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Negozi Niceta: L’amministratore giudiziario minaccia i dipendenti

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Minacciati di licenziamento se ci saranno ancora fughe di notizie con la stampa

L’amministratore giudiziario dei negozi Niceta, Aulo Gigante, nominato dall’Ufficio misure di prevenzione di Palermo, dopo che il 2.12.2013 era stato disposto il sequestro dei beni dell’azienda, per sospetto di inquinamenti mafiosi, non ha gradito il nostro servizio, fra l’altro ripreso anche dal prestigioso sito “Antimafia Duemila” ed ha convocato i 90 dipendenti che ancora lavorano presso i punti vendita a lui affidati, minacciandoli di non riferire più alcun tipo di notizie alla stampa, pena il licenziamento o, cosa molto più probabile e imminente, la messa in part-time.

Per quanto riguarda la famiglia Niceta ha lasciato capire che, dietro tutte le manovre che mirano a gettare discredito su di lui e, indirettamente sull’azienda a lui affidata, ci sono loro stessi e che ha intenzione, continuando così le cose, di sfrattarli dalla loro stessa casa di Mondello, bambini compresi, o, quantomeno di obbligarli a pagare l’affitto, essendo il bene attualmente sotto sequestro. Insomma, siamo davanti ad atteggiamenti padronali d’altri tempi e a misure, purtroppo consentite da una legislazione lesiva dei diritti umani che, si badi, può essere condivisa se si tratta di procedere nei confronti di mafiosi penalmente riconosciuti, ma che diventa arbitraria   quando le misure di prevenzione sono effettuate nei confronti di persone delle quali deve essere verificata la continuità con la mafia o la realizzazione del patrimonio con il concorso di capitali mafiosi.

In tal senso il commissario giudiziario Martina La Grassa continua a chiedere rinvii di 90 giorni, che gli sono accordati, per verificare documenti semplicissimi, quali atti di proprietà di case portate spesso in eredità dai coniugi delle persone inquisite. La poverina lavora in modo indefesso, ma non ce la fa, anche perché i rinvii gli assicurano ogni volta tre mesi di parcella a spese dell’azienda.

Ma andiamo ai negozi: ormai siamo alla stretta finale. L’avvocato Gigante ha ammesso diverse volte di essere un neofita, di non possedere l’esperienza e le conoscenze necessarie per mandare avanti la baracca, e si è servito di collaboratori e dipendenti da lui nominati, che si sono rivelati per alcuni aspetti figure parassitarie e inutili nella conduzione aziendale: Tra di questi , va citato, per aver ricevuto l’incarico di buyer, cioè di compratore, di addetto agli acquisti con i vari fornitori, un tal Caponnetto, titolare di un negozio di giocattoli, che di abbigliamento non capiva niente e che ha già procurato un calo delle vendite di circa il 40%. Per metterci una pezza Gigante ha creduto opportuno di affiancargli “la persona ideale”: si tratta di Patrizia Di Dio, vicepresidente della Camera di Commercio, titolare di 5 negozi di abbigliamento a Palermo “La vie en rose”, che, ha recentemente messo in vendita, magazzino compreso, visto che gli affari non gli vanno bene: a parte l’evidente conflitto d’interesse, non ci vuole molto a concludere che il tempo della fine è più vicino. Anche perché la signora Di Dio ha detto che lavorerà gratis, ma se si valuta che la sua prima commessa è stata fatta con il 40% di aumento rispetto alla precedente, non ci vuole molto a concludere che costose trasferte e differenze di valore finiranno tutte col pesare sul bilancio del gruppo Niceta.

I dipendenti sono pronti a formare una cooperativa e a gestire autonomamente i punti vendita, ma è chiaro che in tutto questo ci vuole l’intervento dello stato e la decisione di sganciare dalle mani voraci che la governano, tutta la gestione dell’azienda. Cioè niente.

Riassumiamo le cause di un fallimento annunciato: mancata programmazione degli ordini, presenza inutile del personale assunto dall’amministrazione giudiziaria, per sorvegliare i punti vendita, , per non parlare di un elemento rilevato dai dipendenti stessi, ovvero la “mancanza di disponibilità al sacrificio lavorativo”, che tradotto in termini in termini volgari significa non avere alcuna voglia di lavorare, pagamento di indennità di trasferta sovradimensionate, concessione di ferie in modo arbitrario, mancata presenza sui posti da amministrare, poiché Gigante è anche amministratore della Italgas, un’azienda che si trova in puglia, dove egli si reca per tre giorni la settimana, mancato pagamento di alcuni fornitori, incapacità di gestire commercialmente una realtà di dimesioni più vaste di un semplice negozio, ma soprattutto atteggiamenti autoritari e scarsa disponibilità al rapporto con i lavoratori. E se questo significa rappresentare lo stato, siamo proprio messi male.

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Redazione

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