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L’editoria, i piccioli, Maniaci e Giacchetto

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I piccioli, i soldi, arrivano dalla pubblicità. Lo sanno bene gli editori, grandi e piccoli. E lo sanno benissimo gli ex editori, quelli che di sostegno pubblicitario ne hanno avuto ben poco fin quando mantenevano in vita giornali e riviste che non facevano sconti a nessuno, che facevano del loro rigore e della loro “intransigenza” il loro biglietto da visita.

Volendo fare un paragone, possiamo dire che l’esperienza del giudice Giovanni Falcone è stata “bombardata” prima ancora della strage di Capaci grazie a una lunga campagna di delegittimazione e l’esperienza di Pippo Fava e del suo giornale “I Siciliani”, prima ancora che arrivasse il piombo delle pistole, è sempre stata “minata” da un’indifferenza “ostile” degli inserzionisti. Poca pubblicità, a volte niente, sia dal pubblico che dal privato.

E dal momento che stiamo parlando di Sicilia, terra che storicamente ha costruito -ed esportato- il modello mafioso, essere rigorosi giornalisticamente non può non significare che occuparsi di mafia ad ogni livello, non solo quello criminale e senza compiacenze. E dopo “I Siciliani” possiamo parlare al passato di “Casablanca”, di “Pizzino”, di Cyberzone e di altri, di editori che stentano tra debiti, querele e mancanza di piccioli, come i “Siciliani Giovani” di Riccardo Orioles che resistono come fossero dei missionari, pur producendo dell’ottimo giornalismo o come lo storico quindicinale “L’Obiettivo” di Castelbuono, investito da querele milionarie nell’indifferenza generale. E sì, il giornalismo è una cosa, i piccioli sono un’altra.

Poi a un certo punto viene “beccato” Pino Maniaci che porta avanti una piccola tv locale a Partinico, Telejato. Poca pubblicità, che spesso viene pagata in ritardo, 17 anni di lavoro sul territorio, una parte della famiglia a rischiare in questo delicato ruolo in un territorio difficile, 366 euro (guardacaso sembrano proprio 300 + iva al 22%) pagati da un sindaco nel corso di un’intercettazione ambientale che abbiamo visto tutti e Maniaci diventa un “presunto estortore”, un “pataccaro”.

I giornalisti “con le mani libere” esercitano così il loro ruolo di critica, un concerto di certezze. Uno stralcio interessante è quello pubblicato su “LiveSicilia” il 13 maggio dal suo direttore, un giornalista di lunga esperienza che non ha bisogno di presentazione, Giuseppe Sottile. Scrive il direttore: “Nessuno qui si azzarderà a definire “gentuzza” gli uomini dell’antimafia, anche se dentro la compagnia di giro ci ritrovi qualche pataccaro, come (…) quel Pino Maniaci, che per anni si è spacciato come giornalista coraggioso ed è finito sotto inchiesta per estorsione: secondo la procura di Palermo sparava fuoco e fiamme ma, sottobanco, prometteva benevolenza soprattutto a chi aveva la compiacenza di allungargli la mille lire.” (http://livesicilia.it/2016/05/13/ma-quella-che-urla-e-antimafia-o-la-claque-dei-processi-politici_747651/)

Quella che prima ho chiamato “missione” viene trasformata in qualcosa di simile all’accattonaggio di un “pataccaro”, la “benevolenza” sarebbe “quell’ammorbidimento della linea editoriale” di cui parla la Procura. Ho già detto in altri articoli che gli inquirenti non sono andati nella redazione di Telejato per prendere copia dei servizi andati in onda dopo i presunti “episodi estorsivi”, quindi la “benevolenza” sarebbe tutta da dimostrare. Semmai un paio di giorni fa, in conferenza stampa, Maniaci ha messo a disposizione dei giornalisti una copia delle pubblicità cui si riferirebbero, a suo avviso, quei pagamenti. Ma non è questo il punto.

Il punto è che proprio in Sicilia nel 2013 è esploso il “sistema Giacchetto”. Faustino Giacchetto era il manager della pubblicità per con conto del Ciapi, -ente che gestiva decine di progetti finanziati dall’U.E. e dalla Regione per la formazione nell’isola- e gli inquirenti hanno rilevato decine di milioni di euro gestiti allegramente. Uno scandalo che ha coinvolto anche le grandi aziende che si occupano di affissioni (come “Damir” e “Alessi”) e le concessionarie di pubblicità che finanziano i giornali dell’isola. Tra queste ultime, ad intascare i fondi pubblici c’erano la Publikompass (concessionaria del “Giornale di Sicilia”, “la Sicilia”…), la Gap srl, agente della Mondadori in Sicilia (“Panorama”, “Donna Moderna”, “Grazia”…) e la Novantacento che gestisce le testate “Il Palermo”, “S”, “Match Today” e “I Love Sicilia”. Altro che “allungare le mille lire”, il gruppo Novantacento, che edita anche “LiveSicilia” -va detto che all’epoca Giuseppe Sottile non era il direttore della testata, ma immagino che di questa vicenda ha sentito parlare- ad esempio, secondo la Procura grazie al “sistema Giacchetto” avrebbe fatturato negli anni fino al 2012, ben 958 mila euro pagando laute provvigioni a Giacchetto per 390 mila euro. Mondadori avrebbe fatturato 1.461.000 euro dando provvigioni per 505 mila euro e Publikompass avrebbe fatturato 787 mila euro pagando 370 mila euro di provvigioni. Provvigioni altissime, ma “necessarie” per non essere “esclusi” dal sistema. Con soldi pubblici, con soldi nostri.

