Il merito di avere sdoganato questa parola dal ghetto del turpiloquio e di averle dato piena dignità nel vocabolario di ogni lingua, appartiene al generale Cambronne che, nel corso della battaglia di Waterloo, gravemente ferito da soverchianti nemici che avevano ucciso tutta la sua “guardia”, ebbe a dire, prima di perdere i sensi: “Merde!”.

Da allora la merda non ha avuto più motivo di nascondersi, anzi è diventata, quel che è sempre stata, ovvero una componente dell’essere uomo, quella che si esprime attraverso una delle funzioni escretorie, ovvero l’eliminazione di ciò che non serve per mantenersi in vita. Ma anche la sua mancata eliminazione può essere letale. Passano due secoli da quando Peppino Impastato, nella sua spontaneità di ventenne, sul suo giornale, “L’idea” scrive un articolo con un titolo poi diventato patrimonio di tutto il movimento antimafia: “La mafia è una montagna di merda”. E qui la merda si è moltiplicata, è diventata una montagna ed ha dato un’identità meno nobile e più realistica a un fenomeno, a un modo di essere e di pensare, che, pur di non essere chiamato col suo nome, aveva assunto nel tempo nomi diversi e più accattivanti, “L’Onorata Società”, “Cosa Nostra”. Peppino le restituisce il suo nome, quello già gridato da Cambronne: “Merda”. Passa altro tempo, si va dalla merdina nel pannolino dei bambini alla “merdaccia” di fantozziana memoria, a qualche invisibile “merdetta”, al gergo sguaiato di certi telefilm americani, dove c’è davanti la O esclamativa, “Oh merda!”, e arriviamo a Trapani, dove un giornalista, Rino Giacalone, il giorno della morte del boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate, scrive: “Da oggi abbiamo un pezzo di merda in meno”. Niente di strano.

Nella piccola emittente Telejato di Partinico quella di definire i mafiosi “pezzi di merda”, in sigla P.D.M. è ormai una consolidata abitudine. E invece per la moglie di Mariano Agate non è così: denuncia Rino Giacalone per avereoffeso la memoria del marito. Ne segue un processo, a difendere la signora Agate è il bravo avvocato Cardinale, che lascia trasparire un certo imbarazzo nel dovere portare avanti una causa in cui dovrebbe sostenere che Mariano Agate, mafioso patentato e riconosciuto, non era un pezzo di merda. Egli si appella al rispetto che si dovrebbe avere, se non per i vivi, almeno per i morti. Salvo Vitale, convocato come teste da Giacalone, è implacabile: “Definire il mafioso un P.D.M. è una tautologia, non è un’offesa, è una conquista del gergo giornalistico siciliano più coraggioso. Qualche giorno fa, quando è stato arrestato il boss Salvatore Profeta, abbiamo dato la notizia a Telejato, dicendo: Oggi è stato arrestato un altro PDM”. Sul volto del giudice sembra leggersi un malcelato sorriso quando chiede: “Che cosa vuol dire P.D.M.?” Tutti si mettono a ridere.

Ma in questi giorni abbiamo avuto una nuova estensione del termine attraverso le parole di Roberto Vecchioni che, invitato a pagamento a fare una relazione di aggiornamento culturale ai docenti, ha sparato una grossa minchiata, ha detto che “La Sicilia è un’isola di merda”. È scoppiato il finimondo tra chi ritiene che Vecchioni era ubriaco, chi dice che voleva solo provocare e chi sostiene che invece aveva ed ha pienamente ragione. Non entrerò in merito alla “vexata questio”. Non c’è dubbio che Vecchioni, come tutti gli animali, quando si siede a gabinetto è uno che produce ed evacua merda, forse evacua anche un po’ di Sicilia, visto che ha portato a Palermo per venderlo il suo libro “Il mercante di Selinunte”. Ma siamo alla solita impostazione distorta del problema, ovvero quella di prendere una parte e definirla come tutto. In quest’isola che di merda ne ha tanta, dalla mafia, alla violenza, all’assistenzialismo parassitario e a tutti gli altri possibili mali sfuggiti dal vaso di Pandora, sono nati e morti Peppino Impastato, Falcone, Borsellino, Placido Rizzotto, Napoleone Colaianni, Pirandello, Quasimodo, Verga, Vittorini, Maiorana, Guttuso e tanti altri geni e uomini che è difficile definire “uomini di merda” o prodotto di un’isola di merda, a meno che non si voglia tornare alla strofa di De Andrè “dal letame nascono i fior”. Quindi, da Samarcanda alle zone dell’Isis ci sono regioni di merda, ridondanti di razzismo, di xenofobia, di corruzione, di ogni aspetto di delinquenza, dove ci sono anche grandissimi uomini e donne e altre regioni in cui dilaga la disoccupazione e la povertà, la miseria che ti fa diventare ladro, in cui lo stato non c’è o se c’è sta con i mafiosi, da cui fiumi di risorse sono stati dirottati verso regioni ricche, diventate anche grazie a ciò, ancora più ricche. La merda è ovunque, magari in quantità diversa, ma ovunque, negli stessi posti, ci sono anche “gli uomini di buona volontà”.

Attenzione agli stronzi che hanno la capacità di restare a galla, in “superficie”, per qualche tempo (non è rivolto a Roberto Vecchioni) prima di sparire definitivamente proprio per la loro “superficialità”e attenzione anche al decimo comandamento dell’antimafia: “Se ti viene di andare in bagno assieme a un mafioso cedigli subito il passo. A parte tutto la sua merda è profumatissima: lui stesso è tutto un pezzo di merda”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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