Sta destando molto interesse la docuserie trasmessa su Netflix del titolo “Vendetta, guerra nell’antimafia”. Le puntate possono essere visionate in unica soluzione. Parecchia gente che ignorava cosa fosse Netflix lo ha scoperto grazie a questa lunga fiction: qualcuno ha cercato di vederla a sbafo, qualche altro ha sottoscritto l’abbonamento a questa società americana che opera nella distribuzione via internet di film, serie televisive e altri contenuti d’intrattenimento a pagamento.
La serie si prolunga per sei puntate e affronta, in parallelo, o se si preferisce “specularmente”, le vicende, in gran parte giudiziarie, dell’ex presidente dell’ufficio misure di prevenzione di Palermo Silvana Saguto e quelle di Pino Maniaci, accreditato, sino al 4 maggio 2016, come uno dei più agguerriti giornalisti antimafia e poi finito nelle grinfie della Procura di Palermo, con accuse di estorsione, ma, a suo dire, a causa della costante attività di denuncia condotta per mezzo della sua piccola emittente, Telejato, che trasmette da Partinico.
Ho visto “nascere” questo lavoro attraverso una frequente presenza, per oltre due anni, di una equipe televisiva inglese che saltuariamente veniva presso gli studi di Telejato e passava intere giornate a girare di tutto. Dietro di loro c’erano le indicazioni e i suggerimenti di due “ragazzi” siciliani, preparati e interessati, Ruggero Di Maggio e Davide Gambino, con i quali tutta la redazione ha stretto un rapporto amichevole offrendo loro collaborazione e documentazione.
Dalla serie emerge chiaramente che lo stesso tipo di rapporto è stato instaurato con Silvana Saguto, la quale si è prestata a farsi riprendere in molti momenti della sua vita pubblica e privata, si è lasciata andare ad esternazioni e accuse non solo contro Maniaci, ma anche nei confronti dei magistrati suoi ex-colleghi, ai quali avrebbe fatto favori e dato amicizia: la vediamo in macchina, in cucina, al poligono di tiro, ma comunque non nel suo contesto lavorativo, cioè in tribunale, intenta a tessere l’elogio di se stessa e a giustificare il suo operato.
Il titolo “Vendetta” lascerebbe pensare a un’azione di rivalsa portata avanti dalla Saguto e dai magistrati suoi amici per screditare Maniaci, reo di avere denunziato, attraverso la sua emittente, le magagne presenti nel settore del sequestro dei beni a presunti mafiosi, attraverso il ruolo determinante degli amministratori giudiziari e di tutto il perverso mondo che gira dietro questo “affaire”. Si tratta comunque di una vendetta non totalmente consumata, poiché Maniaci è uscito quasi indenne dal processo al quale è stato sottoposto, mentre la Saguto e tutta la sua banda hanno subito numerose condanne oltre che il pagamento di consistenti somme di denaro allo Stato e ai danneggiati e il sequestro dei beni. Certo quella della sequestratrice sequestrata sembra un’applicazione della pena del “contrappasso” dantesco, e lo stesso dicasi per il sodale Cappellano Seminara. Anche il sottotitolo “guerra nell’antimafia” è fuorviante, perché lascerebbe pensare a due istituzioni in lotta tra di loro, mentre per contro si tratta di un magistrato, per il quale l’antimafia dovrebbe essere un normale lavoro e di un giornalista che, assieme alla sua redazione fa le sue denunce perché vede applicata in modo distorto una legge dello Stato. Ancor più fuorviante la definizione, spesso usata dallo stesso Maniaci di “mafia dell’antimafia”: una contraddizione in termini, perché l’antimafia non può essere mafia, ma il suo contrario.
Accanto ai due “protagonisti” si muovono alcuni comprimari e qualche comparsa: nel caso della Saguto c’è il marito Lorenzo Caramma, al quale sono state pagate a peso d’oro alcune consulenze per la valutazione dei beni sequestrati e c’è l’avvocato difensore, Reina: nessuna ammissione di colpa, nessun riconoscimento di leggerezze o allegre decisioni: tutto secondo loro è avvenuto nel rispetto delle leggi vigenti, nessun diritto è stato leso, anzi tutti dovrebbero stendere tappeti d’oro al passaggio di una persona scampata alle vendette della mafia, erede dei grandi Chinnici, Falcone, Borsellino, autrice di un esponenziale aumento del numero dei sequestri dal 20 al 400%. Dall’altra parte Maniaci assistito dagli avvocati Ingroia, che recita la parte di esperto nella lettura delle vicende giudiziarie, con qualche vago riferimento alla trattativa stato-mafia, della quale si è occupato nel suo passato lavoro di magistrato, e Bartolo Parrino, al quale è affidata la descrizione di storico degli eventi nel contesto in cui si sono svolti. A fare da contorno i figli di Maniaci e la moglie, con una serie di banali frasi utili solo come riempitivo. Pochi secondi dedicati a Salvo Vitale, vero protagonista di tutta questa vicenda, condotta attraverso l’antica tecnica giornalistica di controinformazione usata ai tempi di Radio Aut assieme a Peppino Impastato: eppure gli sono state fatte ore e ore di interviste, di scene all’interno e fuori lo studio di Telejato, persino a casa sua: il tutto si è ridotto al suo ingresso in studio con un vassoio di albicocche e a una battuta di Maniaci che gli riconosce di essere la colonna portante della televisione. Il motivo di questa rimozione non è noto: forse si è voluto evitare di fare ombra al protagonista “assoluto” della vicenda.