Giuseppe Amato, titolare della “Gap srl” e socio di “Novantacento”, sentito dagli inquirenti, ha ammesso: “la Gap S.r.l., per potere lavorare con il C.I.A.P.I. e con Italia Lavoro Sicilia Spa, doveva accettare le condizioni da lui dettate…omissis…l’ampio margine di discrezionalità su cui poteva contare il GIACCHETTO ci ha convinti a riconoscergli delle provvigioni particolarmente onerose per evitare conseguenze dannose per la nostra azienda (rimanere esclusi dagli investimenti pubblicitari del C.I.A.P.I. e/o di Italia Lavoro Sicilia Spa)”).

Se con Maniaci l’ipotesi era quella di ricevere “le mille lire” in cambio di un ammorbidimento della linea editoriale, per il sistema Giacchetto, l’ipotesi sarebbe quella di ricevere denaro pubblico per non essere esclusi, per evitare il danno. Bella forma di prevenzione.

Al di là degli aspetti penali, che in questo momento è poco importante analizzare dato che il processo, diviso in vari tronconi, molto probabilmente finirà con una bella prescrizione che farà felici tutti. L’accusa di truffa si prescriverà infatti a novembre, mentre nel 2017 andranno in prescrizione i presunti episodi di corruzione. Le uniche contestazioni che potrebbero arrivare in Cassazione -ma ci vorrebbe uno sprint finale alla “Nibali”- sono quelle per associazione a delinquere e quelle legate a reati fiscali.

In realtà, dal punto di visto giornalistico, bisognerebbe chiedersi come mai solo queste testate (che sono già tante) e non altre hanno ricevuto dei soldi grazie a questo sistema. Perché allora nessuno si è posto questa domanda e di questo processo si è parlato così poco? Meglio interessarsi alle “mille lire”? E i milioni di euro pagati con soldi pubblici ce li scordiamo? La parabola della pagliuzza e della trave non renderebbe a sufficienza la disparità di chiarezza nel trattamento delle due vicende.

Maniaci e Giacchetto diventano due paradigmi per capire il funzionamento dell’editoria in Sicilia.

A questo proposito, è interessante registrare le considerazioni di uno degli esclusi da questo sistema Giacchetto, una testata che il “danno” non l’ha potuto evitare. In un’editoriale dell’anno scorso di SiciliaInformazioni, a proposito delle possibili motivazioni di questi incassi pubblicitari si legge: “Perché è questa la cosa che fa impressione, che i sopravvissuti, invece che fare perdere le tracce di sé, farsi dimenticare e ricominciare un’altra stagione, annunciano giorno dopo giorno punizioni per i malviventi, e sollecitano – questa è proprio da libro di storia – una sobria conduzione delle risorse pubbliche. Provate a spiegarvi come avrebbe fatto Faustino a mettere in piedi il grande slam della formazione se non avesse goduto della convinta adesione dei partecipanti al desco”.

E per chiudere, sempre sullo stesso articolo, un’amara riflessione sul futuro dell’editoria in Sicilia: “La stagione del sistema Giacchetto è stata rimossa, come se non ci fosse mai stata, eppure essa continua a dare frutti rigogliosi ed a segnare i confini fra l’editoria in buona salute e l’altra che arranca, come capita alla stragrande maggioranze dell’imprenditoria siciliana. A differenza che in altri settori, laddove la crisi ha colpito duramente, nel mercato “virtuale” – media cartacei e digitali –il sistema Giacchetto ha creato un solco profondo. E c’è chi se la gode e chi non sa quel che succede il giorno dopo.”

Già, che succede il giorno dopo, quando le “mille lire” sono state spese? Certo che il problema non si pone per chi ha incassato centinaia di migliaia di euro. E lascerei da parte ogni discorso sull’antimafia, ma una riflessione sul contributo che un’editoria di qualità, rigorosa e indipendente ha sempre dato e potrebbe continuare a dare a quella parte di siciliani che vorrebbero affrancarsi da modelli basati sulla logica degli amici degli amici. In Francia, ad esempio, ricordo che anni fa si dava a una certa somma a giovani o disoccupati da spendere in abbonamenti a riviste che sceglievano loro, in base ai contenuti e non alle “cordate” o ai desideria del funzionario di turno che decide dove drenare i soldi pubblici. Giornalisti, lettori, se ci siete battete un colpo, prima che un altro giornale chiuda.

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