La cattiva gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia non cessa di mostrare i suoi limiti e le sue anomalie. Parliamo della cooperativa SpazioLibero Community, che opera nel territorio di Castellammare del Golfo, nata nell’Aprile 2015 su iniziativa dell’associazione LiberoFuturo, avendo come finalità specifica proprio quella di realizzare buone pratiche nel settore della gestione dei beni sequestrati e confiscati. Nel 2015 la cooperativa ha ricevuto in affitto, da un amministratore giudiziario, due ville, un vigneto distrutto a Castellammare del Golfo, un secondo vigneto distrutto a Paceco ed un appartamento a Selinunte. Tutti beni non ancora confiscati definitivamente. Inoltre la cooperativa commercializza e valorizza i prodotti provenienti dalle aziende sequestrate con il marchio EXTRAETICO al fine di valorizzare tali prodotti nel circuito del consumo critico a vantaggio delle amministrazioni giudiziarie. All’inizio la cooperativa ha lavorato con grande entusiasmo e con il favore delle istituzioni Trapanesi, tra cui il Giudice delle Misure di prevenzione, il Prefetto, le Forze dell’Ordine, e i soci hanno contribuito alla gestione con i loro risparmi e con tanto lavoro volontario. Dopo tre anni di lavoro la situazione è diventata molto critica perché le due ville in affitto, gestite con successo, sono state confiscate definitivamente nel giugno 2016: subito dopo si è verificato un incendio doloso che avrebbe distrutto tutto se la cooperativa, con i suoi soci, dopo 5 anni di abbandono, non si fosse occupata di ripulire i luoghi e contenere l’incendio. Subito dopo l’incendio è arrivata una lettera anonima con l’invito “Lasciate le nostre case”, cui ha fatto seguito un avviso di sfratto da parte dell’Agenzia nazionale che si occupa di beni confiscati. Lo sfratto è diventato esecutivo nell’agosto 2018, senza considerare che la cooperativa è stata di fatto espropriata dei denari investiti e non ancora ripresi. Le lettere inviate all’Agenzia non hanno ricevuto alcuna risposta.
Contemporaneamente l’appartamento di Selinunte, dopo alcuni mesi di lavoro per risistemarlo e renderlo fruibile è stato dissequestrato e la cooperativa ha dovuto restituire immediatamente le chiavi perdendo l’investimento fatto. Tutto questo era stato messo nel conto, ma anche qua non c’è stato alcun risarcimento per le spese sostenute. Ancora più triste e più grave la vicenda del vigneto di Inici a Castellammare. La cooperativa aveva avuto in affitto, dal sindaco di Castellammare, al quale l’Agenzia lo aveva affidato, per dieci anni, un vigneto di 6 ettari completamente devastato in affitto per dieci anni. Ne era seguita una la presentazione di una domanda di finanziamento per l’espianto ed il reimpianto controfirmata dal sindaco con l’arrivo di un finanziamento di 50 mila euro. Tuttavia, prima di iniziare i lavori, il Sindaco comunicava alla Cooperativa che il bene doveva andare a bando e che il contratto già stipulato non aveva alcun valore. Con la speranza di salvare il finanziamento la cooperativa si aggiudicava il bene, ma i lunghi tempi del Comune causavano la perdita del finanziamento che slittava ad altri. Ma le disavventure non finiscono qui: la cooperativa riceveva in affitto, con un contratto annuale, da un amministratore un altro vigneto compromesso dagli incendi e dal pascolo a Paceco. Non essendoci pertanto le condizioni per partecipare ad alcun bando per l’espianto ed il reimpianto la cooperativa non ha più rinnovato la sua disponibilità a prendersi cura del vigneto. E infine un’altra vicenda si è verificata a Licata. La cooperativa ha messo in contatto un coadiutore dell’Agenzia con un imprenditore del settore che, facendo conto delle promesse ricevute, si è occupato di ripristinare il vigneto ancor prima di sottoscrivere il contratto d’affitto perché altrimenti si sarebbe persa la produzione di uva da tavola per l’annata in corso. Dopo mesi finalmente l’imprenditore, che a quel punto ci aveva soltanto rimesso denari e lavoro, ha sottoscritto un contratto per una sola annata agraria, ma il bene è stato affidato definitivamente al comune di Licata ed è sfumata la speranza di avere un contratto pluriennale che consentisse di recuperare l’investimento iniziale.
Conclusione: il sistema sequestri e confische non funziona, da una parte per la scorrettezza, insensibilità, l’incapacità di coloro ai quali è affidato, dall’altra per la tendenza di alcuni giudici di procedere al “sequestro facile”, che poi spesso comporta la restituzione del bene devastato dall’amministrazione giudiziaria. Bisognerebbe conformare la legislazione di emergenza di ben 35 anni fa alle regole di base dello stato di diritto, accorciare i tempi del sequestro che dura non meno di 5 anni e soprattutto favorire il coinvolgimento delle imprese sane disposte a rischiare ritorsioni mafiose per valorizzare e mantenere i beni. Al momento le esperienze fatte dimostrano che non è conveniente né opportuno intervenire in fase di sequestro e che, per contro, a partire da quel momento i beni sequestrati vanno incontro a una serie di danni che comportano successive spese per l’erario e blocco di un apparato economico che ha già gravissimi problemi di crisi produttiva.
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