L’associazione No mafie in un comunicato ha parlato di “Esclusione illogica, approssimativa e discutibile che ci ha provocato sconcerto e incredulità. La decisione, con argomentazioni parziali e spericolate, sembrerebbe addebitare a Libero Futuro la responsabilità di aver accompagnato alla denuncia alcuni soggetti in qualche modo legati ad ambienti mafiosi e colpiti da interdittive, provvedimenti prefettizi che escludono alcuni imprenditori dalla possibilità di ricevere commesse da enti pubblici. Non tiene conto che tali imprenditori hanno avuto il sostegno di Libero Futuro in stretto raccordo e su sollecitazione delle Forze di Polizia e che in sede giudiziaria questi stessi imprenditori hanno ricevuto riconoscimenti per la loro fattiva collaborazione. Per fortuna, nessuna accusa di contiguità con ambienti mafiosi è stata sollevata nei confronti dell’associazione”.
La Prefettura ha ignorato il ruolo di Libero Futuro, che ha dato una forte spinta al risveglio della coscienza civile, accompagnando oltre 300 imprenditori nelle loro scelte di denuncia, non ha tenuto conto, non si è raccordata, a quanto pare, con altri “pezzi dello stato” per avere un profilo completo delle attività svolte e rischia di fare, per il futuro, terra bruciata nei confronti di tutti coloro che avessero voglia di ribellarsi alle richieste mafiose di estorsione.
Il comunicato di No Mafie sostiene che “questa vicenda ci induce a sottolineare l’urgenza che alcune norme in materia di interdittive, varate con carattere di leggi eccezionali, vengano presto rivedute e si ritorni a uno stato di diritto che impedisca l’arbitrio dei funzionari su un campo così delicato”. E qui si accenna a uno scottante argomento, quello della legge sulle misure di prevenzione che rappresenta un canale diverso da quello della giustizia penale e che può operare non tanto su prove, ma anche su sospetti, attribuendo ai magistrati enormi poteri che possono condurre a pericolose deviazioni, come nel caso del giudice Saguto. In tal senso i radicali stanno procedendo a una raccolta di firme per una modifica della legge, trovando l’ostilità di qualche gruppo che interpreta come un favore alla mafia la necessità di rivedere disfunzioni e contraddizioni che non tengono conto dei diritti costituzionali dei cittadini e allontanano l’Italia dalla legislazione europea.
La decisione del prefetto pone un grosso interrogativo sull’importanza che ancora oggi può avere la presenza delle associazioni antiracket con il suo significativo ruolo di strumento di speranza e di assistenza, dal momento che vengono usati gli elementi offerti dall’imprenditore per procedere contro di lui: “C’è netta – scrive No mafie – la sensazione che stia toccando i minimi storici l’originaria attenzione per l’esperienza innovativa dell’associazionismo antiracket, che ha contribuito a ridare speranza a migliaia di imprenditori stretti nella morsa mafiosa, e che questa attenzione venga rimpiazzata in modo strisciante da ottusi atteggiamenti burocratici nei confronti dell’impegno di centinaia di volontari i quali ancora operano talvolta mettendo a rischio la propria incolumità.”
Non meno pesante e amara la risposta di Libero Futuro alla decisione prefettizia, motivata, si scrive, dal fatto che “l’associazione ha assistito alcuni imprenditori che avrebbero un curriculum non illibato: quegli stessi imprenditori a cui si riferisce la Prefettura si sono oggi costituiti parte civile nel celebre processo nisseno contro Silvana Saguto, Rosolino Nasca e Carmelo Provenzano; sono stati encomiati da illustri esponenti dell’arma dei carabinieri e dalla Procura locale e che li hanno riconosciuti in linea con le istituzioni (e meritevoli di risarcimenti danno e provvisionali a carico dei mafiosi), per l’apporto ricevuto nei processi pendenti in termini di piena e incondizionata testimonianza contro i criminali…. “Può lo Stato, nella sua espressione ministeriale-prefettizia, ignorare la collaborazione di questi imprenditori con le forze dell’ordine e le procure, che ha fatto arrestare numerosi mafiosi?”
