Misure di Prevenzione, dopo otto anni rimosso Salvatore Benanti, amministratore della Meditour

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Il sequestro e l’ombra di Provenzano

Cade un altro de tasselli su cui è stato costruito il Sistema Saguto, anche se i fatti di cui parliamo risalgono a due anni prima dell’insediamento della Saguto alla presidenza dell’ufficio Misere di Prevenzione. Salvatore Benanti è stato rimosso dal suo ruolo di amministratore giudiziario e sostituito dopo otto anni di gestione o, sarebbe più esatto dirla in latino, di mala gestione. Quello di Benanti e della Meditour è stato il primo caso di cui ci siamo occupati quando abbiamo cominciato la nostra inchiesta sui beni sequestrati. Il caso nasce il 22 febbraio 2008, quando vengono sequestrati ad Andrea Impastato, un imprenditore di Cinisi, beni per 150 milioni di euro riconducibili, secondo le indagini, a Bernardo Provenzano e a Salvatore Lo Piccolo, dei quali Andrea sarebbe stato un prestanome. In realtà molti di questi immobili sono stati realizzati dagli Impastato grazie alla loro intraprendenza e alle loro capacità imprenditoriali, ma, secondo le indagini della G.d.F. sono emerse ombre sulla lecita provenienza dei capitali investiti, tali da giustificare l’ordinanza di sequestro. Il provvedimento si riferisce a innumerevoli immobili e appezzamenti di terreno da Carini a San Vito Lo Capo, il Mercatone Uno di Carini, cinque ulteriori aziende, tutte del mondo dell’edilizia, la più grossa delle quali è la Medi.tour, che si occupa della gestione della cava di Montelepre, ma c’è anche la IN.CA.S, la Prime Iniziative, la Paradise. A San Vito, in contrada Calamancina c’è il residence Il Baglio, con 27 villette. Inizia così per Andrea Impastato e per i suoi figli un’odissea che dura ancora oggi.

Salvatore Benanti

Amministratore giudiziario dei beni, e quindi anche della cava viene nominato Salvatore Benanti, un commercialista con studio a Palermo in via Vincenzo Di Marco. In passato, tra i vari incarichi a Benanti nel 2004 era stata affidata l’amministrazione giudiziaria dei beni di Rosario Alfano, un imprenditore ebanista di 71 anni, trasferitosi da Bisacquino a Palermo, proprietario di Torre Artale. Troviamo il suo nome persino in un sequestro giudiziario a Sant’Agata Militello (Me). Benanti ha avuto occasione di dimostrare di avere “buone” conoscenze quando, ottenuta l’amministrazione dei beni del costruttore Francesco Sbeglia, di Palermo, nel 2010, al Centro Excelsior (Hotel Astoria) mandò, a un incontro con alcuni imprenditori che volevano collaborare alla gestione dei beni, lo stesso Sbeglia. In tal caso, grazie alla protesta dei tre imprenditori, gli venne revocato l’incarico, ma solo quello, in quanto non gli venne meno la fiducia dell’Ufficio che lo aveva nominato. Non si conosce il numero esatto di incarichi, ma corre voce, che abbia dilapidato cifre altissime nella gestione del Mercatone, sede a Carini, più volte sull’orlo della chiusura, poi chiuso nel 2016. Il suo nome non è venuto fuori nemmeno nelle polemiche seguite alle dichiarazioni del prefetto Caruso in Commissione Antimafia nel 2014. Tra gli incarichi c’è la Costruzioni Amato s.r.l.: il decreto di sequestro dell’intero capitale, composto da quote appartenenti a D’Asaro Carlo e Amato Giovanni e dell’intero complesso aziendale avviene il 16 settembre 2008: il giorno dopo viene firmata la nomina di Benanti come amministratore giudiziario e curatore speciale. Qualche anno prima gli era stata affidata la EdilMilvar di Conti Rosa sequestrata con decreto del 28 giugno 2006, in pregiudizio di Ponziano Innocenzo, con relativo complesso dei beni aziendali, e di  ogni accessione e pertinenza.

