Alla sua guida è stato nominato Raffaele Malizia, un magistrato che, senza clamori e senza apparizioni mediatiche, ha rivestito una serie di incarichi in tutta Italia ed è stato anche consigliere di corte d’appello nel settore misure di prevenzione. I giornali ce lo presentano come un esperto in materia e tutti ci auguriamo che lo sia, perché il suo ufficio è uno dei punti nevralgici dell’apparato giudiziario siciliano, su cui si gioca la possibilità di salvare il salvabile di quel che resta dell’economia siciliana ma non a vantaggio dei soliti succhiasangue che ruotano attorno a questo ufficio, bensì a favore di imprenditori e di lavoratori: i primi, ai quali, per come vanno le cose in Sicilia, è possibile e facile appioppare un’etichetta di mafia o di collusione, o di riciclaggio, i secondi perché non possono essere le vittime, con le loro famiglie, di un giustizialismo che li priva del lavoro per far campare i parassiti mandati ad amministrare i beni sequestrati in nome dello stato.
Per la verità, da quanto emerge da un articolo sul Giornale di Sicilia del 9 luglio, sembra che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole. L’articolo riferisce alcune battute del dott. Malizia in un corso di formazione per amministratori giudiziari tenutosi al dipartimento di scienze politiche dell’Università di Palermo. Malizia si lamenta della mancanza di personale nel suo ufficio e auspica maggiore impegno e trasparenza per il futuro. Si lamenta anche dell’abolizione della sezione palermitana dell’agenzia dei beni sequestrati, prevista dalla nuova legge antimafia, che lascerà, a parte la succursale di Reggio Calabria, a Roma la facoltà di gestire l’impero dei sequestri e delle confische, lasciando tutto in mano alla presidenza del consiglio. Non dice nulla di rilevante sull’estensione dei sequestri ai reati di corruzione, cosa che è sembrata a tutti i più noti giuristi, una forzatura anticostituzionale. Parla della necessità di competenze più elevate, ma non una parola sui guasti della sua precedente collega, la Saguto. Insomma, la buona intenzione di un ulteriore sforzo nasconde la volontà di procedere sulla via tracciata dalla Saguto, senza “ricominciare ex novo”.
È evidente che se il sistema Saguto, tanto osannato dai giornalisti antimafia che le stavano dietro, ha seminato macerie, bisognerebbe ricostruire ex novo tutto, cambiare il sistema di nomina degli amministratori giudiziari, cambiare quelli che sono in sella da anni, cambiare le modalità di pagamento delle parcelle di questi signori e dei loro periti, e soprattutto prendere in considerazione le risultanze dei processi penali che riguardano i destinatari delle misure. Non ci sembra che tale inversione di rotta si intraveda all’orizzonte. Anche l’espressione “resurrezione” usata dall’articolista non nasconde la possibilità di una nuova vita, ma di una prosecuzione dell’antica vita che risorge.
È ancora presto comunque per arrivare a giudizi e considerazioni negative. Montalbano ha fatto il possibile, ha rimosso alcuni amministratori giudiziari, ne ha nominato altri, ha disposto la restituzione di alcuni beni, ma si tratta di tasselli di una costruzione che ha bisogno o di un restauro di facciata , come sembra voglia fare Malizia, o di una demolizione per una ricostruzione ex novo, come forse sarebbe più opportuno fare. Ma si sa, la magistratura è un intreccio di interessi, di interazioni, di scambi, di intese, di scontri, su cui si può solo parlare dall’esterno e di cui può davvero sapere qualcosa solo chi ci vive dentro.
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