“Non vogliamo andare via. Vogliamo restare e lottare per avere giustizia”

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Diamo lettura di un commento su Facebook di Pietro Cavallotti al nostro servizio sul sequestro dei beni a Stefano e Giuseppe Impastato, con il conseguente dibattito apertosi e con una risposta di Salvo Vitale
Pietro Cavallotti:

Ho letto con molto interesse l’articolo pubblicato ieri da Telejato. Nell’articolo si faceva riferimento al sequestro dei beni disposto nei confronti dei signori Impastato, difesi dall’avvocato Dell’Aira.

Anzitutto, a Telejato va il merito e la mia eterna riconoscenza per essere stata l’unica voce che, nell’assai condizionato mondo della (dis?)informazione, ha avuto il coraggio di riconoscere e di denunciare gli “orrori” della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, allora presieduta dalla dottoressa Saguto, in un momento nel quale criticare l’operato di quel giudice significava delegittimare l’antimafia istituzionale ed essere additati come amici della mafia; in un periodo in cui – lo dobbiamo ammettere e fare autocritica – tutti (avvocati, giornalisti, politici, magistrati, importanti studiosi e accademici dell’Università di Palermo) sapevano e hanno taciuto: alcuni per omertà, altri per paura, alcuni per rassegnazione, altri per un eccessivo (e malinteso) senso del rispetto nei confronti della Magistratura, altri ancora per interessato opportunismo, altri perché ritenevano che era meglio non denunciare il malaffare imperante in quella Sezione di cui i propri assistiti erano le vittime designate per evitare ritorsioni nei confronti dei propri clienti o il declino della propria carriera professionale.

Persone come Salvo Vitale, Marco Salfi e Pino Maniaci oggi pagano il prezzo ingiusto del loro coraggio, del loro senso del dovere di giornalisti.

Tutti sappiamo che Telejato è stata oggetto di una grave campagna di denigrazione mediatica, mentre il suo Direttore è vittima di un evidente accanimento giudiziario, da interpretare, secondo alcuni illuminati, come una chiara ritorsione organizzata da una piccola (ma determinante) parte della Magistratura che si è sentita “offesa” (o chiamata in causa) dalle inchieste di Telejato.

A Telejato va anche il merito di avere compreso, dopo i tentennamenti iniziali, che il problema non era (e non è) costituito solo dal Giudice cattivo chiamato ad applicare la legge ma dalla legge stessa che presenta molteplici profili di incostituzionalità e che lascia gli inermi cittadini in balia del libero arbitrio dei magistrati.

Nella parte finale, l’autore dell’articolo, nel rivolgersi ai figli dei Cavallotti e degli Impastato, suggeriva:

“Andatevene da questa terra, qui non c’è niente da fare. Qui siete e sarete sempre mafiosi o figli dei mafiosi, anche se avete mostrato di non esserlo e avete dato una mano per fermare il crimine di cui voi stessi siete stati vittima. Niente da fare, andate via”.

Ebbene, pur essendo evidente che siamo vittime di una persecuzione giudiziaria, non vedo il motivo per cui dovremmo abbandonare l’Italia. Non abbiamo commesso fatti per i quali ci dobbiamo vergognare. I nostri padri non hanno commesso reati mentre è vero che, con grandi sacrifici, hanno creato lavoro, sviluppo e benessere per centinaia di famiglie.

Allo stesso modo, i figli, seguendo le orme dei padri, si sono avviati al lavoro onesto. Se lavorare onestamente non è consentito, che lo Stato ci insegni come si delinque per potere campare la famiglia.

In ogni caso, continueremo a lottare con gli strumenti che la legge ci mette a disposizione, nella nostra amata terra per l’affermazione dei nostri diritti perché la Sicilia non può continuare ad essere un territorio di conquista, un territorio di saccheggio nel quale, con la scusa della lotta alla mafia, si commettono gravissimi crimini di Stato.

In questo senso, chiedo a tutti coloro i quali pensano di essere vittime di certa giustizia di rompere gli indugi, di fare rete e di DENUNCIARE i torti subiti. Mentre lo Stato continua la sua sistematica opera di massacro delle imprese e dei meridionali, attinti tutti dal sospetto di essere in qualche misura collusi con il malaffare, noi non possiamo rimanere in silenzio e soccombere lentamente allo stillicidio statale; dobbiamo, piuttosto – a gran voce ma sempre con la moderazione e la civiltà che ci contraddistinguono – gridare i torti subiti e la nostra sete di giustizia.

Agli avvocati chiedo di continuare a rispettare quella Magistratura che mostra nei loro confronti rispetto e a reagire duramente, però, contro quell’altra parte di Magistratura che, specie nei processi di prevenzione, li discredita e li riduce a mere comparse processuali. Agli avvocati chiedo ancora di sommergere di questioni di costituzionalità i nostri Tribunali.

Ai giornalisti chiedo di aprire gli occhi, di emanciparsi da una certa dogmatica dell’antimafia per riportare i fatti nella maniera più imparziale possibile, considerando anche la versione di chi certi provvedimenti giudiziari è costretto a subire da innocente.

Francesco Bongiovanni:

Ecco aspettavo questa risposta. Allora siamo soli e abbandonati. Sicilia e siciliani traditi e depredati. Andiamo via non abbiamo soluzione piuttosto che mantenerli

Salvo Vitale:

Caro Pietro mi spiace che tu non abbia per intero intuito che il mio era uno sfogo, stretta conseguenza dell’amarezza causata dall’applicazione delle misure di prevenzione in modo persecutorio nei confronti dei figli dei “preposti”, e tu ne sai qualcosa, perché essere processati, perché i padri trasmettono ai figli alcune conoscenze, com’è successo a voi, è il massimo dell’aberrazione giuridica: se non fosse tragica la cosa farebbe ridere tutto il mondo. Mi rendo conto che la speranza è l’ultima a morire, ed è per questo che continuiamo ad andare avanti e a restare qui, ma è dura. Non so a quale esitazione iniziale di Telejato ti riferisci: ci siamo andati duro sin dall’inizio: è vero, nel tempo mi sono fatto anche una cultura giuridica, ma ho intuito subito la discrasia tra sistema preventivo e sistema penale, autentica violazione della costituzione e aberrazione giuridica, fra l’altro peggiorata dal Nuovo codice su cui oggi Mattarella ha messo la firma. Qualche anno fa era stata fatta da alcuni “espropriati” l’associazione “In difesa del cittadino”, di cui tu eri credo vicepresidente, ma ho avuto l’impressione che avete avuto paura di andare avanti per timore di ritorsioni tribunalizie che, a mio parere, non possono essere più gravi di quelle che ci sono già. No, non voglio che tu vai via dall’Italia, ma che vi lascino lavorare in pace, perché anche voi, come ogni cittadino, avete diritto a un lavoro e a una famiglia. Ciao.

Risposta di Pietro Cavallotti:

Lo so, Salvo. Avevo intuito il senso dell’articolo. Le “esitazioni” a cui mi riferivo erano legate al fatto che, dapprima, anche Telejato focalizzava l’attenzione sull’aspetto della mala gestione. Poi, dopo l’acquisizione della cultura giuridica, anche tu hai capito che l’abuso è nella legge. Di Telejato non posso che parlarne bene. L’Associazione è viva. Ci stiamo attrezzando per rivitalizzarla.

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