Si tratta di imprenditori mai raggiunti da alcun procedimento, mai condannati o indagati. Nello specifico la nota di Libero Futuro, fa riferimento all’assistenza offerta agli imprenditori Virga di Marineo (già soci dell’Associazione Antiracket di Bagheria e ammessi, a seguito dei numerosi attentati subiti, al fondo speciale vittime di mafia), che avrebbe provocato l’avvio del provvedimento. Virga sarebbe stato legato a Diesi Francesco e quest’ultimo a Russo Roberto, entrambi associati a Libero Futuro e da essa assistiti. Secondo il Prefetto uno degli Avvocati dell’associazione sarebbe la moglie di un soggetto, vicino al gruppo imprenditoriale Virga, nei confronti del quale è stata resa una interdittiva nell’anno 2017 e sequestrata un’azienda (oggi dissequestrata dalla medesima Autorità)….. “questo soggetto (marito del predetto legale) sarebbe stato visto parlare nel 1999, nel 2003 e 2004 con soggetti controindicati”.
Tutti i soggetti citati sono stati supportati in un percorso di denunzia di fatti criminali di mafia, come i Virga, accompagnati nella costituzione di parte civile dall’ufficio legale del Comitato Addiopizzo.
A seguire, il comunicato cita una serie di alti funzionari dei vari nuclei investigativi, di rappresentanti delle istituzioni, che hanno fatto un pubblico encomio nei confronti di Virga, riferisce come due collaboratori di Giustizia (Brusca e Giuffrè), sentiti a Firenze sulla famiglia Virga, hanno confermato che lungi dall’essere in affari con la Mafia, questi sono – nel tempo – solo ed esclusivamente stati oggetto di richieste estorsive e che si rifiutavano di pagare (subendo danneggiamenti e persino un tentato omicidio) e conclude: “Se per l’associazione è una colpa essere stata vicina a questi imprenditori – già ampiamente supportati dalle FFOO e dalla Procura della Repubblica – allora ce ne assumiamo ogni responsabilità perché – altrimenti ragionando – verrebbe snaturato uno dei primi doveri di una associazione antiracket che è quello di incoraggiare, supportare e non abbandonare chi ha il coraggio (vecchio o nuovo che sia) di ribellarsi finalmente al giogo mafioso”.
Si riportano poi le ancor più esplicite dichiarazioni di uno stimato e alto funzionario di Polizia, Francesco Accordino, che ha Lavorato con Ninni Cassarà: “La collaborazione del Sig. Virga è durata per oltre trent’anni, dall’inizio degli anni ’80 a qualche anno fa, quando ancora mi metteva al corrente di fatti delittuosi di cui veniva a conoscenza. Con gli organi investigativi di Polizia e Carabinieri ho sempre definito la famiglia Virga come UNA MUCCA DA MUNGERE e ho sempre ammirato la volontà di Virga di difendere il suo lavoro e la sua famiglia. Egli, peraltro, si è sempre dichiarato disponibile a incontrare i magistrati che si occupavano delle varie vicende per fornire chiarimenti e collaborazione alle indagini. Virga mi è stato utilissimo per le mie indagini sulle famiglie mafiose di Palermo e provincia. E’ stato utilissimo anche al mio collega Cassarà con il quale, anche sulla base delle informazioni fornite da Virga, ricostruivamo gli assetti delle famiglie mafiose. A causa di tutte queste denunce e collaborazioni e esternazioni contro i delitti di mafia che subiva ritengo che lo stesso fosse considerato più ‘sbirro’ che mafioso”.
Emblematico il caso di Stefano Polizzi, di Francesco Lo Gelfo e altri mafiosi, arrestati con la collaborazione di Virga, ma anche, per spostarci ad Alcamo, quello dell’imprenditore Amodeo, che per lungo tempo ha collaborato con il capo della squadra mobile di Trapani Linares e del suo successore Di Leuci. L’elenco è comunque ben più lungo e il doloroso stupore dell’associazione è racchiuso in queste domande: perché ostinarsi nei confronti di coloro che, con una scelta di notevole coraggio hanno fatto un salto in avanti dimostrando di avere gettato alle spalle il proprio passato? Perché umiliare un’associazione che ha condotto queste persone al riscatto della propria vita , mettendola a rischio di feroci vendette? Perché infierire contro persone nei cui confronti non è mai stato emesso alcun provvedimento, mai condannate o indagate? Solo per aver fatto impresa in Sicilia, per avere certe sospette parentele da cui si sono dissociate? Che senso ha uno Stato che da un lato encomia e dall’altro punisce? Nella stessa misura in cui il caso della dott.ssa Saguto o del prefetto Cannizzo non significano che tutta la magistratura è “contaminata”, anche il caso di qualche eventuale mafioso che abbia potuto collaborare per salvare i suoi beni, non significa che tutti i collaboratori nascondevano questo secondo fine e che abbiano contaminato l’associazione.
