Continua il processo a carico del giornalista e direttore di Alqamah.it, Rino Giacalone, accusato dai familiari del defunto boss mafioso di Mazara del Vallo, Mariano Agate, di avere offeso la reputazione del loro congiunto. Giacalone è difeso dagli avvocati Carmelo Miceli, Enza Rando e Domenico Grassa.
Criticare la mafia e i mafiosi con disprezzo potrebbe urtare la sensibilità dei mafiosi e offendere la loro reputazione. E’ questo l’oggetto della discussione in merito al processo di primo grado, tenuto presso il Tribunale di Trapani, che vede imputato il giornalista Rino Giacalone reo di aver offeso la reputazione di “Don” Mariano Agate.
A denunciarlo sono stati proprio i familiari dell’Agate. In sintesi non avrebbero gradito la chiosa finale, utilizzata nel pezzo giornalistico (blog Malitalia) a firma del Giacalone, nel quale, a conclusione di una lunga esamina dei crimini di cui si era macchiato l’Agate, lo stesso veniva apostrofato come “un gran bel pezzo di merda”.
L’epiteto utilizzato dal Giacalone non è casuale, rappresenta una delle frasi più efficaci utilizzata da Peppino Impastato e in genere dal mondo della antimafia per definire l’organizzazione mafiosa come una grande “montagna di merda” e i suoi appartenenti dei “pezzi di merda”.
Nell’udienza di ieri è stato sentito come teste Salvo Vitale, un uomo che nella sua vita ha fatto della lotta antimafia un impegno continuo, sia al fianco di Peppino Impastato che dopo il suo assassinio.
Vitale, alle domande dell’avvocato della difesa, Carmelo Miceli, ha risposto in modo netto sul significato della frase “la mafia è una montagna di merda e i mafiosi sono dei pezzi di merda”.
“All’inizio della nostra militanza politica – commenta Vitale – ci siamo occupati della difesa dei diritti dei contadini durante gli espropri per la realizzazione dell’aeroporto di Punta Raisi, degli edili sfruttati, delle difficoltà sociali e del potere indiscusso che i mafiosi detenevano su tutto il territorio”
Ieri, si è ribadito il ruolo che la mafia ha esercitato in Sicilia, ed esercita tuttora, di oppressione delle libertà personali, culturali, sociali ed economiche.
“Nel 1966, Peppino – prosegue Vitale – creò un giornale che come prima uscita titolava in prima pagina: La mafia è una montagna di merda. Un articolo che al suo interno citava con coraggio i nomi dei mafiosi e dei politici corrotti”.
Un elemento di rottura con il passato che come sostiene lo stesso Vitale: “è servito ad avere credibilità per smontare il sistema criminale di cosa nostra basato sul rispetto dei mafiosi”.
Presenti come sempre i familiari del boss defunto, la vedova, Rosa Pace e la figlia, Vita Agate. Ma presenti anche esponenti del mondo dell’associazionismo antimafia, a cominciare dal coordinatore provinciale di Libera, Salvatore Inguì. Anche a questa udienza è stato presente Giacomo Messina presidente della cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera. Tutti pronti a sostenere la legittimità dell’attività giornalistica condotta anche in questo caso da Rino Giacalone.
L’udienza si è poi con conclusa con l’accoglimento di una delle tante sentenze emesse nei confronti di Agate proposte dal legale della difesa, Carmelo Miceli. Sentenza che rende in modo esplicito la caratura criminale-mafiosa del Mariano Agate. Nello specifico il giudice, Gianluigi Visco, ha accolto la richiesta di acquisire la sentenza della Corte D’Assisi di Caltanissetta 29/97 del processo Borsellino Ter.
La prossima udienza, fissata il prossimo 28 gennaio, servirà per sciogliere la riserva sull’acquisizione della sentenza. Noi, come abbiamo fatto sempre per ogni processo, continueremo a seguirlo. Ma non possiamo non approvare quanto detto ieri da Salvo Vitale nel corso del processo: “definire un mafioso pezzo di merda è un fattore attuale ed un tema attualissimo e ricorrente” . Per queste motivazioni oggi non ci è consentito di fare dei passi indietro nella lotta a Cosa Nostra, impegno che deve cominciare proprio nell’aggreddire la cultura mafiosa.
Fonte: alqamah.it
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