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Libertà di stampa, la giornata del festival dell’ipocrisia

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La stampa in Italia

“Passata la festa gabbato lo santo”, recita la vecchia saggezza popolare. In questi tempi ci sono invece “santi” che vengono gabbati prima, durante e dopo la festa. Il 3 maggio è la Giornata Mondiale della libertà di stampa. Il Consiglio d’Europa sul suo sito web istituzionale riporta che questa celebrazione “rappresenta da un lato un’occasione per promuovere azioni concrete e iniziative finalizzate a difendere la libertà della stampa, ma dall’altro è anche un’opportunità per valutare la situazione della libertà di stampa nel mondo”, che la sua azione è “a favore della libertà della stampa e dell’informazione è basata sull’articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che riconosce tale diritto fondamentale come la pietra angolare della democrazia”.

Anche quest’anno si sono succeduti pomposi e roboanti discorsi dalle più alte cariche istituzionali a tante altre occasioni. L’Italia e l’Europa, visti con le lenti di queste frasi ad effetto, dovrebbero essere considerati il paradiso della libertà e dell’indipendenza della stampa, ricchezza tutelata, coccolata e mantenuta in altissima considerazione. Invece, come in tantissime altre occasioni e le prossime settimane con l’anniversario della strage di Capaci, sono lenti che distorcono e annebbiano la realtà. L’Italia è l’unico Stato in Europa in cui ci sono tanti giornalisti minacciati e tutelati da scorte per le minacce di mafie e organizzazioni criminali e l’unico perché minacciato da organizzazioni neofasciste e neonaziste, Paolo Berizzi. È passato sotto silenzio quest’anno l’anniversario dell’attentato a Mogadiscio in cui furono assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Uccisi mentre stavano indagando sul malaffare nella cooperazione italiana in Somalia e nel traffico di armi e rifiuti. Una verità scolpita nella pietra, certa e assoluta, nessuno ormai metterebbe in dubbio questo fatto incontrovertibile. Tranne in una sede: il Parlamento italiano, la relazione di maggioranza di una commissione d’inchiesta nelle scorse legislature – nonostante le nette evidenze e le circostanze che documentano la loro presenza in Somalia per lavoro e le inchieste di Ilaria Alpi – riportò che si trovavano in vacanza ed avevano subito una rapina. Il presidente di quella commissione, in questi mesi di emergenza sanitaria, ha assunto nuova notorietà e immensa risonanza addirittura come hombre vertical in lotta contro chissà quale improbabile “potere forte”. È diventato paladino della libertà, rilanciato e sostenuto da milioni di post sui social, articoli, pagine e gruppi social.

