Tanto per dimostrare che l’antimafia dello stato lavora duro, che la mafia è ormai alle corde, che “pentirsi” e decidere di cambiare vita non serve e non è il caso di farlo, che la collaborazione con lo Stato serve solo a far fare bella figura a magistrati e forze dell’ordine, i quali, grazie alle informazioni dei “collaboratori pentiti fanno le loro “operazioni brillanti” e se ne prendono interamente il merito, oggi arriva l’ultima allucinante bordata a conferma di qualcosa che non avremmo mai voluto dire né pensare: non è vero che chi ha collaborato con la giustizia non è un uomo che vuole cambiare vita: mafioso era e mafioso resta. E se non era mafioso lui, sono stati mafiosi i suoi parenti, quindi, per transitività, per trasmissione del DNA mafioso, sono mafiosi tutti i componenti del gruppo familiare, almeno sino alla terza generazione. Anzi c’è di più: il pentimento è solo un ripiego, un escamotage per pararsi il culo, per evitare il sequestro dei beni, per continuare a lavorare come prima assieme ai mafiosi che sono stati denunciati da questi imprenditori furbi e sono finiti in galera. Oggi siamo arrivati a questo: lo Stato, e quindi chi lo rappresenta, a cominciare dalla presidente della Commissione antimafia, per finire al prefetto di Palermo, non avendo più dove colpire per fare notizia, se la prende con i soggetti a lui noti, e di cui sa tutto, grazie alla loro collaborazione, quindi è in grado di infierire su di loro e non su quelli che invece si arricchiscono nell’ombra, grazie alla complicità degli stessi uomini che dovrebbero denunciarli e portarli alla sbarra. La cosa più aberrante è che nella relazione del prefetto si elencano parentele e passate relazioni con la mafia, ma si omette del tutto il ruolo preziosissimo che questi collaboratori hanno avuto attraverso le loro denunce e le loro scelte.
Cos’è successo? Premettiamo che eravamo al corrente della notizia già da alcuni giorni, ma che non abbiamo voluto darla per rispetto alla volontà di chi ce l’ha data e in attesa del ricorso che le parti su cui si è voluto colpire stanno presentando al TAR. Invece oggi la notizia è venuta fuori su La Repubblica. È successo che il prefetto di Palermo Antonella de Miro, successa al prefetto Francesca Cannizzo, rimossa dal Ministro degli interni, seguendo le indicazioni di un corpo speciale di investigatori, ha deciso di cancellare dall’elenco delle associazioni Liberjato di Partinico e Libero Futuro – associazione antiracket Libero Grassi Bagheria Valle Eleuterio appunto di Bagheria. In pratica è stato buttato a mare un decennio di lavoro con il quale il creatore dell’associazione Libero Futuro Enrico Colajanni, ha cercato di dare un’alternativa e una garanzia di continuità a quegli imprenditori che volevano cambiare vita e che si nono ribellati alla odiosa pratica del pizzo riferendo all’autorità giudiziaria nomi e cognomi dei loro estorsori, facendoli arrestare e mandandoli sotto processo.
Non ci voleva molto. È il colpo di grazia a chi ha rischiato la pelle pur di dare il suo contributo per una Sicilia diversa. Tutti buttati a mare. Di loro lo stato non ha più bisogno. Anzi, com’è già successo nel caso dell’imprenditore Amato, che con le sue denunce ha mandato dentro tutta la cosca dei Fardazza di Partinico, è stata e per altri sarà revocata la certificazione antimafia. Dopo il colpo dei sequestri ingiustificati operato dall’ufficio misure di prevenzione diretto dalla Saguto, oggi siamo davanti all’ultimo colpo dato all’imprenditoria siciliana, anche a quella che ha creduto nella possibilità del cambiamento. Il monito del giudice Teresi “non abbiamo bisogno dell’antimafia di Pino Maniaci” acquista maggiore significato in considerazione di quello che sta succedendo. Adesso lo Stato, forse non ha più bisogno neanche dell’antimafia degli imprenditori pentiti, forse può fare tutto da solo, non è più il caso di collaborare perché prima o poi chi collabora la prende in quel posto, o per opera dello Stato stesso o per opera degli stessi mafiosi che ha denunciato.
La cosa acquista più rilevanza se si tiene conto che Liberjato è nata grazie all’opera di cucitura fatta da Pino Maniaci, che è riuscito a coagulare, attorno all’associazione, con l’aiuto di Enrico Colajanni, una serie di coraggiosi imprenditori decisi a dire di no a tristi pratiche estorsive consumate con la violenza.
Quando Enrico Colajanni diede vita a Libero Futuro si era trovato a dover rompere con l’altra associazione antiracket Addio Pizzo, a seguito di una serie di cose e di scelte che egli non condivideva. Difficile anche la collaborazione con la FAI, la federazione Antiracket di Tano Grasso, dalla quale Libero Futuro si staccò molto presto, e lapidaria sarebbe stata la dichiarazione di Tano Grasso a Colajanni, il quale avrebbe scritto: “La profezia-minaccia di Tano Grasso si sta avverando: lui mi disse che se rompevamo con la FAI ci avrebbero gettato giù dalla torre. Adesso vediamo di reagire e cosa dice il TAR”. È una frase lapidaria che conferma come all’interno delle associazioni antiracket ci sono interessi diversi, lotte interne, come lo stato ne protegge alcune, verso le quali è prodigo di finanziamenti, non esita a buttarne a mare altre.
Naturalmente non facciamo l’errore di fare di tutta l’erba un fascio: all’interno di ogni associazione è normale, se non fisiologico che possa infiltrarsi qualche elemento con le caratteristiche paventate o documentate del profittatore, o qualche altro che ripieghi su un pentimento di comodo, ma questo non vuol dire “fare di tutta l’erba un fascio” e gettare il bambino con l’acqua sporca. È fisiologico che in un paniere possa esserci una mela marcia, senza perciò concludere che tutte le mele del paniere sono marce e mettere la parola fine a un’esperienza che per molti imprenditori di Partinico ha significato “voltar pagina” e denunciare i mafiosi, con i rischi che ne conseguono, ma con un interiore senso di liberazione da protezioni odiose, non richieste e pagate.
Non possiamo che chiudere amaramente questa nota con la considerazione che oggi è morta la collaborazione tra lo stato e tra coloro che hanno creduto che attraverso lo stato si potesse cambiare tutto. La mafia ringrazia.
LA REDAZIONE
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