Così prosegue il comunicato: “Ma anche ad ammettere che un imprenditore abbia avuto nel passato un percorso di vita in cui ha commesso reati, e che un dato momento decida di iniziare un percorso nuovo, credere nello Stato e nelle Istituzioni, denunziare, non piegarsi più a logiche di compromesso affaristiche, cosa dovrebbe fare lo Stato o la società civile (di cui sono espressione le associazioni antiracket), dire che è ‘troppo tardi’ per iniziare a rispettare le Leggi? Dire che il curriculum non consente più di diventare una persona onesta? Od incoraggiare il cambiamento nella speranza mai sopita che anche questa terra possa cambiare?…Non può ritenersi “normale” che alcuni rappresentanti delle Istituzioni (ai più alti livelli) ne dipingano la linearità di comportamento e la nota prefettizia invece li faccia apparire come spietati criminali tanto da determinare addirittura la cancellazione dell’Associazione cui si sono rivolti, per ‘contaminazione'”.
E pertanto, secondo Libero Futuro è necessario non guardare al passato, ma al presente e al futuro.
L’antimafia oggi sta vivendo un momento difficile ed è sotto attacco da parte di settori dello stato che non hanno mai definitivamente chiuso i rapporti con Cosa nostra, ma anche da parte del cosiddetto “fuoco amico” che è quello di associazioni che attraverso l’antimafia hanno trovato un posto di lavoro per i propri soci, un immobile da utilizzare come sede, un terreno o ettari di terreno da coltivare, un lavoro per avvocati e magistrati e che, nei confronti di esperienze collaterali, non sempre hanno atteggiamenti di collaborazione, ma spesso di ostilità e di inimicizia.
Ci sono poi gli sciasciani “professionisti dell’antimafia”, ovvero l’antimafia istituzionalizzata e l’antimafia delle istituzioni, in particolare politici, imprenditori, forze dell’ordine e magistrati. Sui politici poche parole, perché se ne sono spese tante: una volta se ne stavano all’ombra, pronti a ricambiare in un viscido rapporto, favori, posti di lavoro, appalti, carriere, voti: oggi non c’è più bisogno del velo protettivo: scendono in campo in prima persona, con la sfacciataggine e la sicumera tipica della razza padrona: non hanno più bisogno neanche di cercare preferenze, dal momento che la legge elettorale garantisce il seggio, male che andasse come premio di maggioranza. Una volta a cavallo c’è la sicurezza di starci per cinque anni, durante i quali creare le premesse per i prossimi cinque. Gli imprenditori possono farcela da sé in rapporto alla loro potenza economica e alla capacità di non incappare in qualche incidente di percorso legato ad inevitabili casi di corruzione, di bilanci falsi, o di amicizie sospette: è il caso delle vittime (non tutte) delle misure di prevenzione e dei sequestri. In tal caso l’antimafia è un utile strumento sia per sbarazzarsi dei propri avversari, sia per entrare nel giro di “amici dello stato” da cui ottenere privilegi. Tra gli industriali siciliani, soprattutto quelli che ruotano in Confindustria, ci sono esempi, nomi e carriere degni della massima attenzione. Sulle forze dell’ordine e sui magistrati il discorso si fa più difficile, dal momento che, essendo potere e potendo disporre di strumenti di controllo, di repressione, di ricatto, di rivalsa, di personale ostilità, osare parlarne male significa finire in un tritacarne da cui è difficile uscire. Idem dicasi per alcuni giornalisti, che fanno carriera e sopravvivono se diventano cassa d’amplificazione delle procure e delle caserme, che passano loro le notizie, preorientando lo sviluppo delle indagini in rapporto alle proprie tesi e teorie, per non voler parlare di alcuni “colpi” messi a segno, che possono determinare promozioni e voli di carriere verso le alte sfere. In tal senso l’affermazione del poliziotto Accordino, che può valere per qualsiasi collaboratore, è emblematica: “Con gli organi investigativi di Polizia e Carabinieri ho sempre definito la famiglia Virga come una mucca da mungere”. Ed è in quest’ultimo contesto che si pone la vicenda di Libero Futuro e degli imprenditori da essa difesi e assistiti.
