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Nuovo Codice antimafia: nulla di nuovo, anzi peggio di prima

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Siamo alle ultime strette della nuova legge antimafia che, dopo tante discussioni alla Camera è rimasta ferma per un anno al Senato e che è stata alla fine rispolverata tale e quale, salvo qualche aggiustamento che, se rilevante, potrebbe far tornare la legge alla Camera per la sua definitiva approvazione.

Attualmente il Senato è fermo alla prima lettura e la novità strombazzata è quella dell’estensione di confische e sequestri di patrimoni per i reati che riguardano la pubblica amministrazione, compreso il peculato semplice. In pratica i cosiddetti reati di corruzione. In un articolo sul Mattino di Napoli il presidente dell’anticorruzione Cantone esprime molte riserve. Va rilevato che, in una vicenda così importante, egli non è stato convocato né sentito per esprimere il suo parere, nonostante, in materia di corruzione, sia la più alta carica che si occupa dell’argomento.

Lascia anche qualche interrogativo che tali considerazioni critiche, che si associano ad altre di studiosi e avvocati, siano fatte all’ultimo momento, quando ormai tutto sembra deciso. In un anno di “fermo” nessuno ha parlato e non è stata neanche per curiosità data un’occhiata alle proposte che abbiamo fatto da Telejato. Adesso ci si accorge che questa legge “non è né utile né opportuna e rischia persino di essere controproducente” dice Cantone. Per i reati di corruzione semplice, egli dice, bastano le leggi in vigore. Per il resto si pone un dubbio di legittimità costituzionale che nella precedente legislazione ha lasciato enormi spazi ai magistrati, ma che è stata severamente criticata dal Parlamento europeo: tutto è legato alla discrezionalità del giudice nel valutare l’opportunità di procedere al sequestro preventivo e a provvedimenti emergenziali che si prolungano per 20 anni, prima di arrivare alla sentenza. Se l’emergenza mafia ha potuto giustificare l’emergenza, palesemente anticostituzionale, del sequestro preventivo, tale emergenza non sembra essere presente nel reato di corruzione, che può anche comportare la prescrizione del reato. Reale invece il rischio del depauperamento del bene confiscato e le conseguenze sull’occupazione dei lavoratori. Cantone sostiene a spada tratta l’uso delle misure di prevenzione, ovvero dei sequestri, ritenendolo un ottimo antidoto per aggredire i patrimoni “in odor di mafia”, ma non si preoccupa di quello che accade se il giudizio penale assolve il pregiudicato e dispone la restituzione del bene.

Il noto giurista Giuseppe Fiandaca ha sostenuto che la riforma non ha alcuna utilità “ed è frutto di un populismo penale onnivoro, che strumentalizza politicamente la lotta alla corruzione come spot elettorale”: fa rilevare che il parlamento è fatto di incompetenti che non sanno come scrivere una legge e che, nel sottoporre al singolo individuo il reato, ne dispone l’assoluzione se si tratta di un reato non in associazione con altri. In pratica il singolo corrotto può evitare le contromisure se dimostra di avere agito da solo: qualcuno ritiene che questa modifica sia stato un grosso piacere fatto a Berlusconi che ha diversi processi in corso per corruzione fatta “singolarmente”.

Anche L’Unione delle Camere penali (Ucpi) ritiene necessaria una profonda modifica del sistema che consenta al giudice di prevenzione di basare la sua decisione su prove e non su semplici sospetti o indizi, su dichiarazioni di testimoni e non su sommarie informazioni raccolte negli uffici delle procure o delle polizie giudiziarie, fuori da ogni contraddittorio. “Le misure personali e patrimoniali – affermano i rappresentanti degli avvocati – incidono in modo devastante sulle persone e sulla stabilità delle situazioni economico-patrimoniali, fuori da quei diritti minimi che costituiscono la base degli ordinamenti dei paesi civili”.

Questa la situazione e queste le voci di dissenso che cominciano a venir fuori quando tutto sembra ormai deciso, dal momento che, pur di dare qualcosa in pasto agli elettori, in nome dell’antimafia, chi dovrebbe fare le leggi, a partire dagli onorevoli del Pd, non esita a ricorrere a specchietti per le allodole e a confermare, spacciandole per nuove, vecchie norme che dovrebbero davvero essere modificate.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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