I social network e l’intero web hanno assunto, in tempi di distanziamento e confinamento sociali, un ruolo informativo sempre più centrale. Nei mesi in cui, l’ultimo rapporto è delle scorse settimane, l’eversione destrorsa, suprematista e neofascista ci inonda di menzogne e bufale, i giornalisti e la stampa realmente indipendente – scevra da editori impuri, gruppi di interessi e connivenze con mafie, corrotti e colletti bianchi – ha visto la sua voce sempre più messa in pericolo. In nome di una verità apparsa a volte orwelliana e, molto più spesso, semplicemente omologata e prona al pensiero dominante. Quel pensiero così potente, nei mezzi e nelle grancasse, da sapersi costruire persino una fasulla alternanza, a far credere che esista una contrapposizione tra pensieri diversi, addirittura un’opposizione. Scavando invece si finisce sempre per arrivare ai soliti interessi e potentati, economici, politici e criminali. Chi è fuori da questo giro invece subisce, realmente, censure, intimidazioni, minacce e si cerca di spazzarli via. Con ogni mezzo. Perché se sei avvocato assiso ai vertici della nazione (e qua non si può che tornare alla denuncia di Pippo Fava nell’intervista ad Enzo Biagi), showman dei salotti buoni dell’alta editoria o potente di qualche specie puoi gridare qualsiasi proclama violento, inscenare qualsiasi isterismo (persino seduto nudo sul water) e diffondere ogni amenità e rimani intoccabile. Se invece provi a far conoscere le torture e la persecuzione contro Julian Assange (nulla di nulla, nessuna risonanza mediatica e politica alle manifestazioni per la sua liberazione nella “giornata per la libertà di stampa”), la violenza dell’occupazione israeliana, i crimini neonazisti in Ucraina, gli abusi e i soprusi delle vere dittature latinoamericane, la vera realtà su Cuba o Venezuela o, persino, se denunci la violenza del patriarcato o i pedocriminali con forza e gran determinazione quasi certamente verrai spazzato via dai social network. Per le orwelliane scelte dei gestori o, molto più spesso, per aggressioni in massa sui propri canali. Quelle aggressioni che da sempre avvengono con pestaggi, agguati e attentati e oggi – sul web – sono diventate anche segnalazioni in massa di contenuti o profili. E attacchi informatici. Nei mesi scorsi, nel silenzio omertoso e indifferente generale, così fu distrutto il sito web della rivista Le Siciliane/Casablanca, poi tornato online e che ancora oggi prosegue le sue denunce, inchieste e approfondimenti. Analoga sorte ha avuto nei giorni scorsi, un attacco partito da tempo, il giornale online WordNews. Che sta tornando in queste ore online. Filo comune ad entrambi: la denuncia e la lotta alle mafie, alle consorterie massoniche, criminali, ai colletti bianchi, ai corrotti e alle ingiustizie.

Arma dei pre-potenti e delle loro braccia armate da sempre sono dossieraggi, tentativi di delegittimazione, quelli che in Sicilia chiamano “mascariamenti”. Si parla e, soprattutto, sparla tantissimo da mesi e mesi di quanto accade dentro la magistratura, delle cordate di potere troppo spesso determinanti e decisivi per le sue sorti. Raccontati soprattutto, e dovrebbe essere sconcertante, da chi di quel sistema ne usufruisce da sempre e continua a perseguitare i pochi magistrati coraggiosi, liberi ed indipendenti. Ci furono un giornalista e una televisione antimafia, lontana dai salotti che contano e dai grandi professionisti d’elite, che anticiparono il cosiddetto “sistema Palamara” e per primi sollevarono certe denunce: il nostro Pino Maniaci e noi su Telejato. Sei anni fa Pino fu sbattuto su tutte le edizioni dei telegiornali nazionali e dei grandi gruppi editoriali con gravissime accuse, alcune apparse a dir poco fragili e inconsistenti già in poco tempo. È stato isolato, delegittimato, attaccato nella maniera più violenta e feroce possibile. I garantisti ad ogni ora per il proprio padrone, per corrotti e mafiosi d’alto livello, quelli che sarebbero capaci anche di assolvere Hannibal Lecter da omicidi confessati, improvvisamente divennero tutti forcaioli, tutti megafoni di ogni accusa, anche quelle apparse subito improbabili e inconsistenti. Pino nelle scorse settimane è stato assolto con formula piena da quelle accuse. Telejato ha sempre proseguito, con difficoltà sempre crescenti, in questi anni e proseguirà. Rilanciando il suo impegno, nelle scorse settimane ha avuto addirittura la possibilità di far arrivare dopo tanti anni finalmente il suo segnale in tutta la Sicilia. Sono passate settimane dall’assoluzione ma il silenzio, omertoso e vigliacco, non viene minimamente scalfito. Si vuol capire il livello della “libertà di stampa” e del perché l’Italia si trova così in basso nelle classifiche mondiali? Rileggete cosa fu scritto contro Pino Maniaci allora, la verità accertata (finalmente) anche in tribunale e notate il proseguire indefesso dell’omertoso e vigliacco silenzio del branco.

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Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, collaboratore di Wordnews.it e referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza, Giustizia.info, QcodeMagazine, Comune-Info e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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