Uno dei più prestigiosi magistrati della procura di Palermo, Vittorio Teresi, quando scoppiò il falso scandalo della vicenda di Pino Maniaci, accusato di fare antimafia a proprio uso e consumo, ebbe a dire: “Non abbiamo bisogno dell’antimafia di Pino Maniaci”, quasi a dire e a ribadire che gli unici legittimati a fare antimafia sono i magistrati. In quel giudizio sprezzante venivano gettati via anni d’impegno, di collaborazione con masse di giovani, con giornalisti di storico impegno, di informazioni coraggiose in un contesto d’ascolto dominato da pericolosissime cosche mafiose. Anche l’odierna decisione del prefetto De Miro sembra ripetere che “Non abbiamo bisogno dell’antimafia di Libero Futuro“. E così, di colpo, vengono gettati via anni di silenziosi rapporti per proteggere gli imprenditori, per assisterli, spingerli a denunciare, per fare arrestare gli estorsori. Anzi c’è di più: si usano gli elementi offerti dai collaboratori, quelli che riguardano se stessi, contro di loro, li si priva della possibilità di continuare a lavorare, negando la certificazione antimafia.
In tal modo si riempiono i giornali di titoloni, i comandi militari possono esibire vittorie e strategie vincenti, i magistrati accreditare la loro immagine di baluardi della lotta alla mafia e i poveri imprenditori che avevano creduto e sperato di potere, attraverso lo stato, di liberarsi dal ricatto e dal cappio dell’estorsione, torneranno poveri, a parte quelli che già sono stati ridotti in stato di povertà da precedenti provvedimenti giudiziari che vengono ogni volta reiterati, ma spacciati per nuovi. E così le associazioni antiracket non hanno più nulla da fare, almeno che esse non siano nelle grazie di prefetti, magistrati e politici che garantiscono la loro sopravvivenza. In tutto questo merita certamente ogni solidarietà Enrico Colajanni, che in questa associazione ci ha buttato l’anima, che aveva creduto di potere invertire la spirale del pizzo, come del resto stava avvenendo, e che invece ha raccolto solo amarezza da chi, in nome dello stato di cui è rappresentante, avrebbe dovuto assisterne il lavoro, anziché provocarne l’isolamento. “Oggi, molto più che un tempo, o sei contro o sei con cosa nostra”, dice Colajanni, ma è finita che egli con la sua associazione e i suoi 300 imprenditori estorti, mai denunciati o condannati, collaboratori nell’arresto dei loro ricattatori, sono stati assurdamente ritenuti vicini alla mafia e non contro la mafia. Nessun commento è arrivato da Addio Pizzo e da Libera. E del resto, proprio Addio Pizzo, in un comunicato in occasione del 27esimo anniversario dell’uccisione dell’imprenditore Libero Grassi il 29 agosto 1991 fa rilevare che “Le denunce di estorsione rimangono poche rispetto alle dimensioni del fenomeno”. Dopo le recenti decisioni della Prefettura di Palermo, a parte quelli che si rivolgeranno alle associazioni antipizzo ritenute affidabili, difficilmente si troverà più un imprenditore disposto a collaborare, ma forse non ce n’è più bisogno. Forse la mafia non c’è più.
Abbiamo deciso da tempo da che parte stare. Non ci servono le sentenze per appurare…
Ci provo, in un prato senza vegetazione, a piantare qualche albero di parole, di sogni…
L'udienza avrebbe dovuto svolgersi oggi pomeriggio, mercoledì 18 dicembre, ma su richiesta della difesa e…
I vincitori della XXVII Edizione del Concorso Internazionale Artistico Antonio de Curtis, (Totò) Principe, Maschera…
L’influencer non è una nuova figura professionale, è cambiato solo il nome, con l’adozione di…