La Icocem

Andrea Impastato ha quattro figli, due dei quali, Luigi e Giacomo, dipendenti della cava. Nel 2011, su decisione del tribunale, i due fratelli vengono licenziati, ma non si perdono d’animo e creano una nuova società, la Icocem, con sede a Carini, riconquistando, a poco a poco, buona parte del mercato che si riforniva nella loro ex cava. Riescono anche a “rifarsi” una verginità denunciando al magistrato diversi tentativi di richiesta del pizzo e iniziando una fitta collaborazione con le autorità, sino all’arresto di alcuni estortori. Nel contesto della collaborazione con le forze dell’ordine, incoraggiata da Telejato, i due figli di Impastato cedono gratuitamente a Pino Maniaci una vecchia auto, atto che sarà usato dal colonnello della DIA Fabrizio Nasca, oggi rimosso, per ipotizzare, senza alcun esito, un’intesa tra Maniaci e due “presunti” mafiosi. Da parte sua Benanti, che si presenta una volta  tanto alla cava di cui è amministratore, in una sua relazione accusa gli Impastato, diventati suoi diretti concorrenti, di associazione mafiosa, cioè di avere costituito la loro azienda con i soldi di provenienza sospetta del padre. Con strana sollecitudine il tribunale dispone il sequestro della Icocem, la dott.ssa Saguto ne affida l’amministrazione al solito Benanti, il quale mette in liquidazione la società che è chiamato ad amministrare e che è vicina alla cava, ormai diventata “sua”. Nel frattempo vengono licenziati i 20 operai che lavorano nella cava, e alcuni vengono riassunti “a tempo”, secondo le richieste di materiale da parte delle imprese di costruzione del territorio. Uno degli operai che ha lavorato alla cava afferma ed è disposto a testimoniare che sarebbe stato disposto l’interramento di rifiuti tossici all’interno della cava, e sarebbe poi stato coperto il tutto con terra e con la piantumazione di stelle di alpine: al giardiniere che avrebbe svolto il lavoro di abbellimento sarebbero stati pagati 18.000 euro. È un’informazione che abbiamo dato molto tempo fa e sulla quale sarebbe stata opportuna l’apertura di un’indagine. Gli Impastato  presentano ricorso, con una  relazione, nella quale è dimostrata la tracciabilità e la regolarità di tutte le operazioni che hanno condotto alla creazione della loro società, ma l’udienza, che avrebbe dovuto svolgersi ad ottobre, per indisposizione della dott.ssa Saguto è rinviata, dopodiché c’è stato un ulteriore rinvio e un altro ancora, sino ad arrivare ai nostri giorni, allorché è stata chiesta una proroga dagli stessi Impastato, per predisporre e presentare una perizia di parte diversa da quella presentata dai periti nominati dal tribunale.

Come dilapidare un patrimonio

Il compenso di Benanti per l’amministrazione delle aziende sequestrate è di 15 mila euro al mese, e se sommiamo questa cifra per otto anni ci rendiamo conto che ormai si arriva a un milione e mezzo di euro, in pratica un ricco stipendio pari o superiore a quello di un deputato. La sola Icocem, di cui ormai non esiste quasi più nulla, gli frutta 8 mila euro ogni tre mesi. Per 5 mila euro l’anno vengono invece affittate le villette di San Vito il cui valore di locazione, specialmente nel periodo estivo, potrebbe anche arrivare a mille euro la settimana. Per amministrare tutto ciò Benanti si serve di coadiutori, con uno stipendio mensile di 3 mila euro. Tra questi ha un ruolo importante, come direttore della cava, Grimaldi, figlio di Fulvio, Cancelliere dell’ufficio misure di Prevenzione, cui è stato ucciso il figlio, anche lui direttore di una cava, la Buttitta, amministrata da Cappellano Seminara. Nella gestione della cava, specie nel trasporto del materiale edile si è preferito lasciar marcire i mezzi in dotazione e affidarsi ai cosiddetti “padroncini”, cioè a proprietari di altri mezzi, che lavorano con altre cave, poiché si ritiene che il noleggio dei mezzi ha costi inferiore all’uso dei mezzi di proprietà della cava. Il poco personale rimasto si lamenta delle videocamere di sorveglianza, disseminate dappertutto, della poca disponibilità di spazi, pieni di mezzi inutilizzati e abbandonati, della facilità con cui vengono erogate sanzioni e multe a lavoratori il cui torto è quello di chiedere di far valere i propri diritti, dell’obsolescenza dei mezzi di lavoro e della mancanza di sicurezza.

Oggi finalmente per Benanti, del quale abbiamo da sempre denunciato la disamministrazione della cava, è arrivato il foglio di via. Non sappiamo se gli verranno chiesti libri contabili e tutto quanto possa dimostrare in che modo ha amministrato i beni affidatigli. Non crediamo che gli verrà chiesto di dare conto e ragione e di risarcire i danni che ha causato. In questo momento la cava, malgrado il suo ricco potenziale passato di uomini e di mezzi versa in profonda crisi, non riuscendo più a sostenere la concorrenza con i prezzi “stracciati” di altre cave fornitrici di materiale edilizio, particolarmente nella costruzione del passante ferroviario tra Carini e Palermo.

Il nostro pensiero e la nostra solidarietà va agli operai che hanno perso il posto di lavoro e ai pochi che ancora oggi resistono, in attesa del nuovo amministratore giudiziario che deciderà la loro sorte.

La redazione di Telejato Notizie

10 Commenti
  1. Aurelio Alfano dice

    Alfano Rosario di anni ne ha 84 ed ha fatto impresa dal 1957. L’ebanista (mestiere nobissimo) ha smesso di farlo in giovanissima età. A Vostra disposizione per raccontarVi la gestione di Torre Artale e delle altre aziende sequestrate, distrutte e restituite!

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