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L’antimafia fallita: resta chiuso il pastificio della coop Rinascita Corleonese

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Finite le promesse restano i debiti

Salvo Vitale

L’iniziativa era partita nel 2007: dopo una serie di incontri presso la sede CGIL di Corleone, tra il suo segretario Dino Paternostro, Leonardo Li Causi, presidente provinciale di Lega Coop Sicilia, Gianluca Faraone, allora rappresentante di Libera Terra Mediterranea, (adesso promosso alla Lega Coop, sotto l’ala protettiva del fratello sottosegretario) e i  rappresentanti della cooperativa Rinascita Corleonese, formata da alcuni lavoratori licenziati di un locale pastificio, si era deciso di trasferire la produzione di pasta di Libera Terra, prodotta a Cremona, direttamente a Corleone, “al fine di chiudere la filiera”, utilizzando il grano biologico  prodotto sui terreni corleonesi confiscati alla mafia.

Il progetto riceveva consensi entusiastici da parte delle cooperative antimafia e da parte di Banca Etica, disponibile a un prestito di 100.000 e dall’IRCAC che prometteva un finanziamento, mai arrivato, di 350.000 euro, a bocca del suo commissario, l’on. Antonio Marullo. A garantire tutto erano il presidente regionale della Lega Coop Elio Sanfilippo e il presidente nazionale Giuliano Poletti, ora diventato ministro del lavoro. Intoppi burocratici, prestiti  bancari sino a 500.000 euro, consigliati e visionati dalla Lega coop e in gran parte erogati da  Unipol Bank, sino al 2011, quando veniva inaugurato il nuovo stabilimento alla presenza di politici e dirigenti di banche e di  cooperative che avevano sostenuto l’impresa.

In tale occasione veniva anche sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Pastificio Rinascita Corleonese e il Consorzio Libera Terra con l’impegno da parte di libera terra di garantire con il suo marchio la bontà del prodotto e di commercializzarlo attraverso i suoi canali di distribuzione. Si dava il via alla realizzazione di un capannone di 800 mq in contrada Rubina, a due km da Corleone, con macchinari nuovi di ultima generazione, con una capacità produttiva di 300 kg. ogni ora, in 14 formati, di una pasta trafilata al bronzo e a lenta essiccazione, per mantenere intatte le capacità organolettiche del prodotto. “Una pasta di alta qualità, dal sapore antico della pasta fatta in casa al tempo dei nostri nonni”, dice Calogero Cuppuleri, presidente della cooperativa. Marchio della pasta: “Gustosa”. Ultimi controlli medico-legali, conformità agli standard e alle misure richieste dalla legge, tentativo di avvio della produzione e sua sospensione, poichè Libera Terra non rispettava il patto stipulato, non effettuava ordinazioni e forniva scuse che i rappresentanti della Coop corleonese ritenevano “pretestuose”.

Uguale distacco da parte della Lega coop  e intanto arrivavano da pagare le prime rate dei mutui contratti, per i quali i soci avevano offerto fideiussioni mettendo in gioco i beni personali  e quelli di tutte le loro famiglie. A tre anni dall’inaugurazione, il 5.6.2014 arrivava il primo decreto ingiuntivo rispetto al cui pagamento  la Lega prometteva fantomatici tavoli di crisi e cercava di scaricare colpe e responsabilità sui soci della cooperativa, ritenendoli sprovveduti e inadeguati all’impresa.  Conclusione: in nome dell’antimafia  si è costruito un pastificio modernissimo, con una decina di abili mastri pastai pronti a lavorare, sono stati promessi mari e monti, aiuti e coperture, ma lo stabilimento resta chiuso e le banche sono dietro la porta a chiedere quanto avevano “prestato”. Il ministro Poletti aveva parlato, l momento dell’inaugurazione, di “una rivoluzione culturale che negli ultimi dieci anni ha portato alla nascita di quattro cooperative capaci di creare 100 posti di lavoro”. E invece niente, solo debiti e fame. Indubbiamente per chi predica che attraverso l’antimafia si può costruire una nuova economia e nuova occupazione basata sul rispetto della legalità, non è un bel messaggio.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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