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Mario Francese, cronista controcorrente

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Oggi ricorre il 38° anniversario dell’assassinio di Mari Francese. Il suo ricordo è ancora vivo e ne hanno parlato, in un incontro alla “casa Cultura Santa Caterina di Monreale.

Il giudice Mario Conte, Teresa Di Fresco, Giulio Cusumano e Salvo Vitale. All’incontro ha partecipato anche una classe della Scuola Media Guglielmo II. È stato anche ricordato il figlio Giuseppe che, dopo avere scelto anche lui la via di giornalista si è impegnato in una minuziosa ricerca degli scritti e degli assassini di suo padre e, quando è riuscito a farli condannare, si è suicidato, non riuscendo a sopportare il grande dolore che si era portato appresso dopo la morte del padre.

Mario Francese è stato uno dei più attenti e completi giornalisti siciliani. Probabilmente ha pagato con la vita il fatto di essersi addentrato troppo nelle trame assassine dei “liggiani”, come lui li chiamava, ma dove era già forte il potere  di Totò Riina e della sua banda di assassini, contro quelli che lo stesso francese definiva “I guanti di velluto”, ovvero i mafiosi della cosca dei Badalamenti-Inzerillo-Bontade.  Ripercorriamo la sua storia in un articolo di Aaron Pettinari su “Antimafia Duemila.

“Dalla strage di viale Lazio al delitto Tandoj, passando per la strage di Ciaculli e l’omicidio del colonnello Giuseppe Russo”. È così che Mario Francese, giornalista del Giornale di Sicilia, divenne in poco tempo un grandissimo conoscitore della mafia palermitana ed i suoi segreti. Fu uno dei primi a capire cosa stesse accadendo all’interno di Cosa nostra negli anni Settanta, raccontando l’ascesa dei corleonesi Riina e Provenzano. Fu persino l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella. Fece anche rivelazioni su personaggi come don Agostino Coppola, il sacerdote di Partinico che aveva celebrato le nozze segrete del latitante Riina e aveva rapporti con l’anonima sequestri.

La sua uccisione aprì una lunga scia di sangue fatta di delitti eccellenti. Dal segretario provinciale della Dc, Micheel Reina, al capo della squadra mobile Boris Giuliano, fino ad arrivare al giudice Cesare Terranova ed il presidente della Regione Piersanti Mattarella. Francese scavò anche sulla pioggia di miliardi giunta dal Governo per la ricostruzione post terremoto del Belice che andava a toccare ben tre province: Trapani, Palermo e Agrigento. Francese scoprì che alla base del forte scontro interno mafioso c’erano soprattutto i soldi stanziati per la costruzione della diga Garcia (alcuni terreni erano dei cugini Salvo, legati al democristiano Salvo Lima [Cfr. L. Mirone, Gli insabbiati, p. 158]). E nel settembre del ’77 arrivò a pubblicare un’inchiesta in sei puntate dove descriveva tutta la rete di collusioni, corruzioni ed interessi che si erano sviluppati per la realizzazione della diga. Ed è in quella occasione che Mario Francese spiegò che dietro la sigla di una misteriosa società, la Risa, si nascondeva Riina, a quell’epoca considerato quasi come un fantasma, pienamente coinvolto nella gestione dei subappalti relativi alla costruzione della diga stessa. E proprio su quel rapporto tra mafia e politica, inserito nel contesto della gestione degli appalti, insisteva con determinazione. Quando venne assassinato, Francese stava attendendo la pubblicazione di un suo dossier su mafia e appalti, pubblicato postumo come supplemento al Giornale di Sicilia. Un ritardo di cui il giornalista si lamentò con diversi colleghi, ritenendo che “fosse uscito dalla redazione”.

Francese venne ucciso, davanti casa, da Leoluca Bagarella mentre stava rientrando dopo una dura giornata di lavoro. Era la sera del 26 gennaio 1979. Non è stato semplice giungere ad una verità, seppur parziale, sull’omicidio e sui motivi che portarono alla morte del cronista. Sullo sfondo resta infatti l’amarezza per un silenzio durato un ventennio. Si è dovuto attendere l’aprile 2001 perché la Corte d’assise riconoscesse la matrice mafiosa dell’uccisione di Francese e accertasse che quel giornalista era stato assassinato per il suo straordinario impegno professionale e perché la sua esecuzione servisse da monito. Solo allora venne sgombrato definitivamente il campo da quelle piste alternative, riconducibili a inverosimili regolamenti di conti che determinati ambienti contigui al crimine mafioso avevano contribuito ad accreditare. Scrivono i giudici nella sentenza di Primo grado: “Negli articolo redatti da Mario Francese emerge una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi, di interpretarli con coraggiosa intelligenza, e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive di Cosa nostra, in una fase storica in cui oltre a emergere le penetranti e diffuse infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti e dell’economia, iniziava a delinearsi la strategia di attacco di Cosa nostra alle istituzioni. Una strategia eversiva che aveva fatto – si legge nelle motivazioni della sentenza – un salto di qualità proprio con l’eliminazione di una delle menti più lucide del giornalismo siciliano, di un professionista estraneo a qualsiasi condizionamento, privo di ogni compiacenza verso i gruppi di potere collusi con la mafia e capace di fornire all’opinione pubblica importanti strumenti di analisi dei mutamenti in atto all’interno di Cosa nostra”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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