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Licenziati quattro operai della Meditour

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Ai primi di dicembre è arrivata la lettera di licenziamento per altri quattro operai della Meditour, ma i pochi rimasti temono che a breve tocchi anche a loro.

La Meditour è una cava di pietrisco, in territorio di Montelepre, riconducibile ad Andrea Impastato, al quale è stata sequestrata il 22.2.2008. Amministratore giudiziario dei beni, e quindi anche della cava viene nominato, dalla dott.ssa Saguto, Salvatore Benanti, un commercialista con studio a Palermo in via Vincenzo Di Marco.

Anche Benanti appartiene al “cerchio magico” degli amministratori giudiziari palermitani: in passato, nel 2004, gli era stata affidata l’amministrazione giudiziaria dei beni di Rosario Alfano, un imprenditore ebanista di 71 anni, proprietario di Torre Artale. Quando ha ottenuto l’amministrazione dei beni del costruttore Francesco Sbeglia, di Palermo, nel 2010, mandò al Centro Excelsior (Hotel Astoria), a un incontro con alcuni imprenditori che volevano collaborare alla gestione dei beni, lo stesso Sbeglia. Grazie alla protesta dei tre imprenditori, gli venne revocato l’incarico, ma solo quello, in quanto non gli venne meno la fiducia della dott.ssa Saguto. Non si conosce il numero di incarichi, ma corre voce, che abbia dilapidato cifre altissime nella gestione del Mercatone, sede a Carini, più volte sull’orlo della chiusura. Il suo nome non è venuto fuori nemmeno nelle polemiche seguite alle dichiarazioni del prefetto Caruso. Tra gli incarichi c’è la Costruzioni Amato s.r.l.: il decreto di sequestro dell’intero capitale, composto da quote appartenenti a D’Asaro Carlo e Amato Giovanni e dell’intero complesso aziendale avviene il 16 settembre 2008: il giorno dopo viene firmata la nomina di Benanti come amministratore giudiziario e curatore speciale. Qualche anno prima gli era stata affidata la EdilMilvar di Conti Rosa, sequestrata con decreto del 28 giugno 2006, in pregiudizio di Ponziano Innocenzo, con relativo complesso dei beni aziendali, e di ogni accessione e pertinenza. Il sequestro dei beni risalenti ad Andrea Impastato e ai suoi parenti si aggira, secondo le solite stime ipotizzate, sui 150 milioni di euro.

Il compenso di Benanti per l’amministrazione delle aziende sequestrate è di 15 mila euro al mese, e se sommiamo questa cifra per otto anni ci rendiamo conto che ormai si arriva a un milione e mezzo di euro, in pratica un ricco stipendio pari o superiore a quello di un deputato. La sola Icocem, di cui ormai non esiste quasi più nulla, gli frutta 8 mila euro ogni tre mesi. A 5 mila euro l’anno vengono invece affittate le villette di San Vito il cui valore di locazione, specialmente nel periodo estivo, può anche arrivare a mille euro la settimana. Per amministrare tutto ciò Benanti si serve di coadiutori, con uno stipendio mensile che si aggira sui 3 mila euro, a parte quello di 9 mila euro per il direttore della cava, Grimaldi, figlio di Fulvio, Cancelliere dell’ufficio misure di Prevenzione, cui è stato ucciso il figlio, anche lui direttore di una cava, la Buttitta, amministrata da Cappellano Seminara. Ma la sorveglianza è affidata a un maggiore dei carabinieri in pensione, tal Vassallo, mentre la gestione e l’organizzazione del lavoro è opera del capocantiere Geloso, soprannominato “Testa di lana”, ma c’è anche uno storico meccanico, Chiaramonte,  che si aggira attorno ai mezzi che dovrebbe riparare.

Diversi dei 20 operai che lavoravano nella cava sono stati licenziati, alcuni vengono riassunti “a tempo”, secondo le richieste di materiale da parte delle imprese di costruzione del territorio. Tra le voci raccolte in giro, sembra che sarebbe stato disposto l’interramento di rifiuti tossici all’interno della cava, coprendo poi il tutto con terra e con la piantumazione di stelle di alpine: al giardiniere che avrebbe svolto il lavoro di abbellimento sarebbero stati pagati 18.000 euro. È un’informazione sulla quale sarebbe opportuna l’apertura di un’indagine.

Nella gestione della cava, specie nel trasporto del materiale edile si è preferito lasciar marcire i mezzi in dotazione e affidarsi ai cosiddetti “padroncini”, cioè a privati proprietari di altri mezzi, che lavorano con altre cave, poiché si ritiene che il noleggio dei mezzi ha costi inferiore all’uso dei mezzi di proprietà della cava. Il poco personale rimasto si lamenta delle videocamere di sorveglianza, disseminate dappertutto, della poca disponibilità di spazi, pieni di mezzi inutilizzati e abbandonati, della facilità con cui vengono erogate sanzioni e multe a lavoratori il cui torto è quello di chiedere di far valere i propri diritti, dell’obsolescenza dei mezzi di lavoro e della mancanza di sicurezza. Uno degli espedienti per costringere gli operai a lavorare praticamente gratis è quello del “recupero orario”, cioè l’obbligo di lavoro a copertura delle giornate di lavoro mancate per i più svariati e giustificati motivi. Ai “padroncini” è attualmente affidata la grossa fornitura di cemento alla S.I.S, cioè all’azienda che si sta occupando dei lavori sul nuovo tracciato della linea ferroviaria Palermo – Punta Raisi (Piraineto) e questo ha provocato, oltre che rabbia e preoccupazione tra i lavoratori, il recente licenziamento arrivato a quattro di essi. In questi giorni escono quantità notevoli di materiale, pari a 8 metri cubi giornalieri. Sinora lavorano 13 addetti a varie incombenze, tre trasportatori di calcestruzzi, due impiegati e un ragioniere, a parte gli avvocati che dovrebbero assicurare la copertura legale. Ci sono numerosi mezzi fermi, che funzionano perfettamente e restano inutilizzati, 7 betoniere e 22 camion, a parte un autoarticolato sequestrato dalla polizia, con una multa di 4500: un mezzo che dovrebbe appartenere allo stato, che lo amministra, è stato recentemente multato e sequestrato dalla polizia di stato!: quando la legalità è un optional. Sono in atto incontri tra l’amministratore giudiziario, i sindacati, i licenziati e i tartassati da multe e manovre punitive.

Come si può facilmente notare la cava è un piatto-forte in cui mangiano a piene mani diverse persone, che ormai hanno trovato il proprio definitivo posto di lavoro, anzi, per alcuni, di non-lavoro retribuito. Finché la barca va.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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