amara vicenda è che collaborare con la giustizia per mettere fine al triste sistema delle estorsioni, non serve a niente, poiché non ci si potrà mai sottrarre al sospetto che la collaborazione serva come copertura per evitare il sequestro. Anche l’iscrizione dei fratelli Impastato a Liberjato, associazione antiracket, non è servita, dopo che Liberjato è stata sospesa dalla prefettura, poiché i suoi imprenditori avrebbero agito sempre con l’intenzione di cautelare i propri beni per evitarne il sequestro.

Si sperava che qualcosa cambiasse con l’estromissione della Saguto, ma siamo sempre lì, basta essere figli o parenti di un passato mafioso e si correrà sempre il rischio di vedere i beni sequestrati. Per chi appartiene a una famiglia che in passato ha avuto rapporti con Cosa nostra non c’è niente da fare, in Sicilia per loro non c’è posto. L’utilizzo di una anticostituzionale legge basata sul semplice sospetto, come ai tempi dei tribunali d’inquisizione, può servire a qualunque magistrato per sequestrare tutto e impedire che i figli dei mafiosi, tali o presunti, possano iniziare un lavoro. Così è successo per i Cavallotti, i cui figli, dopo i padri, sono stati “massacrati” dalle misure di prevenzione, così è successo con gli Amedeo, imprenditori di Alcamo e con numerosi altri casi. Non possiamo che dare agli Impastato o ai Cavallotti figli un consiglio: andatevene da questa terra, qui non c’è niente da fare. Qui siete e sarete sempre mafiosi o figli dei mafiosi, anche se avete mostrato di non esserlo e avete dato una mano per fermare il crimine di cui voi stessi siete stati vittima. Niente da fare, andate via.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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