Uno spazio è dedicato anche alle vicende della famiglia Cavallotti , senza che si dica che le vittime della Saguto sono centinaia e i danni da lei causati all’economia siciliana incalcolabili.
La narrazione di tutta la vicenda poteva essere ridotta a una o due puntate: tutto il resto è coreografia e costruzione di contorni spesso inutili o banali attorno alle varie vicende del momento. Purtroppo, soprattutto nell’impostazione di queste fiction ormai è invalsa questa tecnica, stile “grande Fratello” di far diventare elemento indispensabile il vissuto quotidiano che, nel nostro caso comprende il fumo della sigaretta, la preparazione in cucina, la mangiata, l’esibizione del protagonista al pianoforte, il ballo con la moglie, l’intervista alla sorella ed altre amenità del tutto irrilevanti: il privato che diventa pubblico.
Nel caso di Maniaci si è voluto fare di più, anzi strafare; sono state inserite alcune intercettazioni con quella che è stata definita la sua amante, per la quale egli chiede un posto di lavoro o qualche soldo per assisterla, ma alla quale esibisce la sua potenza, ovvero quella del mezzo televisivo di cui dispone e con il quale può tutto. Per un Maniaci che dice : “Qua si fa quello che dico io” c’è una Saguto che dice a Cappellano Seminara: “Io sono come dio onnipotente”. Solo che la frase di Maniaci è diventata addirittura da locandina promozionale, mentre quella della Saguto non è stata nemmeno citata. Per contro si cita la Saguto che sostiene di avere rischiato la vita accusando Totò Riina durante il suo processo, ma non si cita l’intercettazione nella quale lei dice di non voler sequestrare i beni di Brusca per paura. Così come non c’è cenno su alcune intercettazioni penalmente rilevanti o sul “cerchio magico” di colleghi, amministratori giudiziari, esponenti della DIA, prefetti, uomini politici, associazioni compiacenti, docenti universitari ecc.
Del tutto assente una valutazione critica di tutto il sistema delle misure di prevenzione e la battaglia sostenuta da Telejato per rivedere e riscrivere una legge ormai datata, al limite della costituzionalità, che anche i tribunali europei chiedono di cambiare. Nessuna osservazione sull’immenso potere dei magistrati, in grado di distruggere famiglie e aziende sulla base di semplici sospetti, sulle manovre predatorie degli amministratori giudiziari, sul mancato risarcimento dei danni in caso di restituzione dei beni.
Non una parola sulle condanne per diffamazione comminate a Maniaci e sulla necessità, da tempo portata avanti dalla sua emittente, di rivedere la legge sulla diffamazione a mezzo stampa, oggi diventata uno strumento per colpire giudizialmente chi si permette di esprimere giudizi critici nei confronti dei potenti.
In una sua valutazione sul filmato Attilio Bolzoni ha creduto di notare, in un articolo su “Domani” (5 ottobre 2021) una complementarietà e una certa affinità tra Maniaci e la Saguto , l’uno dei quali rifletterebbe specularmente l’altro: “Lo specchio di loro due riflette una sola immagine, quella di una Sicilia che ha cannibalizzato se stessa nella lotta del bene contro il male. Egocentrici e intolleranti: il mondo sono loro e gira intorno a loro: la superbia borghese dell’uno e la grossolanità paesana dell’altro non devono trarre in inganno: sono fatti della stessa pasta…Due profili che alla fine confondono e si confondono”.
L’articolo ha fatto irritare Pino Maniaci, che ha scritto una replica al giornale. Maniaci contesta a Bolzoni di avere preordinato una tesi, di avere preso in considerazione solo quello che gli serviva per dimostrarlo e di avere confezionato il giudizio su di lui e sulla Saguto basandosi su quello che ha mostrato la fiction e non sulla realtà. In realtà, sostiene, non esiste alcuna complementarietà tra quella che Caselli definì “la signora più potente di Palermo” e lui che tiene in piedi la più scalcagnata emittente del mondo e che ha avuto sempre come riferimento Danilo Dolci, che a Partinico fondò la prima radio Libera e Peppino Impastato, che, dalla vicina Terrasini diffondeva la sua “controinformazione”: “Non so quale specularità possa esserci e non accetto questi confronti, poiché la mia correttezza, con tutte le sue possibili deviazioni è ben poca cosa rispetto al gigantesco e criminale giro di affari gestito dalla Saguto e dalla sua banda di amministratori giudiziari e amici scritti nell’agendina. Io – continua Maniaci – sono stato assolto dall’accusa di ricatto e di estorsione, si noti, per 366 euro, lei si è permessa di ricattare durante il processo tutti i suoi colleghi, esibendo la famosa agendina, senza che nessuno gli contestasse queste larvate minacce. Mi pare che si voglia mettere assieme il diavolo e l’acqua santa, sulla base di immagini parziali, presupponendo che queste siano espressione di tutta la realtà”.
In conclusione ci troviamo davanti a un prodotto realizzato e messo in vendita per fare audience, dove la realtà diventa oggetto di tagli e montaggi di filmati utili a realizzare un prodotto commerciale in buona parte preconfezionato attraverso immagini riduttive rispetto alla complessità della realtà vissuta. Alla fine degli episodi si rimane perplessi sul funzionamento della giustizia in Italia e non ci si può sottrarre alla domanda se anche la Saguto, e alcuni dei suoi sodali, malgrado i reati commessi, non siano stati stritolati dallo stesso meccanismo di cui facevano parte.
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