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La memoria corta che sostiene i lager in Libia

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A pochi giorni dalla Giornata della Memoria il governo italiano proroga l’accordo con Libia nonostante le denunce di torture, abusi e traffici documentati.

La Giornata della Memoria è stata scelta il 27 gennaio non a caso: in quel giorno l’Armata Rossa ha aperto i cancelli di Auschwitz e liberato le migliaia di prigionieri dei criminali nazisti. Anche quest’anno nell’occasione abbiamo assistito a cerimonie, ricordi, importanti discorsi sull’importanza della memoria in nome del «mai più lager». Eppure, mentre l’eco di queste parole era ancora nell’aria, il 2 febbraio si è rinnovato, senza modifiche, il memorandum Italia-Libia per il controllo dei flussi migratori col quale il governo italiano sostiene e finanzia controlli e centri per immigrati nel paese nordafricano. Davanti alle denunce della comunità internazionale e di associazioni per i diritti umani delle condizioni di prigionia in Libia, a novembre scorso il ministro Lamorgese aveva solennemente promesso in Parlamento che il memorandum sarebbe stato modificato chiedendo precise garanzie al governo di Al Serraj sui diritti umani.

Ma il 2 febbraio è scattato il tacito rinnovo, solo il giorno successivo il ministro degli Esteri Di Maio ha affermato di aver chiesto, quel giorno, modifiche dopo un incontro con il ministro degli interni libico Fathi Bashaga, «nonostante le prove delle sofferenze causate da questo orribile accordo e a dispetto dell’escalation del conflitto in Libia» ha denunciato la direttrice di Amnesty International per l’Europa Marie Struthers sottolineando come nei primi tre anni dalla firma dell’accordo almeno 40 mila persone, tra cui migliaia di minori, sono state intercettate in mare, riportate in Libia e sottoposte a sofferenze inimmaginabili». Nei giorni scorsi il cartello di associazioni #Ioaccolgo aveva lanciato anche un mail bombing per chiedere al governo italiano di fermare il rinnovo.

Il memorandum è stato firmato tre anni fa, negli stessi mesi in cui l’Italia accoglieva Abd al-Rahaman al-Milad detto  Bija, considerato il maggior boss del traffico di esseri umani in Libia e accusato anche da documentati rapporti delle Nazioni Unite, come da molto tempo denunciano Nello Scavo e Nancy Porsia. Davanti alle coste libiche il «mai più» è evaporato e continua ad evaporare come neve al sole. Bija fu ospitato dal governo italiano nel maggio 2017 quando partecipò ad un summit internazionale concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa, per poi essere accompagnato in un tour tra alcuni centri per migranti in Italia e la sede della guardia costiera di Roma. Nancy Porsia già mesi prima della firma del memorandum documentò il ruolo centrale di Bija nel traffico e nella prigionia dei migranti in Libia.

A Tripoli, denunciò l’Unicef, fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera. Pochi giorni prima il Times aveva pubblicato un video dove si vede un trafficante, identificato nello stesso Bija, frustare alcuni migranti.

L’8 maggio 2018 un rapporto della Procura della Corte dell’Aja ha definito il trattamento dei migranti nei centri riconducibili a Bija «crudele, inumano e degradante».

«Le sue forze – viene riportato – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard». Mentre la sua milizia avrebbe  «beneficiato del Programma Ue di addestramento» nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia. Un rapporto del segretario delle Nazioni Unite Gutierres ha documentato che la guardia costiera libica «trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali» dove funzionari governativi li «vendono» ai trafficanti e le donne subiscono ripetute sevizie sessuali, crimini per i quali Gutierres accusa di esserne responsabili gli Stati che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche, tra cui l’Italia. Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali, «l’Unsmil ha continuato a ricevere segnalazioni credibili di detenzione prolungata e arbitraria – ha denunciato sempre Gutierres – torture, sparizioni forzate, cattive condizioni di detenzione, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà».

Pochi mesi dopo la firma del memorandum Italia-Libia, la CNN ha documentato un’asta in cui i migranti vengono venduti come schiavi, lo stesso traffico denunciato dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni  che ha riportato testimonianze di percosse, stupri, torture, persone cosparse di benzina e date alle fiamme, a cui hanno sparato o sono stati lasciati morire di fame.

Articolo pubblicato anche su wordnews.it

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Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, collaboratore di Wordnews.it e referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza, Giustizia.info, QcodeMagazine, Comune-Info e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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