Caro Pino,
sono lieto che la tua surreale vicenda giudiziaria sia finita. Lo strascico della condanna per diffamazione nei confronti di Porcasi, Giuliano e Quatrosi credo che sia stato un pietoso tentativo di dimostrare che comunque sotto c’era qualcosa e che tutto l’apparato giudiziario costruito nei tuoi confronti non è stato inutile, aveva qualche motivo d’essere.
In realtà la vicenda era iniziata quattro anni prima, quando, attratti dalla serietà del nostro lavoro giornalistico, cominciarono a venire in redazione una serie di persone alle quali era stato tolto tutto, le case, i terreni, persino la bicicletta per i bambini. Tutto con il sospetto che i beni di queste persone fossero stati realizzati con capitali e attività mafiose. Dopo esserci assicurati, anche guardando le carte, che la mafia c’entrava poco e che non si trattava di mafiosi, ma di vittime della mafia, che chiedeva loro il pizzo, e vittime dello stato che riteneva il pagamento del pizzo un modo di finanziare Cosa Nostra, abbiamo iniziato la nostra campagna di denuncia, individuando le responsabilità della Presidente dell’Ufficio Misure di prevenzione, Silvana Saguto, che gestiva l’ufficio come una sua personale bottega. Abbiamo individuato un centinaio di casi in cui alcuni imprenditori siciliani erano stati spogliati di tutto e le loro aziende erano state date in mano ad amministratori giudiziari che ne avevano fatto una fonte di arricchimento personale, sfruttandole e distruggendole. Centinaia di lavoratori avevano perso il posto di lavoro e il colpo dato alla già debole economia siciliana era evidente. In un certo momento si è aperto uno spiraglio, del quale abbiamo sempre rivendicato la paternità, ovvero che poteva esserci sotto del marcio, e le intercettazioni rivelavano che c’era davvero una catena di avvocati, imprenditori, amministratori, dirigenti degli uffici pubblici, magistrati, cancellieri, politici, tutti dentro il cerchio magico che ruotava intorno a Silvana Saguto. I nuovi padroni di Palermo. I vari processi, tra assoluzioni e condanne, non hanno potuto nascondere il marcio e i sequestratori sono stati sequestrati dei loro beni e finiti in carcere. Purtoppo quel lavoro è rimasto incompiuto. La parte più importante delle nostre denunce riguardava soprattutto l’esistenza di una legge che consente allo stato, al di là di ogni legge di tutela della proprietà privata, di appropriarsi dei beni di una persona, ove insista anche il semplice sospetto che trattasi di mafia. Noi siamo e continuiamo ad essere dell’avviso che sui sospetti non provati non si possa privare una persona dei propri beni. Quella legge anticostituzionale, fatta in un periodo di emergenza, continua ad esserci e non ci stancheremo di dire che va cambiata. Abbiamo fatto le nostre proposte, che ho pubblicato, assieme a tutta questa storia, nel mio libro “In nome dell’Antimafia”.
Un abbraccio e un goccio di spumante.
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