Ci voleva il virus per disturbare e rimettere in discussione le sacre regole del Natale. E naturalmente, per effetto del virus le decisioni governative, spesso contraddittorie, discutibili, fatte più per produrre un effetto deterrente, che un risultato pratico. La prima intoccabile regola, venuta meno a metà, è stata quella della liturgia del regalo natalizio. Niente regali sotto l’albero per tutta la parentela, ma solo per i più intimi. Non si potrà allestire tutta la cerimonia della distribuzione, essendo limitati gli assembramenti, ridotti a sole quattro persone. Qualche regalo potrà essere fatto con brevi visite a domicilio, che non sempre troveranno preparati a ricambiare i “portatori (di) regali”. La cosa ha creato situazioni di panico, ma anche momenti di liberazione. Sentirsi esonerati da un obbligo , sgravati da un impegno che portava a passare ore di riflessione su quale regalo fare, non è poco. La liberazione si estende anche alla preparazione del cenone e del pranzo natalizio. Niente cenoni nei ristoranti, con grandi risparmi per i consumatori, poiché il cenone, come tutte le ricorrenze, battesimi, cresime, prime comunioni, lauree, compleanni, matrimoni, anniversari, è un’occasione, data l’italica concezione del non badare a spese per queste occasioni da parte di chi organizza e di alzare i prezzi e spremere il possibile, per la stessa ragione, da parte di chi offre il servizio. Niente tavolate neanche a casa, dal momento che la partecipazione è ridotta a quattro persone, e quindi si tratta di un cenino, di un pranzino, o di un semplice tête-à-tête. Grande respiro di sollievo per polli, tacchini, vitelli, maiali, la cui destinazione finale era quella di finire a tavola, con farciture e contorni. La limitazione socialmente più triste è quella della convivialità, del non poter stare insieme e quindi parlarsi, scambiarsi opinioni e informazioni sul proprio status o, più in generale su quello che succede attorno. L’effetto più deprimente è quello della solitudine nella quale si finisce con l’essere immersi, vagolando tra le stanze della propria casa, in una condizione di arresti domiciliari., nella quale ci si può decidere di portare a compimento quelle cose che sono state rinviate negli anni. Consequenziale anche la riduzione degli assembramenti attorno agli alberi natalizi in piazza o ai presepi allestiti nelle chiese , per non parlare dei presepi viventi, la cui assenza risparmierà comunque ai possibili protagonisti, di essere esposti a ore di freddo , sotto l’occhio distratto del visitatore. Niente concertoni di fine anno, a parte qualche scontata esplosione pirotecnica e quindi limitate attività per artisti e tecnici dello spettacolo. Il virus sembra abbia fatto uscire dal vaso di Pandora parecchie negatività, dalla diffidenza, al sospetto, all’intolleranza, alla difficoltà di accettazione delle altrui diversità. Non è detto comunque che tutto ciò non possa essere trasformato in opportunità. Prima fra tutte l’agostiniana massima “in te ipsum rede”, ritorna in te stesso, una rivisitazione della propria interiorità, del proprio presepe interno, un’occasione per riconsiderare la validità e la consistenza delle proprie certezze, dei propri pregiudizi, di fare un bilancio del proprio percorso esistenziale o di progettare nuove soluzioni su come affrontare i giorni futuri e su quali valori orientarsi per dare un senso alla propria esistenza. Naturalmente si tratta di minoranze che sanno trovare il coraggio di rompere il cerchio di superficialità e di vissuto effimero che caratterizza l’uomo contemporaneo, ormai rigidamente inquadrato nella sua condizione di consumatore, da cui non ci si attende certamente la maturazione di un proprio pensiero o di proprie scelte, ma l’accettazione di uno status quo precondizionato da scelte fatte più a monte e sulla sua testa , rispetto alle quali egli rappresenta uno strumento passivo di riproduzione. L’omogeneizzazione crea inevitabilmente momenti di interna ribellione, voglia di remare contro per affermare se stessi, di identificarsi come soggetto che conta e non è disposto alle rinunce di massa: e così spunta come risposta ritorsiva quella del ritorno trasgressivo alle vecchie abitudini negate, all’assembramento, all’acquisto selvaggio, all’attenzione verso vecchie e nuove sirene che parlano di dubbi sulla vaccinazione, di complotti mondiali per addomesticare l’uomo del duemila, di affaristi senza scrupoli che speculano sui bisogni umani, primo fra tutti il diritto alla salute, per non parlare dello sciacallaggio politico di chi cerca di cavalcare qualsiasi forma di dissenso, o di quello giornalistico , sempre intento a darti le informazioni e le interviste più balorde, pur di garantire il clima di emergenza in tutte le tue sfaccettature, C’è anche una sottile, silenziosa ma inesorabile e micidiale presenza dello sciacallo mafioso, che si insinua nelle infinite situazioni di difficoltà generate dalla crisi che sta attenagliando tutte le attività produttive, per imporre la sua presenza, per offrire capitali ad usura, per mettere le mani sul fiume di denaro che il governo e l’Europa stanno mettendo a disposizione per rimediare ai danni della pandemia. In questo strano Natale denatalizzato si potrebbe, per chi ci crede, ri-natalizzare il Natale, cioè riportarlo alla sua origine di ricorrenza della nascita di un uomo che, con il suo insegnamento, spesso trasgressivo, e con i suoi principi, spesso dimenticati, ha dato vita a una nuova religione, impiantata sull’antico ceppo dell’ebraismo, caratterizzando la storia e i comportamenti di una buona parte degli uomini negli ultimi duemila anni. E quindi una rivisitazione non solo di un anniversario, ma di tutto quello che ha significato la vita e la predicazione dell’uomo di cui si ricorda la nascita.
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